Non possiamo e non dobbiamo tacere. Di fronte a ciò che sta accadendo a Gaza, a una mattanza che ormai persino una parte del mainstream non esita a definire genocidio (bombardare una scuola è un crimine ingiustificabile, chiunque sia a compierlo), dopo l’eliminazione di Ismāʿīl Haniyeh, che costituiva l’ala dialogante, se così si può definire, di Hamas e mentre l’Iran minaccia una vendetta di cui a breve conosceremo le proporzioni, in un contesto del genere abbiamo il dovere di essere, ancora una volta, cittadini e partigiani.
Non abbiamo nulla contro Israele e il suo diritto a esistere come stato libero, democratico e indipendente: lo ribadiamo, anche se non ce ne sarebbe bisogno, per evitare ogni sorta di strumentalizzazione. È ormai chiaro, però, che il governo Netanyahu costituisca un problema per gli equilibri mondiali. Quella del falco della destra israeliana, infatti, non è solo una carneficina contro un popolo inerme: è una sfida rivolta ai democratici americani, nella speranza, neanche troppo celata, che il prossimo 5 novembre l’inquilino della Casa Bianca torni a essere Donald Trump, così da avere mano libera per agire indisturbato nel contesto mediorientale. Non ha capito, a dimostrazione di quanto il fondamentalismo possa accecare gli esseri umani, che dopo il 7 ottobre nulla sarà come prima. Se in precedenza Israele era considerato dalle frange più estremiste del mondo arabo un semplice bersaglio, adesso, dopo decine di migliaia di vittime innocenti e massacri perpetrati in nome di una sicurezza che è ben lungi dall’essere stata raggiunta, adesso, dicevamo, lo Stato ebraico per molti è diventato un nemico. Un nemico contro cui le ali più retrive della galassia islamica sono pronte a tutto. Un nemico per una parte consistente dell’opinione pubblica occidentale. Un nemico persino per l’attuale Presidente degli Stati Uniti e per la sua Vice, anche se non lo ammetteranno mai, perché sanno benissimo che l’offensiva di Netanyahu e di buona parte di quelli che lo circondano rischia di far perdere loro le Presidenziali. E sta diventando un amico e un alleato indifendibile anche per chi, come noi, ne ha sempre rivendicato le ragioni. Peccato che le ragioni di Israele non possano offuscare, calpestare e distruggere quelle, sacrosante, del popolo palestinese, privato della propria terra e, sostanzialmente, del diritto di esistere, se consideriamo che Gaza ormai è ridotta a un cumulo di macerie e che il resto della Palestina versa ugualmente in condizioni disperate. E nemmeno quelle del Libano, il prossimo obiettivo, a quanto pare, come nel 2006, con rischi assai maggiori rispetto ad allora. Qualora il conflitto dovesse estendersi all’Iran, difatti, potrebbe diventare mondiale. Ancor più della tragedia ucraina, infatti, la bomba mediorientale è pronta a esplodere e una sua eventuale deflagrazione porrebbe tutti i contraenti del Patto atlantico di fronte a un dilemma: sostenere ancora Israele, divenendo corresponsabili della mattanza, o abbandonarlo, manifestando la propria palese debolezza e facendo un favore immenso a Cina, Russia Iran e al vasto universo che vorrebbe ridefinire l’ordine globale? Se a ciò aggiungiamo il protagonismo della Turchia di Erdoğan, desideroso di esercitare un ruolo di leadership permanente nel mondo musulmano, abbiamo chiari i contorni del potenziale disastro che ci attende. Senza contare che la vacanza americana aggiunge incertezza a incertezza, rendendo l’Occidente pressoché non pervenuto, data l’inconsistenza e le divisioni che pervadono l’Unione Europea.
Nel frattempo, un numero spaventoso di cronisti è stato assassinato, l’informazione sta dando il peggio di sé, il dibattito pubblico si è trasformato in uno scontro fra opposte tifoserie e siamo in balia di un degrado morale, oltre che politico, senza precedenti.
In tanta malora, ci permettiamo di suggerire alle forze progressiste di compiere l’unica scelta che abbia senso in questa fase: incalzare il governo con la proposta di promuovere un’iniziativa simile alla Conferenza di pace che si tenne a Roma nell’estate di diciotto anni fa. Sappiamo che il prestigio di questo esecutivo è nettamente inferiore e sappiamo anche che non se ne farà nulla, ma la proposta non è inutile. Restituirebbe, difatti, all’opposizione un ruolo, una missione e un senso, anche oltre i confini nazionali, in una fase storica in cui non ha ancora definito la propria identità.
Non ci spingiamo a chiedere un’iniziativa europea per ridefinire l’ordine globale su una base multilaterale e policentrica: non siamo ingenui fino a questo punto. Certo è, questo va detto, che se l’Europa continua a latitare, presto cesserà di esistere.