Importante comprendere le collusioni e le complicità prima di trarre conclusioni affrettate e quest’articolo ci aiuta in tal senso ma anche quest’altro [1] smitizza alcune ideologie che apparentemente sono antitetiche tra loro… Non vi pare?
MOWA
Cernigoi
Dopo la destabilizzazione arancione in Ucraina, che ha riportato in auge i neonazisti ed i nazionalisti, nella penisola di Crimea, la cui popolazione ha deciso, a schiacciante maggioranza, di volersi staccare da Kiev ed annettersi alla Russia (referendum che, detto per inciso, non è stato accettato da USA e UE, che pure a suo tempo non avevano esitato a scatenare un’aggressione armata contro la Jugoslavia a sostegno dell’UCK che voleva l’indipendenza del Kosovo), è interessante leggere sul bollettino della comunità degli italiani di Crimea le felicitazioni della comunità stessa per la nomina della professoressa Stefania Giannini a ministro dell’istruzione nel governo Renzi.
Giannini, già alla dirigenza dell’Università per stranieri di Perugia, aveva fatto sì che gli studenti di origine italiana che provenivano dalla Crimea potessero studiare gratuitamente presso quell’Ateneo (http://cerkio.livejournal.com/); in concreto si è trattato dell’istituzione di cinque borse di studio.
Che vi sia una comunità italiana in Crimea è cosa forse poco nota, quindi facciamo brevemente un po’ di storia. All’inizio del Diciannovesimo secolo vi fu una forte migrazione di italiani verso la Crimea, soprattutto dalle regioni meridionali come la Puglia, in seguito alla decisione dello Zar di sviluppare la portualità sul Mar Nero. Questo portò ad un’immigrazione variegata in una terra che all’epoca era poco abitata, e tuttora la popolazione della Crimea è multietnica, comprendendo russi, ucraini, tatari, ed altre etnie minoritarie.
Gli italiani (anche se andrebbe ricordato che in quei tempi l’Italia era ancora “un’espressione geografica”, per dirla con Metternich) si stabilirono per lo più nella città di Kerč, e raggiunsero, agli inizi del Ventesimo secolo, una percentuale del 2%.
In seguito alla Rivoluzione bolscevica alcune famiglie ritornarono in Italia, ma successivamente altri italiani antifascisti emigrarono verso la Crimea.
Nel sito di un’organizzazione “umanitaria” (L’uomo libero onlus, sulla quale torneremo più avanti) si legge quanto segue:
“La calma però venne sconvolta dalle purghe staliniane, tra il 1933 e il 1937.
Inseriti nella famigerata Trudarmia, ‘l’armata del lavoro’, furono schiavizzati e sfruttati per lavori coatti. I pochi sopravvissuti vennero deportati in Siberia da dove non tornarono più.
Degli oltre 1300 italiani che abitavano la ridente Kerč, ad oggi sono solo 300 i superstiti del genocidio, ma condividono un forte senso di appartenenza di appartenenza alla comunità italiana; orgoglio tramandato a figli e nipoti”.
In realtà le cose non andarono proprio così, almeno da quanto si legge nei pannelli di una mostra curata proprio dalla stessa associazione, mostra inaugurata a Trieste il 18 marzo scorso.
All’epoca della collettivizzazione delle terre le famiglie italiane di Crimea furono tra le più refrattarie ad aderire ai kolchoz, e nel pannello dedicato alle vittime delle “purghe staliniane” si parla di 160.000 ucraini, senza però specificare se alla fine degli anni 30 ne rimasero vittime anche gli italiani di Crimea. Si parla invece di una deportazione dei suddetti avvenuta durante la guerra: nel 1941 la penisola fu occupata dalle truppe naziste e dopo la prima liberazione da parte dell’Armata rossa la comunità italiana (va ricordato che l’Italia fascista aveva invaso l’Unione sovietica), nel gennaio 1942 fu trasferita lontano dal fronte, sia per motivi di sicurezza nazionale, sia per allontanarli dalla zona di combattimento, come avveniva anche per gli altri abitanti della zona. Non si trattò necessariamente di una deportazione su base etnica, perché anche in tutti gli altri paesi avversari dell’Asse i cittadini tedeschi, italiani e giapponesi furono internati, ricordiamo ad esempio le vicissitudini dello scrittore antinazista ebreo Fred Uhlman, riparato a Londra, che nonostante avesse sposato una cittadina britannica fu detenuto a lungo in un campo per tedeschi prima di potersi ricongiungere alla famiglia.
La Crimea fu occupata nuovamente dai nazisti pochi mesi dopo e definitivamente liberata appena nel 1945; dei 2.000 italiani (cifra che contrasta con quella di 1.300 che abbiamo letto sopra) che erano stati inviati ad est rientrarono in 500, ma non è stato specificato nella conferenza di presentazione della mostra quanti furono i morti: è stato detto invece che molti dei deportati decisero di rimanere dove si trovavano e si ricostruirono lì una vita, cosa che può essere comprensibile se si considera che la città di Kerč era stata quasi completamente distrutta durante la guerra e per la ricostruzione ci vollero molti anni.
La comunità italiana di Crimea, che oggi raccoglie circa 300 persone (su 2 milioni di abitanti) è rappresentata dall’associazione Cerkio, che pubblica un bollettino reperibile anche in rete (http://cerkio.livejournal.com ) ed è presieduta da Giulia Giacchetti Boico, che ha scritto alcuni libri sulla sua comunità, pubblicati in Italia dalla Settimo sigillo.
Apriamo una parentesi su questa casa editrice, fondata da Enzo Cipriano che ha così narrato la sua esperienza editoriale:
“Le edizioni Settimo Sigillo nascono a Brescia, dove allora ero esule in Patria nel 1982. Quattro amici (e perché no Camerati) si tassano per 500.000 lire a testa e nasce la casa editrice. Il primo libro editato Architettura e Tradizione di Carlo Fabrizio Carli. L’anno successivo, il 1983, durante una trasferta politica a Roma vengo a conoscenza della “messa in vendita” della Libreria Europa e fatti i bagagli mi trasferisco a Roma (…) Ho provato con Erra e Rutilio Sermonti a fare qualcosa di politico, in senso stretto, per unire o quantomeno cercare di non far litigare le varie anime della cosiddetta Destra. Operazione fallimentare” (in http://www.mirorenzaglia.org/2009/03/enzo-cipriano-leditore-tra-storia-e-verita/ ).
Per la cronaca gli storici militanti dell’MSI Enzo Erra e Rutilio Sermonti, ex repubblichini, avevano frequentato durante la guerra la scuola della Guardia Nazionale Repubblicana; Sermonti fu tra i fondatori del movimento Ordine Nuovo negli anni ’50, mentre l’evoliano Erra, appartenente alla corrente dei Figli del sole assieme a Pino Rauti, è stato indicato da un ex ordinovista poi divenuto collaboratore di giustizia, come uno dei neofascisti “arruolati” dai servizi britannici per costituire un gruppo che “contrastasse il comunismo” a Trieste (Stefania Limiti, “Doppio Livello”, Chiarelettere 2013, p. 79, 80).
Nel Settimo sigillo possiamo trovare titoli di autori neo e post-fascisti come Erra, Nino Tripodi, Adriano Romualdi, Mario Merlino (l’infiltrato tra gli anarchici romani al tempo di piazza Fontana), Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia nazionale), Cesare Ferri (il neofascista bresciano che era stato accusato di avere preso parte all’attentato di piazza della Loggia: prosciolto, ricevette un indennizzo di cento milioni di lire per l’ingiusta detenzione subita); ma anche del filosofo comunitarista Costanzo Preve (che proprio per Settimo sigillo ha pubblicato un testo in cui “dialoga” con Luigi Tedeschi sulle tematiche del fascismo di sinistra; di Luigi Papo (l’esponente del neoirredentismo adriatico che era stato denunciato dalla Jugoslavia per crimini commessi durante l’occupazione nazifascista e la cui posizione era stata archiviata dal ministro Scelba, stando al racconto dello stesso Papo) e di un altro sedicente “specialista” di foibe e confine orientale, il medico romano Vincenzo Maria De Luca, relatore su questi temi in convegni organizzati da Forza nuova e CasaPound.
Forse non a caso sul bollettino di Cerkio si trova, oltre a riferimenti alla situazione degli esuli istriani, anche la promozione dello spettacolo neo-irredentista Magazzino 18 di Simone Cristicchi, che sulla propria pagina Facebook ha peraltro a sua volta dedicato un post di solidarietà agli italiani di Crimea.
Si diceva che, con eccezionale tempismo dato il momento storico, è stata inaugurata a Trieste una mostra sugli italiani di Crimea, curata dalla Libreria Editrice Goriziana su testi dell’associazione L’uomo libero onlus, alla presenza dell’assessore comunale alla Cultura Franco Miracco. Nella presentazione, coordinata dal giornalista Rai Stefano Mensurati (che ha iniziato la propria carriera collaborando all’organo dell’MSI Il Secolo d’Italia), abbiamo sentito gli interventi del docente di scienze strategiche Arduino Paniccia (cavaliere del Sovrano militare ordine di Malta ed amico di Edward Luttwak) e (collegati via skype) quelli di Giulia Giacchetti Boico e del giornalista Fausto Biloslavo, il reporter di guerra inviato del Giornale in Ucraina, militante nel Fronte della Gioventù negli anni 70 e poi co-fondatore assieme ad altri “camerati” triestini (Gian Micalessin ed il defunto Almerigo Grilz) dell’agenzia giornalistica Albatross, specializzata in reportages da zone di guerra.
Un particolare piuttosto strano è stato sentire la voce di Giacchetti Boico, perché alcuni giorni prima avevamo sentito trasmessa da Radio Capital, in concomitanza con il referendum in Crimea, un’intervista telefonica ad una persona che era stata presentata proprio come Giulia Giacchetti Boico, ma che parlava in modo completamente diverso, senza accento russo e con un diverso timbro vocale: questa intervistata sosteneva che la comunità italiana era favorevole all’annessione alla Russia, cosa che invece non è sembrata emergere dall’intervento della Giacchetti Boico collegata via skype.
Era presente anche il fondatore dell’Uomo libero, Walter Pilo (un ristoratore trentino che vive e lavora ad Arco, sul lago di Garda), e parliamo ora delle svariate organizzazioni di “solidarietà” umanitaria messe in piedi negli ultimi vent’anni dall’estrema destra (che, detto per inciso, si recano spesso negli istituti scolastici a parlare delle proprie attività) cominciando dalla notizia che vedeva l’onlus di CasaPound “Solidarité-Identités, già impegnata in progetti di solidarietà in Birmania, Kosovo e Kenya” protagonista di un incontro alla festa di CasaPound del 2011 “per discutere della funzione dell’associazionismo nel settore della cooperazione con Franco Nerozzi della comunità solidarista Popoli e Walter Pilo de l’Uomo libero onlus” (https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150272743140426).
L’uomo libero è nato nel 1990 (“dopo la caduta del muro di Berlino”, leggiamo nel loro sito http://www.luomolibero.it/ ) “come sodalizio culturale per poi estendere le sue attività al volontariato e alle iniziative di solidarietà internazionale che, con il trascorrere degli anni, si sono a tal punto moltiplicate da trasformare il sodalizio in una vera e propria associazione umanitaria” ed è diventata onlus nel 1993. “Le prime iniziative degne di nota” leggiamo ancora “risalgono al 1990, con i viaggi nell’est europeo. Ecco allora i viaggi in Romania, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e soprattutto in Lituania dove la popolazione combatteva ancora nelle strade contro le truppe speciali dell’Armata Rossa sovietica”.
Ed in un’intervista Pilo ha dichiarato: “A Vilnius, ancora presidiata dall’Armata rossa, mi ritrovai nel bel mezzo di un raduno del movimento Sajudis, che aveva proclamato l’indipendenza dall’Urss. Quando seppe che era presente un italiano, il presidente della Repubblica, Vytautas Landsbergis, volle che salissi sul palco. Io, imbarazzatissimo, me la cavai con quattro parole in inglese sulla libertà” (http://www.ilgiornale.it/news/italiani-perseguitati-stalin-e-poi-dimenticati-crimea.html).
Apriamo qui una parentesi, perché noi ricordiamo che all’epoca della rivolta contro Ceausescu partivano per la Romania da Trieste diversi furgoni in regime TIR, cioè sigillati alla partenza e apribili solo a destinazione, che non sappiamo cosa portassero, ma sembra che ad organizzare il tutto fossero state personalità del calibro del socialista Arduino Agnelli assieme all’ex ordinovista Francesco Neami ed al suo sodale Claudio Bressan (che avendo la moglie di origine romena probabilmente partiva avvantaggiato nei contatti). Così come gli esponenti missini Roberto Menia (che fu poi parlamentare e sottosegretario in uno dei governi Berlusconi) e Gilberto Paris Lippi (successivamente eletto consigliere regionale e nominato vicesindaco) si sono fatti un vanto di avere parlato il 12/3/90 a Timisoara a 15.000 romeni per portare la solidarietà della “gioventù italiana”, dopo avere raggiunto “la Romania in rivolta nel dicembre 1989, per portare concreta solidarietà alla popolazione” (o almeno così si legge in “20 anni di lotta e di sogni” edito dal Fronte della Gioventù di Trieste nel 1992: un po’ come sarebbe accaduto a Pilo a Vilnius). E vale la pena di ricordare che nell’agosto del 1997 a Trieste, in occasione dell’inaugurazione di una mostra sui Daci, il console di Romania paragonò la spedizione romana che sottomise la Dacia alla spedizione triestina che andò a portare aiuti agli insorti romeni nel dicembre 1989.
Torniamo all’Uomo libero per leggere come si è sviluppata la loro attività.
“La guerra civile nell’ex Jugoslavia ha determinato la svolta nell’associazione impegnandola totalmente nei confronti delle popolazioni colpite. Durante tutto il conflitto l’Uomo Libero ha sostenuto ben trentotto viaggi per trasportare aiuti umanitari” ed ha sviluppato “rapporti di stima e collaborazione con molte realtà: in particolare quella di Vitez, nella Bosnia centrale”.
Piccola parentesi per annotare che la località di Vitez è nota soprattutto per avere dato il nome (Vitezit) ad un particolare esplosivo militare a base di tritolo prodotto in quella cittadina; il Vitezit sembra essere stato usato sia per le stragi di piazza Fontana che di piazza della Loggia ed etichette di esso sono state trovate nel corso delle perquisizione a Giovanni Ventura ed al neofascista bresciano Silvio Ferrari, morto a causa dello scoppio dell’esplosivo che trasportava con la Vespa pochi giorni prima della strage di Piazza della Loggia.
Dal dicembre 1991 l’Uomo Libero segue con attenzione la realtà balcanica intervenendo con iniziative specifiche in Croazia, in Bosnia, in Serbia, in Romania; ma anche in America Latina e “nel 1999 e 2000 l’Uomo Libero è intervenuta (raro esempio in Europa) anche nella Serbia bombardata”.
Qui vogliamo segnalare che esistono peraltro svariate organizzazioni non governative umanitarie non di estrema destra che sono intervenute in solidarietà alla popolazione serba bombardata, citiamo (una fra tutte) l’onlus “non bombe ma solo caramelle”, che nel corso degli anni ha contribuito in modo concreto per curare, assistere e fare studiare bambini e ragazzi che hanno avuto la loro vita sconvolta dall’aggressione Nato del 1999.
L’Uomo Libero ha poi aderito all’attività dell’Associazione internazionale Rainbow “nel contesto dell’iniziativa Le città europee contro la droga”. Segue un fitto elenco di iniziative tra cui spiccano una mostra su Guareschi, un convegno sulla figura di Ezra Pound (con la presenza della figlia Mary de Rachewiltz e lo scrittore Giano Accame), incontri con don Benzi e don Ciotti sulle problematiche giovanili, e conferenze “sui più svariati temi”: dalla politica internazionale (questioni irlandese, tibetana, dei nativi americani, palestinese); Sinistra e Destra; la filosofia Zen; Mafia e Massoneria; la strage di Ustica; tre conferenze sull’identità dei popoli con relatori Vittorio Messori, Gianni Baget Bozzo e Franco Cardini. Citiamo anche un seminario su “tematiche di economia, geopolitica, politologia, filosofia” svoltosi a Pergine con docenti universitari provenienti da tutta Europa ed intitolato “Università d’Estate” e la presentazione a Trento della pubblicazione del “Manifesto di Unabomber. Contro la società tecnologica” con la partecipazione di Alessandra Colla (direttrice della rivista comunitarista fondata da Claudio Mutti Eurasia e collaboratrice di Maurizio Murelli) e Claudio Risè (29/4/98). Il libro, edito da Stampa Alternativa, raccoglie parte delle dichiarazioni fatte da Theodore Kazscynski (“l’ecoterrorista” soprannominato Unabomber) al momento del suo arresto e commentate da altre persone
Un altro progetto lo troviamo in Kosovo a sostegno delle enclavi serbe prive di energia elettrica; e dal 2007 uno a favore dei Karen, della Birmania orientale, un popolo che gode della solidarietà anche di altre associazioni, come CasaPound ma soprattutto la Popoli fondata dal giornalista veronese Franco Nerozzi. Questi, che nei primi anni ’90 lavorava per la Rai e fu inviato anche in Afghanistan, nel 1993, fu protagonista di un blitz all’ospizio di Rovigno, assieme alla sua concittadina Nidia Cernecca che lo aveva contattato per andare a cercare le prove contro colui che lei riteneva responsabile della morte del padre (il segretario comunale di Gimino Giuseppe Cernecca, scomparso durante gli eventi post-armistiziali in Istria nell’ottobre 1943), Ivan Motika. A Rovigno i due andarono da un ricoverato novantenne cieco, un certo Tomissich, con la telecamera per filmarlo di nascosto e Cernecca riferì di avergli chiesto a bruciapelo: “Lei ha ucciso mio padre?” e lui le rispose “senza indugio: Eh, sì!” (in “Foibe. Io accuso”, Controcorrente 2004).
Nel dicembre 2002 Nerozzi si trovò coinvolto nelle indagini condotte dalle Procure di Verona e di Torre Annunziata su un sospetto traffico di “mercenari”, finiti in un giro di mercanti d’armi e di armati da mandare in varie parti “calde” del mondo a destabilizzare (o ristabilire l’ordine, a seconda del committente dell’incarico) in zone come le isole Comore, ma anche la Bosnia, il Ruanda, la Birmania. Si era ventilato dunque il sospetto che l’attività “umanitaria” e “solidaristica” di Nerozzi fosse servita come copertura per altre attività illecite.
Tra gli altri indagati (prosciolto in istruttoria) un altro veronese, Giulio Spiazzi, figlio del più ben noto generale Amos, che scelse come proprio avvocato il veronese Roberto Bussinello, allora esponente di Forza nuova ma anche legale del padre.
Nell’ottobre del 2003, quando era ancora indagato, Nerozzi partecipò a Trieste ad un convegno organizzato dall’Associazione Novecento e dedicato ai “crimini” dei “regimi comunisti”, presentandosi come “bieco e delirante anticomunista”, e parlando dell’attività in favore dei Karen, mentre un’altra relatrice, l’esponente radicale, allora candidata alle elezioni provinciali, Christina Sponza, parlò della solidarietà portata dal suo partito ai Montagnards del Vietnam (popolo che ha sempre combattuto contro i vietnamiti, collaborando con gli occupatori, i francesi prima e gli statunitensi dopo).
L’impressione dunque è che per Popoli come per l’Uomo libero le tematiche di solidarietà internazionale siano fatte con motivazioni chiaramente anticomuniste, e nel caso della seconda associazione si affiancano ad altri progetti con finalità simile, come il sostegno per realizzare un film sul cosiddetto “eccidio di Codevigo”, cioè l’esecuzione, più o meno sommaria, di un centinaio di persone (in maggioranza militi della GNR e delle Brigate Nere), avvenuta presso Padova tra maggio e giugno 1945. Episodio questo che, assieme ai regolamenti di conti del cosiddetto “triangolo rosso” ed alle “foibe” del confine orientale, torna ciclicamente nella propaganda di criminalizzazione della Resistenza e dei partigiani, costante questa che abbiamo visto attraversare trasversalmente questo nostro breve studio.
Oggi che gli italiani di Crimea sono “sponsorizzati” da un ambiente quantomeno post-fascista, possono rappresentare, oltre all’ennesimo argomento per fare politica anticomunista, anche una scusa per mettere le mani in quella zona, dato che vi sono coinvolti dei nostri connazionali; ed il fatto che tutto ciò, dopo essere stato trattato a livello di nicchia, sia uscito a livello mediatico proprio quando nella zona tra Russia ed Ucraina è in atto una pesante manovra di destabilizzazione, non è sicuramente cosa che ci tranquillizzi.
Marzo 2014