L’INFILTRAZIONE DEGLI ANNI ’60 PARTE DA LONTANO: IL CASO DI NINO SOTTOSANTI.
Nell’articolo che trattava dei collegamenti tra movimento provos, anarchici e neofascisti “Dai provos a Trapani, passando per piazza Fontana” in http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-dai_provos_a_trapani%2C_passando_per_piazza_fontana..php ), che tanto ha fatto arrabbiare il fondatore di Mondo Beat Melchiorre Gerbino, al punto da scrivere a sua volta degli articoli nei quali non trova proprio posto il concetto di “continenza” tanto caro alle aule giudiziarie, avevamo anche evidenziato che lo stesso Gerbino aveva indicato il particolare che Nino Sottosanti (detto Nino il fascista, indicato a volte come sosia di Pietro Valpreda) era entrato nel movimento di Mondo Beat nel novembre 1966, dopo avere vissuto “ad Amsterdam nei momenti caldi della rivolta dei provos e amava documentarlo mostrando un quotidiano olandese nella cui prima pagina era riprodotta la foto di una sommossa di piazza dove in primo piano c’era la sua faccia che osservava”. E Gerbino prosegue scrivendo che “Sottosanti dall’attributo fascista si sentiva però sminuito e ci teneva a dichiararsi mussoliniano, figlio di martire fascista. 38 anni, di statura media, energico, bene educato”, ed aggiunge: “anche se era chiaro come il sole che Nino il Fascista remava contro il Movimento, egli non poteva essere allontanato da Mondo Beat, come chiunque ne rispettasse le regole del non essere violento, non rubare, non drogarsi”.
Dato che la rivista Mondo Beat veniva stampata grazie all’aiuto tecnico ed economico della sezione anarchica Sacco e Vanzetti, dove militava Giuseppe Pinelli (e che poi diede vita al Circolo del Ponte della Ghisolfa), si può supporre che il fascista Sottosanti abbia potuto infiltrarsi nell’ambiente anarchico proprio grazie alla sua appartenenza alla rivista Mondo Beat, in qualche modo “garantito” da Gerbino, che pur riconoscendogli il fatto che “essendo fascista remava contro il Movimento”, non riteneva il caso di allontanarlo (dal che si può concludere che per Gerbino l’antifascismo non era una discriminante).
Ed aggiungiamo che lo stesso Gerbino si è lasciato andare, nel medesimo articolo presente sul web, ad affermazioni piuttosto gravi, che ci limitiamo a riportare per diritto di cronaca senza farle nostre, sia per la loro gravità, sia perché non sono avallate da alcuna prova giudiziaria prendiamo le distanze,: “si sa che il 12 dicembre 1969 fu Nino il Fascista a deporre la valigetta con la bomba nella Banca dell’Agricoltura a Piazza Fontana a Milano, ed è pure certo che fu lui a recarsi a casa di Giuseppe Pinelli, per convincerlo ad andare a testimoniare in Questura, e ad avercelo accompagnato: lì Giuseppe Pinelli sarebbe stato ucciso con un colpo di karate alla nuca dal commissario Luigi Calabresi” (http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/MondoBeat/MB04_Conferenza_europea_della_gioventu_anarchica.htm) .
Di queste affermazioni di notevole rilevanza penale (e contrastanti con le conclusioni dei vari procedimenti giudiziari) eventualmente sarà compito degli inquirenti preposti a chiederne conto a Gerbino. Da parte nostra vedremo di ricostruire l’ambigua figura di Nino Sottosanti, la cui storia, che affonda le radici nel fascismo di confine degli anni 30, è emblematica di come la storia italiana sia stata un continuum dal periodo fascista fino ai giorni nostri.
Antonio (Nino) Sottosanti (deceduto nel 2004) è nato nel 1928 a Verpogliano (nome italianizzato di Vrhpolje), una cittadina del Vipacco, territorio abitato esclusivamente da sloveni che faceva parte delle zone assegnate all’Italia dopo la prima guerra mondiale. Il padre era un maestro originario di Piazza Armerina (EN), giunto in zona a seguito della “Leva magistrale” fascista, cioè l’invito rivolto ai “migliori giovani maestri fascisti” affinché si trasferissero “nelle scuole delle zone allogene per compiervi opera altamente meritevole a favore dell’Italianità e del Fascismo”, come da circolare 15/6/27 dell’ANIF, l’Associazione Nazionale Insegnanti Fascisti (a questo proposito si veda la tesi di dottorato di Alessandro Grussu, presso l’Università di Messina,
in http://www.alessandrogrussu.it/txt/Tesidottorato.pdf ).
Nell’italianizzanda scuola dell’italianizzata Verpogliano il maestro Francesco Sottosanti, scrive lo studioso Lavo Cermelj, “ordinava ai bambini sorpresi a parlare nella loro lingua materna di aprire la bocca in cui sputava per punizione” (sembra questa peraltro un’abitudine piuttosto diffusa tra gli insegnanti fascisti). Cermelj conclude che “Sottosanti finì tragicamente: fu ucciso da un colpo d’arma da fuoco in un’imboscata” (“Sloveni e croati in Italia tra le due guerre”, EST 1974, pag. 56).
Il fatto avvenne il 4/10/30, un mese dopo le cinque condanne a morte eseguite a Trieste alla fine del processo contro gli antifascisti del TIGR.
In onore di Sottosanti ebbe luogo, il 20/4/31, la “quinta leva fascista degli insegnanti della provincia di Gorizia”, e proprio per celebrarne la “figura di insegnante e di fascista”, si svolse non a Gorizia, come di consueto, ma a Verpogliano, dove venne anche scoperta una lapide alla sua memoria (cfr. Grussu, cit.).
Antonio Sottosanti rimase dunque orfano e “come figlio di un martire, ha studiato a spese del regime”, leggiamo nella storica pubblicazione “La Strage di Stato” (l’ultima edizione è stata pubblicata nel 1990 dalle Edizioni associate), che poi gli ricostruisce una biografia movimentata: volontario nella Legione Straniera, poi trasferito a Francoforte, rientrato in Italia, a Milano e poi di nuovo via, in Olanda ed in Francia, e nuovamente a Milano, dove diventa referente della Nuova Repubblica di Pacciardi.
E questo punto è molto interessante per la nostra ricostruzione, perché il massone Randolfo Pacciardi, combattente antifascista in Spagna, negli anni ’50 ministro alla Difesa in quota PRI, negli anni ‘60 fondò il movimento Nuova repubblica finalizzato all’istituzione di una repubblica presidenziale gestita in modo autoritario, tanto da essere sospettato di simpatie golpiste e neofasciste (nell’ambito del cosiddetto golpe bianco di Sogno sarebbe stato indicato per ricoprire la carica di presidente del consiglio dei ministri).
E secondo l’ex terrorista Vincenzo Vinciguerra sarebbe stato proprio Pacciardi “ad aver favorito l’incontro fra anarchici e militanti dell’estrema destra a partire dalla metà degli anni Sessanta”, per realizzare “un’alleanza divenuta operativa” tra il 1968 ed il 1969 tra anarchici “veri” ed “appartenenti alla milizia politica e militare dell’estrema destra al servizio dello Stato” (in http://www.archivioguerrapolitica.org/?p=5440 ).
Pur prendendo con beneficio d’inventario le affermazioni dell’ex terrorista, mai pentito, Vincenzo Vinciguerra (reo confesso per la strage di Peteano del 31/5/72, che causò la morte di tre giovani carabinieri), ricordiamo che nell’organizzazione eversiva dell’ex partigiano bianco Carlo Fumagalli, il MAR, militava anche l’anarchico versiliano Gino Bibbi, combattente nelle brigate internazionali in Spagna Nonostante questa collaborazione eversiva autoritaria, Bibbi continuò a dichiararsi coerente con la propria convinzione libertaria, anche se gran parte del movimento anarchico prese le distanze da lui.
Il nome di Sottosanti appare anche in un documento del novembre 1970 (citato in un articolo del giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli d.d. 18/11/97 e ripreso da Daniele Biacchessi in “Il caso Sofri”, Editori Riuniti 1998, p. 33) rinvenuto nell’archivio di via Appia (cioè l’archivio dell’Ufficio Affari Riservati diretto da Umberto Federico D’Amato) che riferisce alcune informazioni fornite da Enrico Rovelli, l’anarchico milanese che era stato “arruolato” (nome in codice Anna Bolena) dalla cosiddetta Squadra 54 dell’Ufficio di D’Amato per riferire dell’attività degli anarchici.
Si legge che “R.Z. (non identificato, n.d.r.) ha detto che nel luglio 1969 e comunque prima degli attentati ai treni, incontrò Sottosanti con la persona raffigurata nella fotografia, consegnata giorni fa dai capi anarchici a E.R. (Rovelli, n.d.r.) per la falsificazione di un passaporto”.
La foto di cui si parla è quella del sedicente anarchico (ma in realtà collegato all’estrema destra e sembra informatore del Sifar con il codice Negro, e del quale si ipotizzò anche un arruolamento nella Gladio) Gianfranco Bertoli, che fu inopinatamente aiutato ad espatriare nel 1970 da una rete del Soccorso rosso (che evidentemente non era a conoscenza della vera natura del soggetto), inviato in Svizzera con la collaborazione del redattore di Controinformazione (allora considerata un po’ la rivista portavoce delle Brigate Rosse) Aldo Bonomi. Dalla Svizzera Bertoli si recò in Israele dove visse per un paio di anni in un kibbutz (dove incontrò due militanti della Jeune Europe francese, il gruppo fondato dall’ex SS belga Jean Thiriart e nel quale aveva militato, da giovane, anche il futuro brigatista Renato Curcio), e rientrò in Italia nel 1973, per gettare una bomba alla Questura di Milano in occasione dell’inaugurazione del busto dedicato al commissario Luigi Calabresi, nel primo anniversario del suo omicidio.
L’atto di Bertoli, che fu trovato con una A cerchiata tatuata sul braccio e si dichiarò anarchico individualista, causò la morte di 4 persone ed il ferimento di altre 52. Non fu mai sconfessato da taluni settori anarchici (i suoi interventi furono pubblicati per anni su A Rivista), nonostante nel 1996 il collaboratore, ex ordinovista, Carlo Digilio, abbia dichiarato al dottor Guido Salvini che indagava sullo stragismo milanese, che un paio di mesi prima dell’attentato Bertoli era stato “istruito” da altri ordinovisti sull’azione che doveva compiere, rinchiuso per alcune settimane in un appartamento veronese (lo stesso dove era stato sequestrato nel 1972 l’avvocato triestino Gabriele Forziati, per intimorirlo affinché non parlasse delle attività bombarole dei suoi camerati). Ed il motivo dell’attentato di Bertoli non sarebbe stato tanto quello di “vendicare” la morte di Pinelli, quanto quello di “punire” il ministro Mariano Rumor (che aveva presenziato alla cerimonia ma si era già allontanato al momento in cui Bertoli aveva lanciato la bomba), “colpevole” di non avere voluto dichiarare lo stato d’emergenza in Italia dopo la strage di piazza Fontana (cfr. la Sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore dr. Guido Salvini, d.d. 3/2/98), ma anzi aveva vietato la prevista manifestazione indetta dal MSI a Roma per il 14 dicembre nel corso della quale Giorgio Almirante avrebbe tenere un intervento nel quale fare appello all’“intesa e compattezza delle forze nazionali nel momento di emergenza” che si stava vivendo, riservando al suo Partito solo il privilegio, nella lotta per salvare l’Italia, di “combattere sulla trincea più avanzata” (cfr. Il Secolo d’Italia, 12/12/69, pagine 1 e 8).
In pratica la concretizzazione di quel colpo di stato che dalle più recenti indagini giudiziarie sembra assodato avrebbe dovuto svolgersi già nel 1969, e poi fu rinviato al 1970 e nuovamente bloccato, probabilmente su ordine di Licio Gelli che non aveva avuto la garanzia dell’intervento della flotta Nato da Malta.
Dopo questa digressione golpista, torniamo a Nino Sottosanti, che non frequentò solo l’ambiente anarchico, infatti nel 1968 era amico di quel Giuseppe Saba che, pur provenendo dall’estrema destra, era diventato uno dei collaboratori di Giangiacomo Feltrinelli nella creazione dei GAP (i Gruppi di azione partigiana) e che venne indicato da alcuni come presente all’attentato del traliccio di Segrate che causò la morte dell’editore (anche qui le conclusioni cui giunsero i magistrati furono diverse, né furono identificate le persone che accompagnarono l’editore in quella tragica serata). Ciò perché nel pulmino presente sul luogo dell’attentato, oltre al certificato di assicurazione a nome del futuro pentito dell’Autonomia operaia, Carlo Fioroni (che diede il via, con le sue “rivelazioni” al caso 7 aprile), c’era una ricevuta per una riparazione intestata al nome di Saba (dove, detto per inciso, lasciare sul luogo di un attentato tracce che possano portare all’identificazione di persone coinvolte rappresenta o un’ingenuità totale, oppure un’attività di provocazione finalizzata ad incastrare persone scomode).
Probabilmente non si è mai indagato a sufficienza sul ruolo ricoperto da Sottosanti. Perché un fascista convinto, figlio di “martire fascista” e pertanto fatto studiare dal regime, infiltrato in un gruppo anarchico dopo avere passato un periodo nella Legione Straniera e poi a Francoforte, fa pensare a quanto scritto dallo storico Egidio Ceccato a proposito di un altro agente provocatore, Berardino Andreola, che dopo essere stato addestrato dai servizi nazisti durante la RSI negli anni ’60 era stato agganciato in Germania dalla Rete Gehlen (l’organizzazione di “riciclaggio” di agenti nazisti da parte dei servizi statunitensi in funzione anticomunista) e poi aveva cercato contatti con gli anarchici. Questa infiltrazione di elementi di destra nelle formazioni della sinistra extraparlamentare aveva poi fatto sì che le azioni dei gruppi di sinistra erano guidate, provocate, manipolate, intossicate” dalle menti e dalla manovalanza dell’eversione di destra” (cfr. E. Ceccato, “L’infiltrato”, Ponte alle Grazie 2013. p. 212, che cita l’analisi di Paolo Cucchiarelli contenuta ne “il segreto di piazza Fontana”, Ponte alle Grazie 2010, III capitolo).
ottobre 2014