Tre brevi constatazioni su quanto sta accadendo in Cina e le contraddizioni dei paesi occidentali.
Primo. In Cina, contrariamente a quanto sostenuto sin d’ora dall’occidente, non esiste il divieto di sciopero.
Secondo. I manager dei grandi marchi occidententali, nonostante si lamentino nei propri paesi della competitività degli altri stati, continuano a far produrre nel territorio cinese.
Terzo. La Cina deve recuperare più credibilità sul versante delle tutele; infatti, la competizione dei mercati ha reso sì grande la Cina ma, dall’altro, ha annullato alcuni concetti marxisti sull’alienazione dal lavoro.
MOWA
La Yue Yuen è la più grande produttrice di scarpe sportive al mondo e rifornisce Nike, Adidas, Puma e Asics. I suoi lavoratori però sono in sciopero da tre giorni a causa del mancato versamento dei contributi sociali.
La protesta è cominciata sabato a Dongguan, nel distretto industriale compreso tra Hong Kong e Guangzhou, quando circa seicento dipendenti hanno manifestato in strada prima di essere fermati dalla polizia. Lunedì alcune migliaia di lavoratori sono entrati in sciopero e hanno rifiutato un accordo proposto dall’azienda. Secondo la ong statunitense China Labor Watch la protesta si è ormai allargata a trentamila dei sessantamila dipendenti della Yue Yuen a Dongguan.
La violazione delle leggi sul lavoro è assai comune in Cina: in un’inchiesta condotta su oltre quattrocento stabilimenti, China Labor Watch ha rilevato che neanche uno era in regola con i pagamenti dei contributi. Negli ultimi anni però una consapevolezza maggiore dei propri diritti tra i lavoratori e la base di manodopera ridotta per il rallentamento demografico stanno cambiando i rapporti di forza nel settore produttivo.
Recentemente grandi aziende come Wal-Mart, Nokia e International Business Machines sono state colpite da scioperi e proteste, e altre come Samsung e Ibm hanno dovuto accettare di migliorare le condizioni dei loro dipendenti.
Il premier cinese Li Keqiang ha riconosciuto la necessità di privilegiare la qualità rispetto alla dimensione dello sviluppo economico creando posti di lavoro con paghe migliori, anche a costo di abbandonare il modello basato sugli investimenti esteri che ha prodotto il rapido sviluppo degli ultimi anni.
Le autorità non sembrano troppo preoccupate per i dati sulla crescita economica pubblicati il 16 aprile, secondo cui nel primo trimestre del 2014 il pil cinese è cresciuto del 7,4 per cento rispetto al 7,7 per cento dello stesso periodo del 2013. Per molti analisti il rallentamento è dovuto anche agli sforzi fatti dal governo per riequilibrare la crescita e dare maggior peso alla domanda interna e agli investimenti privati ma, se vuole conservare l’equilibrio sociale, l’economia dovrà continuare a crescere a un ritmo superiore al 7 per cento.
16 aprile 2014
foto: Una fabbrica di scarpe a Lishui, nella provincia di Zhejiang, il 24 gennaio 2013. (Lang Lang, Reuters/Contrasto)