Vogliamo dare risalto quanto accaduto in Turchia durante i funerali per la morte del quindicenne Berkin Elvan, causata dalla brutale ed esagerata forza della Polizia turca, sostenuta dal governo di Tayyip Erdogan.
Due articoli che spiegano molto bene come la borghesia non conceda nulla agli oppressi nemmeno sul versante della conservazione del verde pubblico o di fronte ad un funerale.
MOWA
Turchia: la polizia contro il funerale di Berkin, ancora morti
di Marco Santopadre
Sono scesi in piazza a milioni in tutta la Turchia, dando vita alla maggiore ondata di proteste contro il governo, la repressione, l’autoritarismo e la corruzione da quando nell’autunno scorso si era spento – sotto i colpi degli arresti di massa e della censura – il vasto moto popolare che durante l’estate aveva contestato i liberal-islamisti al potere e in particolare il ‘sultano’ Recep Tayyip Erdogan.
Ad accendere di nuovo la miccia è stata la morte, martedì mattina, del giovanissimo Berkin Elvan, 15 anni, colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo da un poliziotto nel giugno del 2013, e rimasto in coma fino a quando il ragazzino non ha smesso di respirare.
Immediatamente l’indignazione ha spinto nelle strade e nelle piazze una massa enorme di gente: normali cittadini insieme ai lavoratori dei sindacati di classe, i militanti dei partiti di sinistra insieme ai componenti della comunità alevita, tanti studenti e giovani. Ovunque le manifestazioni sono state attaccate con la consueta violenza dai reparti antisommossa della polizia coadiuvati dai Toma che hanno inondato i dimostranti di acqua a pressione mista ad agenti chimici urticanti. E non sono mancati i bombardamenti dei letali gas lacrimogeni che hanno causato la morte di numerose persone negli ultimi mesi. Secondo numerose testimonianze la polizia è arrivata a sparare sulla folla con dei fucili semi-automatici che lanciano micidiali pallottole a frammentazione.
Nonostante la dura repressione però la protesta non si è fermata, e a centinaia di migliaia nella tarda mattina di ieri si sono riuniti nel quartiere di Okmeydani – dove viveva la giovanissima vittima insieme alla sua famiglia – per dare l’ultimo saluto al piccolo Berkin e per gridare il proprio odio contro Erdogan – apostrofato come ‘assassino’ e ‘ladro’ – e i suoi aguzzini. La marea di gente era tale da paralizzare la megalopoli del Bosforo, costringendo il comune a chiudere al traffico strade e autostrade.
In contemporanea altri cortei erano in marcia nella capitale ed anche a Smirne, Koaceli, Adana, Samsun, Bursa, Canakkale, Antakya, Malatya, Kocaeli e Dersim.
Dopo la funzione funebre celebrata nella locale cemevi – il luogo di culto delle comunità alevite – l’imponente corteo si è spostato verso il quartiere di Osmabey ingrossandosi di nuovi partecipanti. Secondo il quotidiano Hurriyet almeno 100 mila persone hanno accompagnato nel primo pomeriggio il corteo funebre di Berkim Elvan attraverso la zona europea di Istanbul fino al cimitero di Ferikoy, dove il ragazzino è stato finalmente sepolto. Ma basta guardare i video del corteo per accorgersi che il numero dei partecipanti era di molto superiore.
Immediatamente dopo la fine della sepoltura la folla è stata di nuovo attaccata dalle forze dell’ordine ma a migliaia hanno resistito rispondendo con una guerriglia urbana durata per molte ore, erigendo barricate nel tentativo di rallentare i reparti antisommossa e i Toma che hanno inondato interi quartieri di gas e acqua sparata contro i dimostranti che lanciavano pietre.
La polizia aveva evidentemente avuto l’ordine di non permettere alla folla di raggiungere Piazza Taksim e la violenza della repressione è cresciuta man mano di intensità, sia nei quartieri centrali della metropoli sul Bosforo dove gli agenti hanno fatto ampio uso di manganelli e proiettili di gomma sia in molte altre città dove nel frattempo erano iniziati duri scontri tra manifestanti e forze di sicurezza.
La prima vittima è stata paradossalmente un poliziotto di 30 anni, Ahmet Kucuktag, stroncato da un attacco di cuore mentre partecipava alla repressione nella città di Tunceli, nell’Anatolia centro-orientale. Secondo i medici sono stati proprio i lacrimogeni sparati da lui e dai suoi colleghi contro la folla a causargli il fatale infarto.
Nella serata di ieri poi è arrivata la notizia di un altro morto, il 22enne Burak Karamnoglu. Secondo alcune fonti sarebbe rimasto ucciso nel corso di violenti scontri tra alcuni gruppi di manifestanti e sostenitori del regime di Erdogan nel quartiere di Kurtulus, a Istanbul. Secondo queste fonti sarebbe stato raggiunto da un colpo di pistola alla testa. Incerta la sua affiliazione politica: c’è che afferma che fosse un simpatizzando del partito nazionalista di destra Mhp e chi invece appartenesse al partito di governo Akp.
Non si contano i feriti – alcuni dei quali gravi – e gli arrestati nel corso della giornata della rabbia di ieri in tutta la Turchia. Solo ad Ankara sarebbero almeno 100 le persone arrestate nelle ultime 48 ore mentre nella capitale un uomo è in fin di vita dopo esser stato colpito al ventre dal getto di un idrante della Polizia che lo ha investito da soli due metri di distanza e a Istanbul è un giovane venditore di riso di 17 anni ad essere in gravi condizioni dopo che un candelotto lacrimogeno lo ha colpito alla testa.
Ma in queste ore le strade e le piazze della Turchia continuano a grida Berkin Elvan Ölümsüzdür, “Berkin Elvan è immortale”
13 Marzo 2014
La morte di Berkin Elvan in Turchia
Un quindicenne è morto a Istanbul dopo nove mesi di coma: era stato ferito durante una manifestazione per il parco Gezi ed è diventato un simbolo delle proteste contro Erdoğan
Martedì 12 marzo è morto – dopo nove mesi di coma – Berkin Elvan, un quindicenne turco che restò gravemente ferito durante gli scontri a Istanbul dello scorso giugno tra polizia e attivisti che si opponevano alla distruzione del parco Gezi. Elvan, che fu colpito da un candelotto di gas lacrimogeno mentre andava a comprare il pane, è diventato col tempo il simbolo della dura repressione delle forze di sicurezza turche in quei giorni di protesta. I funerali si terranno oggi a Istanbul.
L’annuncio della morte di Elvan è stato dato dalla famiglia su Twitter. Secondo la stampa turca, la madre avrebbe detto: «Non è stato Dio a portare via mio figlio, ma [il primo ministro Recep] Tayyip Erdoğan». Migliaia di persone hanno partecipato a nuove manifestazioni e proteste in diverse città turche, chiedendo le dimissioni di Erdoğan. Ad Ankara e a Istanbul la polizia ha disperso la folla usando gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, e ci sono stati piccoli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti.
Da martedì in alcune città delle Turchia si è diffuso anche un diverso tipo di proteste: come racconta il giornale turco Hurriyet, la manifestazioni sono iniziate prima ad Ankara, quando nel quartiere centrale di Kızılay un attivista si è seduto per terra, da solo, con un pezzo di pane e un foglio con scritto «Io sono Berkin». Poco a poco molte altre persone si sono sedute accanto a quel primo attivista, rimanendo in silenzio, e nel corso della giornata manifestazioni simili si sono sviluppate anche a Istanbul, Antalya e Smirne. Una protesta silenziosa simile a questa c’era già stata a metà del giugno 2013, iniziata quando il coreografo e artista turco Ardem Gündüz rimase per più di cinque ore di seguito in piedi davanti al Centro Culturale Ataturk in piazza Taksim, a Istanbul.
Negli ultimi nove mesi i problemi per il governo turco sono cresciuti progressivamente e le proteste contro Erdoğan praticamente non si sono mai fermate. Le manifestazioni del giugno scorso iniziarono per l’opposizione di alcuni abitanti di Istanbul a un progetto di ristrutturazione del parco Gezi, vicino alla centrale piazza Taksim. Col passare dei giorni, tuttavia, le proteste si trasformarono in qualcosa d’altro: oltre a diffondersi in tutto il paese, le richieste degli attivisti non si limitarono più alla sola questione locale del parco, ma coinvolsero direttamente il governo turco, accusato di autoritarismo ed eccessivo conservatorismo.
Più recentemente il governo di Erdoğan è stato direttamente coinvolto nelle indagini su una complessa storia di corruzione che ha portato all’arresto dei figli di alcuni ministri e a un successivo e massiccio rimpasto di governo. Erdoğan ha definito l’operazione della polizia e della magistratura un “complotto” per far cadere il governo e ha accusato Fethullah Gülen, influente studioso turco residente negli Stati Uniti e fondatore del movimento islamista Hizmet (“servizio”), di esserne il responsabile. Lo scontro tra Erdoğan e Gülen, a differenza delle proteste dei mesi precedenti e in particolare quelle diffuse attorno alla questione del parco Gezi, si è sviluppato all’interno del mondo islamista turco e ha aperto un più ampio scontro tra potere esecutivo e magistratura, che Erdoğan accusa di essere manovrata da Gülen.
Negli ultimi tre mesi la situazione politica in Turchia si è fatta ancora più tesa e difficile, dopo che su internet sono apparse delle intercettazioni telefoniche tra Erdoğan e diversi media e rappresentanti di imprese turche piuttosto imbarazzanti per il governo. In una delle ultime, diffusa il 24 febbraio su Youtube, Erdoğan avrebbe detto al figlio minore Bilal di “far sparire vari milioni di euro” nascosti nelle case dei parenti, per proteggersi dal grande scandalo di corruzione che ha coinvolto, tra gli altri, anche lo stesso Bilal.
12 marzo 2014