Un governo razionale dove impiegherebbe le sue energie migliori?
di Domenico Marino
segretario Sezione Gramsci-Berlinguer di Pisa
Di fronte a una crisi di portata storica come quella in atto sentir dire dal presidente del consiglio nostrano (non usiamo volutamente il nome per discrezione visto che quest’ultimo ne ha veramente poca di discrezione e appare dappertutto come la madonna dei miracoli) che verranno aumentate, qualora ce ne fosse bisogno (quindi se gli USA lo chiedessero e lo chiederanno…), la spesa militare al 2%.
Ciò significherebbe, considerato che oggi la spesa (militare) si attesta all’1,3% che ci sarebbe un’aumento complessivo del 65% sulla spesa totale con un valore in Mld di Euro di 142. E visto e considerato che l’Italia non è la Cina e non dispone di questa liquidità se li dovrà far prestare da banche private cosa che farà aumentare il debito quindi la ricattabilità nei confronti del sistema Italia.
Ma questo fondamentalmente poco importa ai governi, anzi…
Gran parte di questi soldi, se destinati, serviranno verosimilmente a potenziare le basi Nato in Italia in chiave anti-russa e nell’ottica di ridefinizione geopolitica del medio oriente, e a comprare più armamenti – naturalmente dal primo grossista mondiale: gli Usa – Come dire: meno sicurezza a livello nazionale ma maggiore sicurezza imperialista (sempre appannaggio dell’America) a livello internazionale.
L’italia per Costituzione sarebbe un paese fondamentalmente Pacifista, e quando c’erano i comunisti (che la Costituzione l’hanno scritta in buona parte) in parlamento, l’Italia non ha partecipato mai a nessuna guerra, giusta o ingiusta, preventiva, democratica, men che meno umanitaria.
Oggi si fa come si vuole e l’Italia porta, mai in modo così indecoroso, acqua con le orecchie al capitale guerrafondaio di matrice USA.
Premesso questo è utile fare un parallelo: l’istruzione vale il 4,2% del PIL e negli ultimi anni i governi hanno fatto a gara per togliere risorse alla scuola pubblica. In Italia, negli ultimi cinquant’anni, la crescita dei livelli di scolarizzazione e l’andamento del Pil sono andati di pari passo.
Negli anni Sessanta, i diplomati nelle scuole secondarie superiori sono cresciuti del 105% rispetto al decennio precedente, con un crescita del Pil del 56%.
Negli anni Settanta, il numero di diplomati è cresciuto del 91% e il Pil del 45%.
Tendenza positiva proseguita fino al 2000, anno in cui è iniziata un’inversione di tendenza che ha visto, nella decade 2000-2010, un calo del numero dei diplomati del 6% rispetto al decennio precedente e il Pil fermo sotto il 3%.
Tutto questo non è certo un caso.
L’istruzione, nelle economie avanzate, è il più importante fattore di crescita.
Un Paese investe in istruzione e formazione per migliorare il proprio “capitale umano” sostenendo dei costi che in futuro si trasformano in maggiori guadagni.
Allo stato di oggi vista la diminuzione delle competenze a livello tecnologico delle industrie italiane, vista la scarsa qualità dei servizi, vista la fatiscenza delle strutture scolastiche, vista la miseria dei badget di alcune (gran parte) scuole, che faticano a comprare anche la carta igenica, e visti i salti mortali fatti dal personale Ata e da quello docente – entrambe le categorie percepiscono stipendi al di sotto della media europea – 142 mld di euro, anche dilazionati in più anni, permetterebbero di fare tante belle cose; invece ci troviamo in ambito capitalista e si sa quest’ultimo predilige di gran lunga l’economia di guerra.