Luca Grossi
Lorella Benedetti: “Tutti sanno che per quieto vivere si deve arrivare a compromessi a volte, purtroppo, per poter operare in Sicilia”
A volte ritornano.
“I problemi della mafia e della camorra ci sono sempre stati e sempre ci saranno, purtroppo ci sono, bisogna convivere con questa realtà” disse un ministro della Repubblica di Forza Italia nell’agosto del 2001.
In questi giorni è stato il turno della consigliera comunale di Macerata di Fratelli d’Italia, Lorella Benedetti: Silvio Berlusconi “Può aver avuto contatti con la mafia ai tempi in cui in Sicilia facevano saltare i ripetitori Mediaset, la mafia voleva essere pagata per non farli saltare e forse Berlusconi avrà utilizzato Dell’Utri il quale da buon siciliano sapeva a chi rivolgersi per trattare. Se questo si considera reato allora sarebbero dovuti essere rinviati a giudizio un bel po’ di imprenditori italiani perché tutti sanno che per quieto vivere si deve arrivare a compromessi a volte, purtroppo, per poter operare in Sicilia”.
Si tratta di affermazioni di un esponente politico e rappresentante di un partito che ha incluso Paolo Borsellino nel suo gruppo di figure illustri.
Ma com è possibile poter conciliare una figura come quella del giudice ucciso in via d’Amelio il 19 luglio 1992 con l’aperta dichiarazione che con la mafia è necessario scendere a compromessi?
Semplicemente, non si può.
Con tali affermazioni, inoltre, si suggerisce erroneamente che la maggior parte degli imprenditori accetti di avere rapporti con la mafia e si eclissa il fatto che in Sicilia esistono numerosi cittadini onesti, come ad esempio Ignazio Cutrò, i quali seguono l’esempio di persone coraggiose come Libero Grassi e si rifiutano di piegarsi alla mafia.
Consigliando tale visione distorta si compie un favore a Cosa nostra, legittimando così le sue azioni.
Entrando nel merito delle affermazioni di Benedetti è necessario ricordare che i rapporti tra l’ex premier e Cosa nostra sono stati dettagliatamente descritti nella sentenza dalla Corte di Cassazione nel processo al suo braccio destro Marcello Dell’Utri (condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, pena estinta): nel 1974 Silvio Berlusconi incontrò il capomafia più autorevole di Palermo, Stefano Bontade, per chiedergli protezione in quel momento storico in cui erano ordinari i sequestri di persona. Cosa nostra gli mise in casa lo “stalliere”, boss di Porta nuova, Vittorio Mangano a garanzia.
Quel Vittorio Mangano che ha più volte, assieme a Dell’Utri, definito “eroe”.
Berlusconi, poi divenuto anche Presidente del Consiglio per quattro volte, preferì rivolgersi alla mafia anziché allo Stato.
Inoltre ricordiamo che quando era ancora un imprenditore era entrato nell’orbita dell’interesse investigativo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per i suoi rapporti con mafiosi e i suoi rapporti economici con Cosa Nostra, che con la mafia ha scelto, appunto, di convivere.
Ma non fu il solo. Col tempo sono stati consegnati alle patrie galere altri personaggi, tutti condannati per concorso esterno in associazione mafiosa: dal senatore Marcello Dell’Utri suo mediatore nei rapporti con Cosa Nostra sin dagli anni Settanta, ad Antonino D’Alì nominato al ruolo chiave di sotto segretario agli Interni dove si è attivamente operato a favore dei mafiosi capeggiati da Matteo Messina Denaro, al sottosegretario al ministero dell’economia Nicola Cosentino referente del clan dei casalesi, uno dei più potenti della camorra, al deputato Amedeo Matacena collegato alla ‘Ndrangheta.
Sono verità scomode che irritano i tanti “alfieri del Gattopardo” che ancora oggi siedono nei palazzi della politica.