Un salto oltre gli Urali, Russia profonda, mentre la crisi Ucraina peggiora.
In mezzo a giovanissimi cittadini del web sorpresi dalla russofobia.
da Ekaterinburg
Giulietto Chiesa
Ho fatto un salto al di là degli Urali, Russia profonda, mentre la crisi Ucraina sta prendendo la strada inclinata verso la guerra civile. E’ stato un caso: l’invito di un gruppo di giovani “creativi” a parlare del mio libro “Invece della catastrofe“. Ho scoperto che mi leggono anche da queste parti, perfino in italiano, visto che il volume è ancora in traduzione in russo.
Sono andato nel Museo Centrale di Arti Figurative a parlare di Matrix, a un pubblico di giovanissimi e di giovani. Appunto creativi: pubblicitari, designers, street-artisti, web masters, cineasti della rete, youtubers, performers di ogni tipo. Tutti, senza eccezione, vivono in Internet, a buon titolo “cittadini di Google“, qualsiasi cosa voglia dire questa espressione.
Il web è la loro casa. E non solo la loro. In tre giorni ho avuto l’impressione che la gioventù di Ekaterinburg ignori del tutto la carta stampata e la televisione: i canali ufficiali, di stato, ma anche i canali privati, generalisti e consumisti. Ed è così per tutta la Russia, profonda o meno.
Dunque l’informazione ufficiale non sfiora nemmeno questa parte di pubblico, che è assai numerosa. Città giovane, Ekaterinburg, di un milione e mezzo di abitanti, molto moderna, architettonicamente gradevole, dove l’antico (relativamente antico perché la città non ha ancora 200 anni di vita) convive comunque assai bene con il moderno e modernissimo “universale”. Cioè palazzi e grattacieli in vetrocemento come puoi vederli a Milano e a Monaco, a Parigi e a Bruxelles. Solo che in città c’è ancora il monumento a Lenin; le vie sono intitolate a Clara Zetkin, a Karl Liebchnekt, a Friedrich Engels, e, naturalmente, a Marx. Nessuno si è curato di cambiare la nomenklatura topografica.
Eppure è la città dove la famiglia imperiale fu trucidata, nell’interrato della casa degli Ipatiev. E’ cambiato solo il nome della città, tornata a chiamarsi Ekaterinburg, come ai tempi degli zar, dopo essere stata rinominata Sverdlovsk ai tempi del socialismo. Adesso l’unica casa di “quei tempi” che è stata abbattuta è proprio quella degli Ipatiev. La fece abbattere Boris Eltsin, che aveva qualche sassolino nella scarpa, essendo stato capo del partito comunista della regione prima di diventare presidente della Russia e demolitore dell’Unione Sovietica.
Ma di Boris Eltsin qui si sono dimenticati tutti: sepolto dalla cronaca più che dalla storia.
Eppure sono ragazzi tutt’altro che indifferenti, o distratti. Vladimir Putin non è il loro leader, questo è certo. Ma gli eventi di Kiev li colgono di sorpresa. Si scoprono russi, per la prima volta nella loro vita. La Crimea è diventata russa, che ne pensano? Le idee non sono chiare: ma in sostanza, per loro, quelli di Crimea sono russi che “sono tornati a casa”. Una ragazzina di non più di vent’anni mi guarda di sotto in su: “Non è così?”
E questo Putin che ignorano, si è comportato bene? Le opinioni si dividono su Putin come persona, come rappresentante della burocrazia oligarchica. Facce indifferenti, un altro mondo. Ma le decisioni prese dal Cremlino sono in generale condivise. C’è un pensiero che resta a mezz’aria e che non trova né risposta né una chiara espressione. “Perché in Europa, e in America, c’è tanto odio contro i russi?”
Ecco: per questa gioventù russa, che ha guardato e guarda all’Occidente come a un modello di valori, di estetica, e di tecnologie d’avanguardia, la russofobia che vola anche attraverso il web appare una stranezza inspiegabile.
Perfino offensiva. “Ce l’hanno con noi, perché?” Si vede una reazione irritata, che è completamente diversa dalla nostalgia dei loro padri e madri. Quelli hanno un ricordo della Grande Russia perduta. Questi non hanno nessun ricordo e non sanno spiegarsi perché vengono respinti. Sono ormai moderni abbastanza, in ogni caso, per non accettare che le colpe dei padri, vere o presunte che fossero, ricadano sui figli, cioè su di loro.
Non è ancora nazionalismo attivo, ma sono i semi dai quali nascerà. Ma, in un contesto come questo, la parola nazionalismo appare piuttosto difensiva che offensiva.
Io cerco di spiegare loro che questo non è il sentire comune della gente comune, in Italia, in Europa. Ma – visto che il tema della mia lezione è la realtà virtuale – non è difficile portare la loro attenzione sugli effetti che produce un mainstream censurato e falsificato. Se tutte le tv e tutti i giornali dicono che “Putin ha occupato l’Ucraina”, come può l’uomo della strada europeo sottrarsi all’idea che tutto quanto sta accadendo in Ucraina sia “colpa” dei russi cattivi, che vogliono la guerra?
Restano in silenzio. Poi un ragazzo, timidamente, chiede: “Ma in Europa non c’è la libertà di stampa”. C’era, c’era, caro ragazzo. Ma è la fine di un’epoca. Da noi, e da voi. Alla giovane generazione di russi, che vive in una specie di limbo di semi-benessere, libera di creare in tutte le direzioni, purché non si occupi di politica, cioè di potere, spetta il destino di guardare da vicino la crisi dell’Occidente. Fino a ieri non l’hanno vista. Adesso gli arriva addosso. E non hanno strumenti per interpretarla.
18 aprile 2014