Paola Vallatta
Le spoglie di Missak e Mélinée Manouchian, marito e moglie, armeni, lui mai nazionalizzato, riposeranno nel tempio laico della storia d’oltralpe a emblema e testimonianza di tutto il gruppo giustiziato dai nazifascisti 80 anni fa. Alla cerimonia solenne, trasmessa in diretta sul principale canale tv, ha partecipato anche l’Anpi Parigi per rappresentare i cinque italiani della formazione combattente, emigrati o “stranieri” di seconda generazione, con gli altri ricordati in una targa all’ingresso della tomba: il calciatore Rino Della Negra, Spartaco Fontanot, Cesare Luccarini, Antoine Salvadori e Amedeo Ussaglio.
“Una coppia entra al Panthéon, come già fu il caso di Simone Veil e di suo marito Antoine, ma sono i partigiani comunisti e stranieri che il Paese sta celebrando” si legge sul quotidiano Le Monde del 23 febbraio scorso. La pantheonizzazione, ovvero l’ingresso dei partigiani Missak e Mélinée Manouchian, armeni scampati al genocidio del 1915, nel luogo consacrato alle spoglie dei grandi uomini – com’è scritto sul frontone del monumento: “Aux grands homme la patrie reconnaissante” – è il riconoscimento del ruolo svolto nella Resistenza francese anche da chi francese non era.
Tra questi grandi uomini, questi 23 partigiani del gruppo Manouchian, ci sono ungheresi, polacchi, armeni, italiani, uno spagnolo e una rumena; tredici sono ebrei. Missak, il “capobanda”, come viene definito nel manifesto, l’Affiche Rouge, attaccato nella Francia occupata dai nazisti che qualifica dieci tra loro come terroristi, ha richiesto due volte la cittadinanza francese, ma non gli è mai stata accordata.
Emmanuel Macron, durante il discorso al Panthéon, li ha chiamati “francesi per speranza”, se non “francesi per nascita”. E Manouchian, al processo farsa che aveva condannato lui e i suoi, aveva dichiarato ai giudici e a tutti i poliziotti collaborazionisti che lo ascoltavano: “Voi avete ereditato la nazionalità francese, noi l’abbiamo meritata”.
Sull’Affiche Rouge appaiono dieci volti di quello che i nazisti chiamano “l’esercito del crimine”, che così vengono qualificati: Szlama Grzywacz, ebreo polacco; Thomas Elek, ebreo ungherese; Wolf Wasjbrot, ebreo polacco; Robert Witchitz, ebreo polacco; Maurice Fingercweig, ebreo polacco; Joseph Boczov, ebreo ungherese; Spartaco Fontanot, comunista italiano; Celestino Alfonso, spagnolo rosso; Marcel Rayman, ebreo polacco e, naturalmente, Missak Manouchian, armeno capobanda. In tutto i componenti del gruppo guidato da Manouchian e affiliato alla FTP-MOI, Francs Tireurs et Partisans-Main d’oeuvre immigrée, che raggruppava i partigiani comunisti di origine straniera, erano 23.
Ne facevano parte anche Willy Schapiro, polacco; Amedeo Ussaglio, italiano; Georges Cloarec, francese; Rino Della Negra, francese di origine italiana; Stanislas Kubacki, polacco; Jonas Geduldig, polacco; Emeric Glasz, ungherese; Lajb Goldberg, polacco; Armenak Arpen Manoukian, armeno; Cesare Luccarini, italiano; Antoine Salvadori, italiano; Roger Rouxel, francese e Olga Bancic, rumena. Tutti loro furono fucilati il 21 febbraio 1944 al Mont-Valérien, con l’eccezione dell’unica donna del gruppo, Olga Bancic appunto, la cui esecuzione avvenne a Stoccarda il 3 maggio 1944.
La consacrazione è alla francese, in pompa magna: tre ore di diretta, alla quale hanno assistito 3,3 milioni di persone, sul principale canale nazionale; circa 2.000 invitati, tra cui l’ANPI, seduti all’interno del Panthéon; i feretri portati a spalla lungo la rue Soufflot da un gruppo di uomini della Legione straniera; il cantante Patrick Bruel che legge sul sagrato del Panthéon la magnifica ultima lettera di Missak, già condannato a morte, alla moglie Mélinée; i Feu! Chatterton che offrono una magnifica interpretazione dell’Affiche Rouge, canzone di Léo Ferré che ricalca una poesia di Louis d’Aragon dedicata ai 23 stranieri del gruppo Manouchian; gli omaggi musicali – per due volte risuonano pure le prime note dell’Internazionale; lo sfoggio oratorio del Presidente della Repubblica.
Due partigiani armeni comunisti sono stati accolti al Panthéon a emblema e testimonianza di tutto il gruppo (una targa all’ingresso della tomba ricorda tutti i 23 nomi): il gesto simbolico è potente. Ottanta anni esatti dopo il giorno della fucilazione, il 21 febbraio 2024, la Francia, li ha integrati tra i grandi della nazione. “Chi muore per la libertà universale ha sempre ragione di fronte alla Storia” ha detto il Presidente Macron, retorico se vogliamo, ma non poco significativo.
Attorno alla pantheonizzazione e al gruppo Manouchian, nel frattempo, fioriscono numerose iniziative. Al Mémorial de la Shoah di Parigi, per esempio, dallo scorso 2 febbraio e fino al prossimo 20 ottobre, si può visitare la mostra “Des étrangers dans la Résistance en France – À l’occasion de l’entrée au Panthéon de Mélinée et Missak Manouchian”.
L’esposizione mette in evidenza l’importanza del ruolo degli stranieri nella Resistenza francese, in particolare nel caso dei rifugiati, come gli ebrei sfuggiti ai pogrom, degli esuli, come gli spagnoli, e di chi era scampato alle persecuzioni, come gli armeni, o alla repressione, come gli italiani: persone che vedevano nella Francia il Paese dei diritti e della Rivoluzione francese.
La mostra, che segue un percorso storico, a partire dalle ondate migratori degli stranieri, dal patto germano-sovietico del 23 agosto 1939 e dalla successiva entrata in guerra della Francia e del Regno Unito, si concentra in modo particolare sugli FTP-MOI parigini, e si è avvalsa del contributo di storici come Renée Poznanski, professore all’università di Ben Gurion di Eilat, in Israele, e Denis Peschanski, direttore di ricerca emerito al CNRS.
Vi si racconta, attraverso video, immagini e lunghe schede, come, dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica e la rottura del patto di non aggressione, il Partito comunista francese aderisca alla lotta armata nel 1941.
A Parigi operano i Bataillons de la Jeunesse, l’Organisation spéciale, OS, e l’OS-MOI, composto da stranieri, che daranno poi vita a una sola organizzazione, quella della FTP, i Francs Tireurs et Partisans, nell’aprile 1942.
Il perno è dunque, in qualche modo, ancora l’Affiche Rouge: “non un solo francese tra loro: al contrario i protagonisti sono gli ebrei polacchi. Vengono poi gli ebrei ungheresi, gli spagnoli rossi, gli italiani e il bandito più temibile, un armeno”, si legge nella riproduzione del numero di Paris-Soir del 6 marzo 1944, “Insisto, solo stranieri! (…) È lo straniero che comanda, organizza attentati, saccheggi e uccide”.
Durante il percorso dell’esposizione si scoprono così molti ritratti di partigiani provenienti un po’ da tutta l’Europa. Tra gli italiani che hanno combattuto contro il regime di Vichy e l’occupazione nazista in Francia figurano naturalmente anche i membri del gruppo Manouchian: Rino Della Negra, Spartaco Fontanot, Cesare Luccarini, Antoine Salvadori, e Amedeo Ussaglio.
Il più celebre tra loro è probabilmente Rino Della Negra, nato in Francia nel 1923. Della Negra viveva ad Argenteuil, nel quartiere Mazagran, popolato da immigrati italiani, alcuni sfuggiti alla miseria, ma per la maggior parte in fuga dal regime fascista. Era un calciatore provetto ed era stato reclutato dalla squadra dei Red Star nel 1942.
Richiamato all’STO, il servizio di lavoro obbligatorio, raggiunge invece il terzo distaccamento degli FTP-MOI parigini e, appena ventenne, viene fucilato insieme ai suoi compagni il 21 febbraio 1944 al Mont Valérien. La sua storia è stata raccontata anche in un libro, uscito nel 2022 per le Éditions Libertalia, “Rino Della Negra – Footballeur et Partisan” scritto dagli storici Dimitri Manessise Jean Vigreux.
Paola Vallatta, presidente Anpi Parigi
5 Marzo 2024