di Saverio Lodato
Verrebbe da dire: antimafia fai da te? Haiahiahihahihiiiii …
Tanto tuonò che piovve! Contrordine, compagni: “Ma questo Totò Riina, dove vuole arrivare?”
Scrive infatti Dagospia: “A che gioco gioca Totò Riina? Le sue rivelazioni registrate in carcere puzzano di depistaggio”.
Scrive la Stampa: “I conti non tornano più: Totò Riina fa “rivelazioni” sulla strage Borsellino e al suo compagno di “socialità” Alberto Lorusso … racconta che l’inferno in via D’Amelio lo avrebbe scatenato involontariamente lo stesso giudice”. E ancora: “Chi indaga comincia a pensare che Riina voglia allontanare i sospetti dai Servizi, con i quali non potrebbe mai ammettere di avere avuto rapporti … Le presunte rivelazioni di Riina …”.
Scrive il Corriere della Sera: “Come provenissero da una distilleria i colloqui intercettati tra Totò Riina e il suo ex compagno di “ora d’aria” … continuano a filtrare goccia dopo goccia, non nella loro interezza ma a pezzetti e riassunti …”
Depistaggio. Conti che non tornano. Presunte rivelazioni. Rivelazioni a goccia a goccia. Ci siamo arrivati. Finalmente, la gran cassa dei media comincia a interrogarsi sui monologhi di Riina e sul ruolo della sua “spalla”, quell’Alberto Lorusso che qualche “zampino”, o qualche “zampona” – ci sia consentita l’autocitazione (Antimafiaduemila 9 marzo) – gli mise accanto per ottimizzare la pièce teatrale del vecchio “don” Totò. Meglio tardi che mai.
Certo. Ci sono ancora giornali che sull’ argomento si stanno prendendo una pausa di riflessione, ma scommetteremmo che, da qui a breve, la diffusione del “contrordine, compagni” diventerà virale.
Ora cerchiamo di riflettere sul significato di quanto sta accadendo.
1) Il processo sulla Trattativa Stato-Mafia, che si celebra a Palermo, per molti rappresenta una cappa pesante che provoca il panico. E quel processo, di conseguenza, va, con mezzi leciti e illeciti, esorcizzato, ignorato, sminuito, sbeffeggiato, demolito, in una parola: “sputtanato”. Non ci riferiamo solo all’interesse individuale dei 12 imputati (il che sarebbe persino comprensibile). Ma all’intero mondo, gelatinoso e ambiguo, che si muove, per tantissime ragioni, alle loro spalle. Ecco perché noi non ci siamo mai meravigliati che storici, giuristi, politici, giornalisti, abbiano sentito il bisogno di correre in soccorso di tutti coloro i quali, da quel processo, si sentono minacciati. Sappiamo benissimo che cane non mangia cane.
2) Ma pretendere, come è accaduto sin qui per scelta della grancassa dei media, che il processo sulla Trattativa sia un corpo estraneo alle vicende che riguardano oggi la mafia, denota soltanto superficialità? E’ innegabile che “apprendisti stregoni” sull’argomento, in giro, ce ne sono parecchi. Ma l’omissione è talmente vistosa da lasciare sorgere più di un interrogativo su comportamenti improntati a banale superficialità.
3) Come è impossibile prescindere dal processo di Palermo, così è impossibile prescindere dal ruolo improprio giocato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, in proposito, ha “fatto” e “strafatto” mentre, sin dall’inizio, avrebbe dovuto soltanto spronare la Procura di Palermo a cercare la verità qualunque essa fosse. Il non averlo fatto colpirà l’attenzione degli storici del futuro, meglio di niente.
4) Di conseguenza, però, i “desiderata” del Capo dello Stato hanno rappresentato una gigantesca palla al piede per giornali e televisioni. In nessun paese al mondo – lo ripetiamo: nessuno – un processo come quello di Palermo passerebbe sotto silenzio. Ma ce ne accorgiamo? Non ci sono inviati. Si contano sulle dita di una mano le immagini televisive. Non c’è un approfondimento a servizio del lettore o dello spettatore. L’evento, mediaticamente, viene coperto (si fa per dire) con sciatteria, da forze impegnate sul campo che definire “esigue” saprebbe già di iperbole, confinato nelle pagine locali. Insomma: il “presepe” non piace.
5) Ma tutto questo – badate bene – non fa altro che dimostrare quanto sia enorme la partita in gioco. Prova ne sia che, in questo mosaico, si sono inserite le minacce di morte a Nino Di Matteo, il pubblico ministero attuale titolare dell’inchiesta. Come fosse emesso da un elefante piombato in una cristalleria, si è fatto sentire il barrito di Totò Riina.
6) Perché serviva Riina? Perché occorreva un “pezzo da novanta” criminale, nell’immaginario collettivo, per spostare l’attenzione da Stato-Mafia e Mafia-Stato (sempre il 9 marzo) alla mafia per gli allocchi. Quella senza aggettivazioni particolari. Quella tutta coppole e lupara. Quella che, solo per i suoi “meriti”, godrebbe ancora di ottima salute in un Paese industrializzato e moderno, a oltre centocinquanta anni dalla sua nascita.
7) Che alla politica italiana questa vulgata vada benissimo, lo prova ormai il silenzio spettrale di ex partiti di opposizione – ci vengono in mente il Pd e Sel – che in passato, invece, costituivano punti di riferimento di massa per milioni di cittadini che si appassionavano alla “questione morale”. Quanto alla destra, e al centro destra, si può solo dire: “mai pervenute”.
8) Si dà il caso, però, che le minacce di Riina (altrimenti inspiegabili) hanno ringalluzzito i difensori di tre imputati al processo di Palermo (Mori, Subranni e De Donno) che per “ragioni di ordine pubblico” (sic!) ora chiedono che il processo vada via da Palermo. Che capolavoro! Quale meraviglioso arabesco è stato via via disegnato dall’inizio delle polemiche sull’inchiesta sulla trattativa sino a oggi, con la richiesta degli avvocati degli imputati!
9) Eppure non ci voleva molto a capire. Quanto impiegheranno ancora le autorità a trascrivere il definitivo colloquio carcerario fra Riina e tal Lorusso? Forse Rustichello da Pisa, per raccogliere le memorie di sir Marco Polo, impiegò più tempo: ma resta il fatto, a sua attenuante, che doveva resocontare quasi un giro del mondo.
10) Ora che qualcuno ha finalmente aperto gli occhi, ci auguriamo solo che la Grande Informazione decida di correre ai ripari, recuperando il tanto tempo perduto.
Speriamo.
13 marzo 2014