Il Guardasigilli, pur scelto dalla premier e inquadrato in FdI, in questi mesi è stato sostenuto più da Fi (e da Renzi) che dai suoi. Del resto l’ex pm tra concorso esterno, abuso d’ufficio e intercettazioni si è confermato una mina vagante. Dallo scivolone sulla pedofilia agli attacchi al pool di Mani pulite, gaffe e battaglie del giurista prestato alla politica.
Se ci fosse un campionato dei gaffeur di governo, almeno sul fronte della comunicazione, probabilmente il Guardasigilli Carlo Nordio sarebbe in zona Champions League o starebbe lottando per lo scudetto con il collega dell’Interno Matteo Piantedosi. La delicatissima giornata del 19 luglio, soprattutto sul piano simbolico, con la premier Giorgia Meloni a Palermo per le commemorazioni della strage di Via D’Amelio, del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, è stata all’insegna delle toppe piazzate a tappare i buchi, anzi le voragini. Sia lei che il ministro della Giustizia, infatti, hanno tentato di spegnere definitivamente l’incendio appiccato dallo stesso ex magistrato con le dichiarazioni sulla revisione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Nordio, durante un question time alla Camera, ha provato a chiudere la querelle sostenendo che il tema non fa parte del programma di governo e che eventualmente le sue «considerazioni sulla necessità di una normativa ad hoc» puntavano a costruire «uno strumento anche più efficace di quello attuale». Mentre Meloni dalla Sicilia ha tradito ancora una volta, seppur fugacemente, una certa insofferenza per le uscite del “suo” Guardasigilli: «Che una risposta di un magistrato a domanda, diciamo che forse dovrebbe essere più politico in questo, diventi un fatto quando un fatto non è» accade «quando si vuole fare polemica pretestuosa».
Mal di Nordio, le posizioni del ministro che agitano Meloni
Lo scivolone sulle intercettazioni
Insomma, Meloni ha fatto sua un’accusa in qualche modo ricorrente, seppur a volte espressa in modo bonario dagli stessi amici di Nordio: l’ex magistrato veneto continua a parlare troppo spesso da giurista o da intellettuale e si scorda di essere l’inquilino di Via Arenula. L’incidente, in ogni caso, può forse dirsi chiuso e tuttavia ha parzialmente rovinato alla premier la ricorrenza del 19 luglio, che è comunque carica di significati per la destra post-missina. Non a caso Salvatore Borsellino ha rigirato il coltello nella piaga sulla mancata partecipazione della leader di Fdi alla tradizionale fiaccolata: «Giorgia Meloni ha avuto paura di venire qui, in via D’Amelio ha avuto paura di contestazioni. Ma noi di contestazioni violente non ne abbiamo mai fatte, al massimo le manganellate le abbiamo prese». E insomma, al netto dell’anniversario più bollente del solito, e non solo per il sole cocente di Palermo, Nordio sta diventando proverbiale per le sue prese di posizione eccentriche e per qualche scivolone. Come quando a gennaio scorso, già nei panni di ministro, in Senato esclamò contro le intercettazioni: «Un mafioso vero non parla né al telefono, né al cellulare perché sa che c’è il trojan, né in aperta campagna perché ci sono i direzionali». Peccato che proprio in quei giorni, anche grazie agli ascolti degli investigatori, veniva catturato l’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Allora Nordio corresse il tiro: le captazioni sono determinanti contro mafia e terrorismo, ma vanno riviste per i reati minori. Il problema è che i reati minori, nella sua concezione, sono quelli dei colletti bianchi contro la Pa, che spesso sono crimini “spia”, propedeutici o comunque connessi al malaffare organizzato di stampo mafioso.
Abuso d’ufficio, tra sfide all’Ue e garanzie al Colle
Non è quindi un caso che il Guardasigilli, pur scelto dalla premier e inquadrato politicamente sotto le insegne di Fratelli d’Italia, in questi mesi sia stato sostenuto più da Forza Italia (e da Italia viva tra le opposizioni) che in seno al partito della premier. È soprattutto l’altro magistrato realmente influente a Palazzo Chigi a non amarlo: Alfredo Mantovano. Ed è stato infatti lui tra i primissimi, se non il primo, a stoppare Nordio sulle modifiche al concorso esterno. Una dinamica che avrà sviluppi tutti da seguire durante la discussione parlamentare del disegno di legge di riforma della giustizia, di cui il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha autorizzato finalmente la presentazione alle Camere. Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio e la riforma del traffico di influenze illecite il presidente della Repubblica avrebbe fatto pesare la propria moral suasion in vista di modifiche durante l’iter. La premier per ora sta con un piede in due scarpe: se la maggioranza (più i renziani) in commissione Affari europei ha sfidato l’Ue approvando un parere che definisce «palesemente in contrasto con il principio di sussidiarietà e di proporzionalità» la direttiva europea che impone l’obbligo di prevedere l’abuso di ufficio, dall’altro ha dato precise garanzie al capo dello Stato non chiudendo a eventuali modifiche. Nordio farà buon viso a cattivo gioco?
Mal di Nordio, le posizioni del ministro che agitano Meloni
Dalla difesa di Salvini nel caso Gregoretti agli attacchi al pool di Mani Pulite: le uscite di Nordio
Il personaggio è comunque una mina vagante. Che ogni tanto esplode. Come quando, interpellato in Senato a proposito del ddl Zan, disse che «la pedofilia è un orientamento sessuale». Apriti cielo. O quando, data la sua chiara collocazione nel centrodestra, provò a sostenere che nemmeno Enrico Berlinguer potesse vantare «la patente di moralità visto che i soldi al partito arrivavano dall’Unione sovietica». Come se l’allora segretario del Pci fosse un corrotto qualunque. E pensare che l’anno scorso, durante la corsa al Quirinale, il centrodestra lo piazzò in un’improbabile terna di candidati al Colle con Letizia Moratti e Marcello Pera. Nomi che furono bruciati un attimo dopo essere usciti fuori. Anzi, forse furono tirati fuori per essere bruciati. Trevigiano, classe 1947, il Guardasigilli assurse alla ribalta per le inchieste sulle Brigate rosse in Veneto e per Tangentopoli, quando tentò di accendere un riflettore sui presunti finanziamenti illeciti al Pci-Pds da parte delle coop rosse, ma poi vide archiviate le posizioni, tra gli altri, di Achille Occhetto e Massimo D’Alema. Senza dimenticare, più tardi, l’inchiesta sul Mose di Venezia (nella città lagunare è stato procuratore aggiunto). In ogni caso, già ai tempi di Mani pulite fu molto duro con il pool di Milano che considerava politicizzato. Lui, in compenso, non ha mai tenuto un profilo basso quando si è trattato di sostenere le battaglie del centrodestra. Ha difeso Matteo Salvini rispetto al caso dei migranti trattenuti a bordo della nave Gregoretti e aveva anche appoggiato i referendum sulla giustizia voluti da Lega e Radicali. Meloni invece lo citò addirittura nel 2015 in chiave anti-Islam: «Il Procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, ha dichiarato che il velo islamico che copre il volto è già vietato dalla legge, e la legge va applicata. Sono totalmente d’accordo con lui. Siamo uno Stato laico, questo vuol dire che ognuno ha il diritto di professare la religione che vuole, ma tutti devono rispettare le leggi dello Stato. Senza eccezioni». Dieci anni prima, invece, lui stesso disse: «Penso che nessun magistrato dovrebbe mai candidarsi alle elezioni, a maggior ragione non deve farlo un pm che è diventato famoso per inchieste in ambito politico». Amen.
20/07/23