Il disegno di legge di Stabilità varato dal governo la settimana scorsa prevede la cosiddetta clausola di salvaguardia. O “paracadute”, che dir si voglia. Pronto ad aprirsi a partire dal 2016. Di cosa si tratta? Ebbene, nella manovra del “taglio delle tasse”, la volontà di far quadrare i conti ad ogni costo potrebbe tradursi in un aumento dell’IVA. Quella agevolata al 10% passerebbe al 12%, per salire di un altro punto percentuale nel 2017. Quella ordinaria, attualmente già al 22%, passerebbe in un colpo solo al 24% tra quattordici mesi, per poi crescere ulteriormente al 25% nel 2017, e toccare il 25,5% nel 2018. Tutto ciò se il governo non riuscirà ad attuare nuovi interventi di spending review capaci di rendere non necessario l’aumento dell’imposta.Un bel paradosso, non c’è che dire, per un governo che dichiara di voler aumentare i consumi, rilanciare l’economia e abbassare le tasse. Ma c’è di più: oltre alle considerazioni di “economia politica”, ci sono numerosi risvolti di “politica economica” dietro a tale eventualità.
Innanzitutto, aumentare l’IVA significa scegliere, di fatto, una strada ben poco di sinistra. Esattamente come nel caso dei tagli lineari, infatti, un aumento dell’imposta sul valore aggiunto colpisce allo stesso modo tutta la popolazione di riferimento (in questo caso, tutti i consumatori, ovvero tutti i cittadini italiani). Senza alcuna distinzione in termini di reddito, di composizione familiare, di eventuali condizioni di disagio, né (tantomeno) di patrimonio. Il contrario esatto del principio della progressività nell’imposizione fiscale, sancito peraltro dall’art.53 della Costituzione. Soprattutto, colpisce allo stesso modo l’acquisto del decimo cellulare e i consumi “incomprimibili”, ovvero le spese fisse, irrinunciabili, delle famiglie.
In secondo luogo, aumentare l’IVA è, in assoluto, una delle manovre più “semplici” che si possano effettuare in economia: l’imposta c’è già, e si può calcolare facilmente il gettito relativo ad un suo incremento (pur al netto di un ipotetico, conseguente calo dei consumi). Diciamo che da uno col curriculum di Padoan, forse, ci potevamo aspettare qualcosa di più geniale…
«Ma abbiamo dato gli 80 euro!», risponderebbero dal governo. Ebbene, è utile ricordare che gli 80 euro non sono stati un regalo. Ovvero: non rappresentavano una nuova spesa dello Stato a favore dei cittadini, bensì uno sgravio fiscale. Poco cambia, direte voi: sempre 80 euro in tasca sono. Certo, ma essendo uno sgravio fiscale, a beneficiarne sono stati soltanto i “fortunati” che hanno una busta paga. Chi è disoccupato e privo di sussidio (i cosiddetti “incapienti”) non ha visto neanche un centesimo. Su di loro, tuttavia, si potrebbe abbattere senza alcuna protezione la scure dell’IVA. Niente bonus e tutto il malus: è sfortuna, che ci volete fare…
Da ultimo, due considerazioni di carattere più generale. Primo: in Italia, nel 2013, il numero di persone che versavano in condizioni di povertà era pari a 10 milioni e 48 mila cittadini (fonte Istat). Di questi, 6 milioni vivono in una situazione di povertà assoluta. Qualcosa come le città di Roma, Milano e Napoli messe insieme. Domanda: essere di sinistra non dovrebbe voler dire occuparsi innanzitutto di loro?
Seconda considerazione: ma perché l’aumento dell’IVA sulle spalle dei consumatori sì, e la tassa sulle transazioni finanziarie a carico di speculatori e fondi-avvoltoio (ancora) no? Gusto per capire…