Matteo Renzi, il suo becchino
di Saverio Lodato
Il PD, ormai, è una sbobba che non sa più di niente. Il tesseramento è in caduta libera. In quattrocentomila dicono addio a quello che per anni è stato percepito come l’unico partito di opposizione esistente – e possibile -, in Italia. Crolla la partecipazione alle primarie nella “roccaforte” Emilia-Romagna. Va in scena una Direzione del partito per un terzo autocoscienza, per un terzo notte dei lunghi coltelli, per un altro terzo ennesima telenovela del “volemose bene”, che è quello che conta davvero.
I giornali e i TG cercano di mettere un po’ di pepe nelle vigilie, ma ormai gli italiani hanno capito benissimo qual è il tran tran in casa PD. E se la sbobba, come dicevamo prima, non sa più di nulla, calcare la mano sulle spezie è perfettamente inutile.
Non c’è nessuna scissione alle viste. Nessuna voglia di rottura con il manovratore. Nessun ripensamento epocale della linea che il PD sta seguendo. Nessuno che abbia a cuore, sino al punto da mettere a rischio la propria poltrona, le sorti di un Paese agonizzante. Ogni dirigente PD, si accontenta di fare la parte che gli compete, di ottenere la sua quota, grande o piccola che sia, di esposizione mediatica, di partecipare alla schermaglia interna delle “battute”, un genere che va per la maggiore, rimasta l’unica forma possibile della prosecuzione della politica con altri mezzi.
A rigor di logica, invece, in una fase in cui il PD ha abbondantemente superato il 40 per cento, mentre le destre riunite navigano abbondantemente sotto il 20, ci si aspetterebbe un’impennata verso l’alto del tesseramento in casa PD, non certo il crack che viene alla luce in questi giorni. E’un campanello d’allarme che riguarda solo la struttura organizzativa del PD o chiama in causa anche il gradimento degli italiani rispetto a questo governo?
Matteo Renzi, dal canto suo, si dice tetragono del suo oltre quaranta per cento, ma non può non sapere che tutti i sondaggi, a sei mesi di distanza dall’insediamento del suo governo, gli attribuiscono un dieci per cento in meno in termini di personale popolarità. Non è un’inezia.
Ecco allora che tesseramento e governo appaiono essere vasi strettamente comunicanti molto più di quanto le rappresentazioni teatrali dei media lascerebbero intendere.
Perché un italiano, oggi, dovrebbe iscriversi al PD?
Per considerare Silvio Berlusconi il suo principale alleato di governo? O per scommettere sulla new entry Pascale?
Per tifare Denis Verdini, il gran tessitore delle trame che da Renzi vanno e vengono, girando sempre a destra?
Per non vedere abrogata neanche una delle “leggi vergogna” dei passati governi?
Per vedere penalizzata la magistratura, visto che si permette di colpire il mondo della politica in maniera “bipartisan”?
Per contribuire alla cancellazione dell’articolo 18 che tiene gli investitori stranieri alla larga (sic!) dall’Italia, come se non fossero invece le Mafie Riunite a far da autentico deterrente?
Ci interessa solo dare il senso della frustrazione dell’iscritto PD, non l’elenco, che sarebbe sterminato, di tutte le cause che lo hanno allontanato (per sempre?) dalla politica attiva.
Le grandi serate televisive del passato, giusto per avere un altro termine di paragone che aiuta a capire, sono, per l’appunto, un ricordo del passato. Santoro, Floris, Giannini, Vespa, e tanti altri, l’intera famiglia dei conduttori che le testate televisive volevano moltiplicare per l’anno nuovo come i pani e i pesci nella demenziale convinzione che il filone aurifero dei talk show fosse inestinguibile, si vedono così costretti a dividersi una coperta, in termini d’ascolti, sempre più piccola. L’Eldorado degli ascolti non c’è più.
Colpa loro? No, no.
Il fatto è che sono “invecchiati” gli ospiti politici, che, per causa di forza maggiore, son sempre gli stessi. Gli italiani ormai “li sanno”.
Li sanno a memoria, in quel finto polemizzare, in quel darsi sulla voce, in quel non mantenere mai un minimo di coerenza fra le parole dette e i fatti compiuti, in quel saltabeccare continuo fra il “tu” e il “lei”, quasi che gli spettatori avessero l’anello al naso. Gli ospiti tv non sono più credibili. Sono “falsi e bugiardi” e, spesso, persino sguaiati. I conduttori finiscono con il pagar dazio anche loro, perché, per dirla con Majakovskij, nel riproporli all’infinito, ricordano il “disperato tentativo di riscaldare un gelato”.
Non se la passano meglio i grandi editorialisti, di destra e di sinistra, perché “pontificare stanca”, e visto che in Italia, alla fine, non cambia mai niente, le parole si riducono a un elegante cinguettio che non impressiona più nessuno.
Paradosso vuole che, proprio mentre la politica, intesa come partecipazione collettiva, è ridotta ai minimi termini, loro, i diretti interessati, i “politici”, sono convinti che ne stanno finalmente recuperando la centralità.
Gli italiani, però, non la pensano così. E ancora una volta i sondaggi, Tavole della Legge della società liquida (liquefatta?) in mancanza d’altro, ci informano che persino il gradimento del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non era mai sceso così in basso: il 40 per cento.
E’ normale. Tre premier (Monti, Letta, Renzi) paracadutati dall’alto dicendo bay bay al parere dell’elettorato, perche dovrebbero, in questo caso, riuscire a “riscaldare il gelato”? Perché a chiederlo è “Re Giorgio”? Suvvia.
Eravamo partiti dal tesseramento PD. Il discorso si è alquanto allargato. Ma tutto – a nostro giudizio – si tiene. Renzi vuole cambiare l’Italia. Chiede un prestito di “mille giorni”. Se fallisco – ha detto – “lascio la politica”. Già. Ma quel giorno, ammesso e non concesso che lui mantenesse la promessa, in che condizioni si troverebbe il Paese?
E la domanda è: si può cambiare l’Italia, imbavagliando gli italiani? Difficile.
Ecco perché il PD, nessuna anima esclusa, è diventata una sbobba che non sa più di niente: perché fa finta di non capirlo. E preferisce dedicarsi alla schermaglia delle battute. Ché “valori”, “principi”, “contenuti”, da tempo sono finiti al Museo.
3 ottobre 2014