Luis Beaton *
Un prigioniero statunitense quando ha visto la sua fotografia per la prima volta dopo 20 anni in sconfinamento solitario nella cella di una prigione, ha detto: “è come ritornare dai morti”.
Queste parole dimostrano la sofferenza di migliaia di reclusi che affrontano ciò che per molti è “una punizione crudele ed inumana” e che i funzionari delle Nazioni Uniti hanno qualificato come una violazioni dei diritti umani, dopo aver denunciato queste pratiche nelle istallazioni come Pelican Bay, in California.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite che tratta il fatto della Tortura, Juan E. Mendez, considera che il Governo statunitense dovrebbe abolire l’uso dell’isolamento durante lunghi periodi di tempo in tutte le circostanze.
Nella maggioranza dei casi i reclusi passano 22 o 23 ore al giorno nelle celle di 2,5 per 3,5 metri, con poca ventilazione e senza luce naturale.
“Incluso, ha denunciato, quando l’isolamento è applicato per poco tempo causa sofferenza mentale e fisica oltre ad un’umiliazione che rappresenta un trattamento ed una punizione crudeli, inumani o degradanti e se il dolore o le sofferenze sono gravi, l’isolamento costituirebbe una tortura”
Testimonianze raccolte tramite una ricerca del giornalista Michael Montgomery, che ha seguito il sistema penitenziario di California durante 10 anni, il Center for Investigative Reporting e la Radio Pubblica KQED, evidenziano le violazioni commesse dalle autorità penali statunitensi.
In un’ultima notizia sulla pratica d’isolamento ha stimato che sono circa 80 mila prigionieri in questa situazione in tutto il paese.
Sebbene all’inizio fosse considerata una forma “poco frequente e di corta durata della punizione”, questo tipo di maltratto è diventato un fatto generalizzato e prolungato. Decine di migliaia di prigionieri si siedono nelle celle da soli durante 23 ore al giorno durante mesi, anche anni interi, ha indicato la ricerca fatta pubblicata dal giornale digitale Politico.
Nel carcere della California più di mille prigionieri sono stati sottomessi a questo tipo di tortura e gli si è addirittura vietato di vedere la loro foto fino a 25 anni dopo, ed in seguito ad uno sciopero della fame iniziato nel 2011, il Dipartimento di Correzionale ha cambiato questa politica.
Attualmente, indica lo studio, i prigionieri possono vedere la loro foto una volta all’anno.
Montgomery ha passato 11 mesi riunendo dati dei prigionieri che sono stati isolati da altri rei, dagli amici e dai famigliari, i quali quando hanno visto la sua immagine fotografica hanno detto che vedevano un anziano, parole illustrative della crudezza del sistema di un paese che si vanagloria delle sue libertà.
Randall Ellis, uno dei prigionieri ha espresso che quasi tutti i reclusi di Pelican Bay, che hanno sofferto questa punizione, erano accusati di avere vincoli con delle bande nelle prigioni, solo per il fatto di conoscere un membro delle bande.
E’ molto difficile per i prigionieri poter dimostrare che non erano inseriti nelle azioni delle bande, ha detto Ellis, che è stato isolato durante 30 anni.
Lorenzo Bentos, prigioniere per assassinio dal 1977, che è stato isolato in una cella durante 27 anni, ha riferito a quelli che hanno realizzato lo studio che non è solo nella prigione di Pelican Bay dove si applicano queste torture, ma questa punizione è comune in altri tre centri dello Stato.
Dati del 2011 dello Stato di California indicano che almeno 500 prigionieri sono stati in questo tipo di cella durante più di 10 anni e di loro 70 ci sono stati durante 20 anni.
La ricerca di Montgomery tra l’altro tratta una denuncia fatta al governo per le condizioni dei recinti nel carcere di Pelican Bay, dove secondo i querelanti i rei soffrono “danni fisici e psicologici”.
Per le condizioni dell’isolamento, “molti prigionieri durante 20 anni sono stati senza contatto faccia a faccia con persone che non siano state i funzionari delle prigioni”, indica la denuncia.
Il dottore Terry Kupers, psichiatra clinico, facendo una valutazione di questi abusi, ha affermato che la mancanza di vedere le loro fotografie e gli anni con pochi o nessun contatto con gli amici e famigliari significano che il reo “basicamente non esiste nella comunità”.
Queste pratiche abusive contro i prigionieri statunitensi sono solo la punta dell’iceberg in un paese la cui tassa di incarceramento è il più alto del mondo e che, secondo i dati del 2009, è di 743 arrestati per ogni 100mila abitanti.
Cifre ufficiali indicano che gli Stati Uniti hanno approssimativamente il 5% della popolazione mondiale, e tuttavia possiedono circa il 25% dei prigionieri del mondo, molti in condizioni di affastellamento.
Questa situazione ha anche ripercussioni economiche, perché l’incarceramento di 2,3 milioni di persone nel paese, dove un prigioniero costa 24 mila dollari all’anno, esige la costruzione di nuove prigioni ad un costo di 5,1migliaia di dollari ed una spesa generale nel presupposto del paese di 60,3 mila milioni.
Una relazione pubblicata in febbraio 2008 accenna che più di uno ogni 100 adulti negli Stati Uniti è in prigione.
Inoltre si indica anche che nel 1977 c’erano solo un po’ più di undicimila donne incarcerate e già nel 2004 il numero di donne era cresciuto di un 757%, cioè a più di 111mila, tassa che rappresenta il doppio di quella degli uomini dall’anno 2000.
Ugualmente gli statunitensi hanno una percentuale più alta delle minoranze etniche in prigione che qualsiasi altro paese.
A Washington DC, per esempio, tre ogni quattro giovani negri compiono una condanna in carcere.
Nelle principali città di tutto il paese, l’80% dei giovani afro-americani hanno adesso antecedenti penali, indicano alcune ricerche di organizzazioni che difendono i diritti umani. Dati del Dipartimento di Giustizia trattano un altro fenomeno dentro il sistema e affermano che Washington mette in prigione una percentuale della popolazione negra maggiore di quando lo faceva Sudafrica mentre imperava lì il sistema razzista dell’apartheid.
Gli ispanici sono anche vittime del problema e nonostante ad essere appena il 16,3% della popolazione del paese, rappresentano il 20,6% di coloro che occupano un posto dietro le inferriate.
Non per caso una persona che è stata confinata in solitario durante anni dice che il termine della sua chiusura è “come ritornare dai morti”.
*capo della Redazione di America del Nord di Prensa Latina