Quante Carte fondative conoscete che contengono la parola “felicità”?
Finora ci è capitato di incontrarla in tre Carte: nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, nella Costituzione del Bhutan e nello Statuto dell’Arci, l’Associazione ricreativa e culturale italiana fondata a Firenze nel 1957, che nel suo Statuto più recente l’ha inscritta in questi termini al primo posto tra i suoi obiettivi: “Sono campi prioritari di iniziativa dell’associazione la promozione del benessere delle persone e il riconoscimento del diritto alla felicità”.
La felicità è una condizione complessa che viene messa in moto da un insieme di fattori sociali, culturali, ambientali, ma anche personali e legati alla psicologia dell’individuo.
È una condizione in continua evoluzione, non è standardizzabile. Per essere felici possono bastare poche cose: un paio di scarpe per lo scalzo, la vicinanza con la persona amata per gli innamorati, la salute secondo un vecchio proverbio. Ma per il capitalista la felicità può dipendere dall’acquisto della Ferrari in una sfumatura di rosso che ancora non ha nella sua collezione o dall’acquisto di uno yacht completo di sommergibile.
Per i lavoratori e il proletariato la felicità non è esterna alla lotta di classe, è una condizione generale di sicurezza sociale che si ottiene (e in parte si è ottenuta con le lotte portate avanti dal dopoguerra fino alla fine degli anni Ottanta) realizzando il programma politico della nostra Costituzione, che prevede lo sviluppo della pace, dell’occupazione, il miglioramento del sistema sanitario, dell’istruzione, della ricerca, della giustizia e la conservazione dell’ambiente, tutti diritti collettivi e non individuali come la felicità di stampo angloamericano che subordina la conquista di questi beni fondamentali al raggiungimento, con qualsiasi mezzo, della ricchezza individuale.
Per la sua storia e conoscendo i suoi fini pensiamo che l’Arci si rifaccia a un concetto di felicità legato alle conquiste sociali, però come concilia l’Arci la presenza delle slot machine in alcuni suoi circoli, come il Curiel-La Vettola di Pisa, e la ricerca della felicità sociale, quando quegli apparecchi producono solo infelicità individuale e poi un grave problema che si riversa sulle famiglie e sull’intera società, come la dipendenza da gioco d’azzardo?
Sentirsi rispondere dai responsabili dell’Arci provinciale di Pisa che le slot machine sono legali e quindi ogni gestore di Circolo può adottarle, corrisponde alla logica contenuta nell’affermazione “…con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole” detta da Pietro Lunardi nel 2001, quando era ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel governo Berlusconi. Infatti chi sono i soggetti che hanno investito nel gioco d’azzardo legalizzato dal governo Prodi a più riprese a partire dal 2006?
Sono ben 41 i clan che sono entrati nel gioco d’azzardo “legale”: da Chivasso a Caltanissetta, passando per la via Emilia e la Capitale, dai Casalesi di Bidognetti ai Mallardo, dai Santapaola ai Condello, dai Mancuso ai Cava, dai Lo Piccolo agli Schiavone. Le mafie di fatto si sono accreditate come uno dei principali concessionari del Monopolio di Stato (Aams). Una trasformazione sottolineata anche in un documento della Commissione parlamentare antimafia: “l’organizzazione mafiosa sta cambiando volto: si sta strutturando sotto forma di impresa con connotati di “normalità”. A monte, comprando quote del pacchetto azionario dei concessionari, imprese private che, per conto dell’Amministrazione autonoma monopoli di Stato, gestiscono l’intero gioco d’azzardo in Italia. Sulle responsabilità delle infiltrazioni la Direzione nazionale antimafia ha affermato: “c’è da chiedersi come l’Aams abbia permesso che lo Stato italiano diventasse partner di gruppi così poco trasparenti”.
L’affermazione di Lunardi sdoganava un atteggiamento compiacente nei confronti della criminalità organizzata, che è passata in parte della nostra società con atteggiamenti che sottovalutano la pericolosità del fenomeno. La stessa noncuranza che abbiamo trovato nell’Arci provinciale di Pisa e nel presidente del Circolo Arci Curiel-La Vettola, che non si è mai accorto del ruolo di queste infernali macchinette. Arrivando all’assurdo di combattere chi sollevava il problema della presenza del gioco d’azzardo nel Circolo.
Sezione Gramsci-Berlinguer, Pisa