di Lunafredda
Negli ultimi mesi e anni abbiamo visto e stiamo vivendo nel nostro paese uno stravolgimento storico.
Le lotte che sono state fatte lo scorso secolo e che hanno visto la conquista di alcuni diritti fondamentali dei lavoratori, delle donne, dei più vulnerabili, fondamentali per l’esercizio e la prosecuzione di una democrazia di cui il popolo è il fulcro, stanno, anno dopo anno, riforma dopo riforma, venendo smantellate.
Attraverso riforme scolastiche che hanno tagliato programmi ed eliminato materie fondamentali per imparare a sviluppare una coscienza del vivere civile condiviso, le generazioni di chi è stato investito in pieno dalla nascita del Berlusconismo e di Mediaset ha perso la possibilità di capire come allenare il pensiero critico.
In quegli anni la televisione ha smesso di essere un nuovo mezzo da utilizzare per trasmettere cultura, per diminuire l’analfabetismo e insegnare a chi guardava come accrescere le proprie conoscenze, arrivando ad acquisire nuove competenze per poter affrancare la propria situazione economica, sociale e culturale.
Con l’avvento della televisione privata, il palinsesto è diventato solo intrattenimento, un intrattenimento scevro di critica, di analisi, di un pensiero individuale e collettivo che potesse costruire l’ipotesi di un nuovo modo democratico ed egualitario di vivere il mondo.
I canali Mediaset hanno veicolato messaggi che contenevano e rafforzavano vecchi stereotipi sulle donne, sul loro corpo e sul loro ruolo, sulle classi sociali e sui lavoratori, su politiche e filosofie di pensiero che chiedevano uguaglianza e parità di diritti, andando a erodere, lentamente, quel margine di conquiste che erano state ottenute con estenuanti e lunghe battaglie.
I bambini e i ragazzini di quegli anni hanno assorbito quei messaggi e li hanno fatti propri, disimparando come ragionare e analizzare le informazioni trasmesse dalla televisione in modo critico.
Alcuni degli epiteti utilizzati nei confronti di questo media sono stati “scatola vuota”, “bambinaia elettronica” o “scuola di analfabeti” e numerosi studi legati alle neuroscienze hanno dimostrato come le preoccupazioni di chi pensava che la televisione potesse diventare un mezzo di comunicazione “pericoloso” per la capacità di ragionamento autonoma, fossero fondate.
A tale proposito, i risultati delle ricerche hanno dimostrato come lo sforzo mentale investito nel guardare la televisione sia minore rispetto a quello che si impiega nel leggere un libro.
Negli anni Novanta del secolo scorso, un gruppo di ricerca guidato dal dott. Ruggieri all’Università La Sapienza di Roma ha dimostrato per primo come i disturbi della lettura nei bambini della scuola primaria potessero essere ricondotti a una perdita di direzionalità del processo di lettura dovuto al troppo tempo trascorso davanti allo schermo della televisione.
In molti hanno sottolineato come l’uso prolungato e indiscriminato dei media audiovisivi (come televisione, computer e smartphone) possa interferire in modo significativo con questa capacità, causando una confusione sensoriale e un aumento dello stress visivo e generale, rendendo più faticosa la lettura e la piena elaborazione di ciò che si legge.
Bisogna, infatti, tenere in considerazione che la televisione è considerata un media semplice da molti studiosi: richiede uno sforzo di minor impatto rispetto alla parola stampata, che è capace di portare a un livello di elaborazione molto più profondo.
Lo studioso Gabriel Salomon, attraverso una sua ricerca, ha spiegato proprio come vengano tratte maggiori inferenze corrette a seconda di quanto sia maggiore lo sforzo cognitivo investito nell’elaborare le informazioni, perciò, investendo maggiore energia mentale nella lettura, si potrà acquisire meglio la capacità di comprendere le cose.
E quanto può diventare difficoltoso elaborare un proprio pensiero personale che sia autentico e il risultato di uno studio più approfondito, quando si viene costantemente bombardati da immagini, notizie (tra le quali fake news), stereotipi e slogan?
Se pensiamo a quanto sia diventato sempre diffuso l’utilizzo degli schermi nella nostra quotidianità, possiamo cominciare a capire quanto sia stato deleterio trovarsi senza difese davanti a un nuovo modo di comunicare e un modo completamente passivo di assorbire (e subire) la televisione privata.
Considerando i dati delle ultime elezioni europee, abbiamo modo di verificare come i partiti di destra sarebbero i più votati soprattutto tra gli elettori dai 30 ai 59 anni, ovvero le generazioni che hanno vissuto pienamente l’ascesa di Berlusconi sia nel campo delle telecomunicazioni, sia della politica.
Basta leggere i commenti sui social network (Facebook in particolare, ma da poco anche TikTok, dove l’età media dei fruitori corrisponde, o sta cominciando a corrispondere a quella fascia d’età) per rendersi conto di come le destre di derivazione fascista e il Berlusconismo siano riusciti in un’operazione a cui miravano da anni: riscrivere la storia del nostro paese, attraverso un revisionismo storico instancabile e implacabile portato avanti da televisioni private, giornali cartacei e online, l’uso di un linguaggio populista e “per slogan”, ma povero di contenuti.
Forse, allora, c’è da fare una riflessione: è possibile eliminare un costrutto mentale intessuto nelle proprie conoscenze di base e che rende schiavi e ricostruirsene uno nuovo che possa, invece, rendere liberi di pensare davvero in modo critico e autonomo?
Foto di Joss Broward