Drammatico conto alla rovescia per il destino di Julian Assange, il fondatore a animatore dei’ WikiLeaks’ che hanno svelato a tutto il mondo i crimini di guerra (e non solo) commessi nel corso di molti anni dagli Stati Uniti, per ‘esportare’ la loro ‘democrazia’ nel mondo a botte di stragi, massacri e golpe.
Nel corso di due udienze previste per il 20 e 21 febbraio, infatti, la Corte Suprema di Londra deciderà se estradare o meno il giornalista-terrorista negli Usa. Una sentenza che pare ‘scontata’, visto come sono andate fino a oggi le cose. Prima, a giugno 2022, il mandato di estradizione firmato dal ministro degli Interni del governo britannico Priti Patel; poi la prima pronuncia dell’Alta corte a giugno 2023, con la quale ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Assange e confermato l’ok per l’estradizione.
Adesso la resa finale dei conti, con la pronuncia definitiva di quella suprema corte, dopo il ricorso presentato dalla moglie di Julien, Stella Assange, che è anche avvocato.
In teoria, poi, non resterebbe che il ricorso alla ‘Corte europea per i diritti dell’uomo’. Ma resta un grosso nodo: che succede prima della pronuncia UE? Secondo alcuni giuristi dovrebbero essere previste delle ‘misure ad interim’ in grado di evitare l’estradizione. Secondo altri gli Usa potrebbero concedere una ‘assicurazione diplomatica’ che però per altri non servirebbe a niente: perché una volta sbarcato negli Usa gli americani sanno bene come ‘trattarlo’.
Tutto quindi è in bilico, un colossale, vergognoso (per chi sventola la bandiera della democrazia, come gli States) punto interrogativo. Con la vita di Assange in forte pericolo, anche perché il suo fisico è estremamente provato dopo quasi dieci anni di ‘torture’ che peggiori non si può
Braccato da CIA ed FBI, si è rifugiato in un paio di ambasciate, ha lì vissuto (o meglio, è sopravvissuto) per alcuni anni, fino a che non è stato sbattuto in galera dagli inglesi, quando si trovava nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.
Da una galera all’altra il passo è breve. Se verrà estradato, infatti, Assange rischia una condanna fino a 175 anni dietro alle sbarre, e di finire i suoi giorni vedendo il sole a scacchi come si soleva dire. Ad attenderlo per la precisione – come hanno già previsto i ‘democratici’ a stelle e strisce – l’‘ADX Florence’, soprannominato l’Alcatraz delle Montagne Rocciose, nel Colorado.
Si tratta del carcere più ‘duro’, ‘sicuro’ e ‘disumano’ degli Usa, arroccato tra le Red Mountains, l’‘Administration Maximum Facility’. Che viene così descritto dal suo ex direttore Robert Hood: “E’ un luogo non fatto per l’umanità. E’ l’inferno: solo un po’ più pulito”. 400 detenuti di ‘primo livello’ in tutto, tra cui – solo per fare qualche nome – alcuni membri della nota famiglia mafiosa dei Gambino; l’Unabomber Theodore Kaczynskycondannato a 8 ergastoli; uno dei componenti del commando di Al Qaida dell’11 settembre, Zakariya Musawi; uno degli stragisti di Oklahoma City nel 1995 con 158 morti, Terry Nichols; l’altro terrorista ‘cristiano’ dell’attentato 1996 alle Olimpiadi di Atlanta, Eric Rudolph.
Commenta Tina Marinari, rappresentante in Italia di ‘Amnesty International’: “L’unica persona che viene processata per i crimini di guerra denunciati da Assange è proprio Julian Assange. Paradossale. Ricordiamoci che questo giornalista, questo detenuto ha subito la violazione di tutti i diritti umani, compreso quello di difesa”. E aggiunge: “In Europa e nel mondo il giornalismo è sotto attacco. Il giornalismo non è un crimine, non è un reato. Eppure con la vicenda di Assange questa affermazione perde tutto il suo contenuto”. Ancora: “C’è un doppio standard da noi. Siamo pronti a protestare se un crimine di guerra viene commesso da un regime non occidentale ma non si alza un dito se a commetterlo sono gli Stati Uniti”.
Sottolinea Alberto Negri, inviato speciale de ‘il Sole 24 ore’, per oltre trent’anni corrispondente di guerra dal Medio Oriente, dai Balcani, dall’Africa e dall’Asia centrale: “Come possiamo definirci difensori della democrazia se non difendiamo Julian Assange? Se non difendiamo i giornalisti che puntano i fari sulla verità delle cose, come possiamo difendere le nostre democrazie contro le dittature e le autocrazie?”.
Le organizzazioni e associazioni dei giornalisti, a livello internazionale, si stanno mobilitando già da giorni per la fatidica dal del 20-21 febbraio.
Riccardo Iacona dedicherà al caso la puntata del suo ‘Presadiretta’, su Rai3, il 19 prossimo.
Per leggere quanto la ‘Voce’ ha scritto sul ‘caso Assange’ negli ultimi anni, basta andare alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra home page e digitare JULIAN ASSANGE.
Ne troverete parecchi.
Ed ecco il link di un interessante pezzo pubblicato da ‘Consortium News’ il 4 febbraio e intitolato
Mary Kostakidis: Assange’s very life is at Stoke.
10 Febbraio 2024