Jamil El Sadi
“La penetrazione delle organizzazioni criminali nei gangli dell’economia, i loro rapporti con settori inquinati della politica o esponenti infedeli della pubblica amministrazione, costituiscono, quindi, un ostacolo allo sviluppo di un determinato territorio ed al progresso civile della sua popolazione. Le mafie rappresentano, cioè, un costante ed elevato pericolo poiché insidiano nel profondo la dignità dei singoli e le condivise regole collettive, minando alla base la democrazia, il mercato e la pacifica convivenza civile”. A scriverlo è la Dia in conclusione della relazione semestrale pubblicata nei giorni scorsi in riferimento al secondo semestre 2022. Gli investigatori hanno ribadito con forza che non è “pensabile poter sconfiggere una criminalità, vieppiù globale e sempre più inserita nel mondiale circuito finanziario, operando esclusivamente sul versante repressivo e delegando la lotta alle sole Forze dell’ordine ed alla Magistratura”. È necessario, dunque, “accrescere nelle coscienze collettive la consapevolezza sull’elevata pericolosità del modello mafioso che, invece di apparire come potenziale ed accattivante modello di comportamento, deve essere considerato nella sua esclusiva radice di ormai primitiva sopraffazione di taluni sugli altri e, come tale, deve essere decisamente disapprovato, respinto e condannato”.
Nelle conclusioni della relazione, la Dia esamina le linee evolutive della criminalità organizzata e la strategia di prevenzione e contrasto, con l’ausilio di istogrammi e mappe che fotografano i reati commessi nel secondo semestre 2022 paragonandoli al corrispettivo dell’anno precedente, così come le SOS (Segnalazioni di operazioni sospette) e i provvedimenti interdittivi distribuiti lungo il territorio nazionale.
Ciò che emerge è che l’accumulazione di ricchezza e la disponibilità finanziaria “rimangono l’obiettivo delle mafie per confermare il proprio successo; la forza, la potenza, l’autorità di un mafioso, e non solo, diviene direttamente proporzionale al patrimonio complessivamente posseduto”.
Gli investigatori evidenziano come la lotta contro le organizzazioni mafiose “non può prescindere, oggi più di ieri, da una concreta fattiva collaborazione tra tutte le Istituzioni interessate perché la cultura mafiosa, talvolta definita anche come il ‘sentire mafioso’, persiste tuttora nell’immaginario popolare. Occorre quindi che il contributo del mondo della politica, della cultura dell’informazione e, infine ma non per ultimo, del mondo del lavoro, liberi i cittadini dal bisogno di “protezione” per poter soddisfare i bisogni primari, nonché dal timore di dover sottostare a pressioni ed intimidazioni”. Ecco che si rende necessaria “la costante, elevatissima attenzione posta dalle Forze dell’ordine e dalla Magistratura nel prevenire ed evitare che i sodalizi possano arricchirsi a spese anche dei fondi erogati dallo Stato e dell’Unione Europea sebbene su questo fronte l’attività investigativa, preventiva e repressiva, sia resa più complessa dal flebile allarme sociale suscitato dalle tipologie di reato sopra citate e dalla frequente convergenza di interessi tra i sistemi criminali ed alcuni settori dell’imprenditoria e della politica locale”.
Gli investigatori, infine, si soffermano in modo particolare sull’analisi di reati che, più frequentemente, esprimono la tipica azione imprenditoriale delle mafie e la loro penetrazione nel tessuto economico e finanziario. Se da un lato “la generale diminuzione, più o meno accentuata in tutto il territorio nazionale, dei reati di riciclaggio e di reimpiego di denaro si affianca alla diminuzione di quelli relativi al trasferimento fraudolento di valori, alle frodi nelle pubbliche forniture ed alla turbata libertà degli incanti, nonché della corruzione e della concussione”; dall’altro lato merita invece un’attenta riflessione l’incremento, nelle regioni meridionali, del traffico di influenze illecite e della induzione indebita a dare o promettere utilità. “La richiamata diminuzione dei reati tipici della pervasività imprenditoriale mafiosa non deve indurre a facili ottimismi sulla diminuita propensione delle mafie ad inquinare la pubblica amministrazione e ad inserirsi nei flussi di erogazione di fondi pubblici”, sottolinea la Dia. Così come l’aumento seppur contenuto dei reati ex articoli 346 bis e 319 quater del Codice penale nelle regioni meridionali ove è maggiore “la pressione mafiosa, deve mantenere alta l’attenzione sulla perdurante operatività dei sodalizi”.
Infine, dalla lettura di un altro istogramma che mette in relazione i reati commessi nel 2021 e nel 2022 (fonte SSD Ministero dell’Interno), si evince che “a fronte del deciso decremento sia dei reati ascrivibili all’articolo 416 e 416 bis c.p., sia degli omicidi e tentati omicidi maturati in contesti mafiosi, si registra l’aumento di quello relativo allo scambio elettorale politico mafioso, indice della spiccata propensione della criminalità organizzata, più volte descritta anche nelle precedenti relazioni semestrali, a pervadere i comparti decisionali della politica, soprattutto negli Enti locali, al fine di trarne illecitamente i discendenti vantaggi”. Analisi che conferma la pratica di “sommersione” delle mafie nel tessuto sociale e all’interno degli apparati di potere.
“La cattura di Matteo Messina Denaro dimostra che Cosa Nostra esiste ancora e, superata la frattura fra corleonesi e perdenti, prosegue nei suoi traffici attraverso la strategia della sommersione che ha consentito al latitante più ricercato dell’organizzazione di farsi curare in una clinica di Palermo per un lungo periodo, come negli anni ottanta, allorché le reti di protezione e l’omertà, ben miscelate, consentivano ad altri mafiosi latitanti di girare indisturbati per le vie della città – come ha osservato il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo Lia Sava –. È stata clonata l’espressione: ‘camaleonte resiliente’, una mafia che sa mimetizzarsi. Preferisco un’altra espressione: mafia liquida, capace di passare attraverso i differenti stati della fisica. A volte è allo stato gassoso e la respiriamo in certi contesti ambigui, dove è difficile toccarla ma se ne avverte l’olezzo della compiacenza e dell’ammiccamento. A volte è solida, fredda come il ghiaccio, taglia e ferisce, perché al bisogno è capace di uccidere ancora. Nel suo stato naturale è fluida, si insinua in ogni spazio lasciato libero dallo Stato e dall’etica ed abbiamo motivo di ritenere che questo spazio abbia dimensioni significative, nonostante i nostri immani sforzi e quelli delle Forze dell’Ordine”.