di Saverio Lodato
Condurre l’Emilia Romagna, per sessant’anni all’avanguardia in Italia come modello di partecipazione attiva e dal basso alle scelte della politica, a totalizzare il 37 per cento dei votanti, poco più poco meno, in una competizione regionale, ha qualcosa di sbalorditivo che non si spiega solo con un mix di dissennatezza, arroganza, dilettantismo e profonda ignoranza della storia. Ciò che è accaduto mette infatti una definitiva pietra tombale sopra l’illusione di cambiare il Paese andando contro le aspettative del Paese. Sopra la pretesa che un singolo “manovratore”, per quanto audace, spregiudicato e ardimentoso, applaudito da una clack di anemiche comparse, potesse riuscire a tenere la barra diritta in tempi di marosi e di tempeste.
Ha un bel dire, a commento a caldo dei primi dati, Maria Elena Boschi, l’ape regina delle anemiche comparse, che “questo non è un test contro il governo”. A no? E che cos’è, di grazia? Come intende definirlo? Un voto di balordi di periferia? Il risultato di un’assemblea condominiale chiamata Emilia Romagna? Non le basta quanto è accaduto? Non si rende conto, la signora che non trova marito, come si apprende dalla sua stucchevole telenovela inflitta agli italiani, che la gente si sbatte ormai fra esasperazione e rassegnazione?
Sa, Maria Elena Boschi, cosa ha rappresentato l’Emilia Romagna nella storia d’Italia? Un’ideale linea Maginot. E tradizione vuole che una linea Maginot, o tiene o viene sfondata; terzium non datur, si sarebbe detto un tempo. E questa volta la linea Maginot, per il Pd, è stata sfondata.
La signora Boschi si rende conto che se lì si sono ridotti a votare un cittadino su tre, ci sono regioni, in questo momento, che se solo fossero chiamate a votare non oltrepasserebbero il 10 per cento di elettori? In politica, la legge del contrappasso, sa essere fulminante.
Nel giro di pochi mesi, il Pd si è ritrovato a essere da imbattibile Colosso che oltrepassava il 50 per cento, al nanerottolo che è emerso ieri dalle urne. Certo. Sempre con quasi il 50 per cento, ma con un esercito decimato di due terzi. Il che fa una qualche differenza.
Povero Renzi.
“Abbiamo vinto 2 a 0”; “l’affluenza è un problema secondario”. Questo è il condensato del pensiero politico del premier, che in un primo tempo aveva mandato in avanscoperta la Boschi. Nel frattempo, per ore e ore, Stefano Bonaccini, pur essendo già stato eletto presidente dell’Emilia Romagna taceva per pudore, prima di ammettere – gli va riconosciuto – che si trattava di una “vittoria mutilata”.
Povero Renzi.
Ricordate, appena qualche settimana fa? Chiedeva 1000 giorni di governo. Tre anni, dicasi tre anni. Tre anni di navigazione garantita, per far quello che gli pareva. Per andar di petto contro l’articolo 18. Per lanciare una sfida all’O.K. Corral alla Cgil. E solo chi è accecato da un odio inguaribile per la storia del movimento operaio, poteva approfittare del voto di ieri per definire quelli che scioperano una forza politica da “prefisso telefonico”.
Pretendeva mille giorni per traghettare nel “nuovo mondo” tutta la vecchia arca di Noè di Forza Italia, da Berlusconi a Verdini, compreso Alfano del N.C.D. E ora? Berlusconi, il suo”compare” del patto del Nazareno, si avvia ai box per cambiare le ruote al bolide del leghista Salvini che lo ha ridotto fanalino di coda del centro destra italiano. Ne vedremo delle belle anche nel centro destra.
Povero Renzi.
Pretendeva mille giorni per far finta di abolire il Senato. Per far finta di abolire le Province. Per far finta di cambiare la legge elettorale.
Ma come?
Monti, Letta, Renzi, tutti nominati per investitura quirinalizia, tutti messi lì pur di evitare all’infinito il ricorso alle urne, con una mission che non ammetteva più deroghe e ritardi: il porcellum va immediatamente cambiato. Il porcellum lì era e lì è rimasto.
E diciamola, sommessamente, qualche parolina anche sulla questione morale. In Emilia Romagna, un’intera classe dirigente non era forse stata sbaragliata da un’inchiesta della magistratura con 41 consiglieri indagati su 60? E con il suo presidente, Vincenzo Errani, condannato in primo grado? Era forse venuta una sola parolina di condanna dalla signora che non riesce a trovare marito o dal gran rottamator che , passo dopo passo, sta riuscendo nel gran miracolo di rottamare l’Italia?
Agli emiliani e ai romagnoli pare che questo silenzio non sia piaciuto per niente.
E aver ridotto l’eventuale riforma della giustizia al teatrino dei “troppi giorni di ferie” e della solita “responsabilità dei giudici”, non aveva niente a che vedere con la questione morale? Ne siamo proprio sicuri? Ecco perché questo governo viene colpito da un fulminante contrappasso. Perché pretendeva di imporre camicie di forza ai tempi della politica.
In conclusione.
Questo governo ha la responsabilità di aver narcotizzato gli italiani. Di averli dissanguati, quanto a idee, voglia di partecipazione, voglia di cambiamento. E lasciamo da parte, per carità di patria, il problema del lavoro e della disoccupazione giovanile.
I talk televisivi che vedono ridotto il loro pubblico di due terzi, di tre quarti, non sono forse lo specchio televisivo di questa politica che non tira più? Di un modo furbesco di voler ancora tenere al guinzaglio gli italiani come fossero pugili suonati, che balbettano, che non sentono più, per quante ne hanno prese nel corso dell’ultimo ventennio?
I dirigenti del Pd cosa hanno detto di sinistra, o di semplice buon senso, rispetto all’occupazione delle case e della rivolta antimmigrati esplose alle periferie di Roma e Milano? Niente. Neanche una parola. Non pervenuti. Con praterie lasciate così libere ai Salvini e alle Meloni che – non a caso- ormai entrano ed escono dagli studi televisivi senza avere neanche il tempo per bere un bicchiere d’acqua.
Ma diciamola tutta.
Come ha fatto un premier, di fronte a una tragedia come quella della Liguria, a tenersi allegramente alla larga dal luogo della tragedia? Non se ne abbia Giorgio Napolitano. Ma ci fosse stato Sandro Pertini, a capo dello Stato, nei giorni dell’inondazione della Liguria, Pertini, con rispetto parlando, Renzi lo avrebbe mandato a Genova a suon di pedate…
Invece ci siamo persino dovuti subire i suoi “interpreti” – di Renzi, non di Pertini – , a spiegarci in tv che lui si tiene alla larga, quando le cose non vanno, perché vuole apparire come “l’uomo del fare”, “l’uomo che trasmette positività”, “l’uomo che deve far crescere la fiducia nel cambiamento”.
Povero Renzi.
Dopo il voto di ieri, dovrà rivedere le cifre, quando polemizza con i sarcofagi della vecchia guardia Pd che infatti oggi sibilano stizziti: ” noi avevamo l’88 per cento in Emilia”. Vero é.
Ma sarebbe ingiusto dare solo la colpa a Renzi e alle sue anemiche comparse.
Questa sinistra Pd, quest’opposizione che prende le distanze, minacciando, un giorno sì e l’altro pure, rivolte d’aula, imboscate parlamentari, scissioni che, parafrasando Machiavelli, tutti sanno “non essere in vero”, appena suona la campanella, torna diligentemente in classe. E ci ricorda ormai molto da vicino la leggendaria “sinistra democristiana” cui per trent’anni il vecchio PCI fece la corte, nella convinzione di far cadere i governi scudocrociati.
Con rispetto parlando, però, la sinistra democristiana non riuscì a farne cadere neanche uno.
Dimenticavamo Grillo e i 5 stelle. La lega ha battuto anche loro, dilaniati da defezioni interne, repulisti e caccia alle streghe. E li ha battuti altrettanto sonoramente di quanto ha battuto Forza Italia.
Osservano infatti, a tale proposito, i commentatori: ha perso la politica e ha perso l’antipolitica.
Renzi, invece, trionfa: “ho vinto io”. La Boschi annuisce e fa gli occhi dolci.
Prego signore e signori, accomodatevi. Avete mille giorni per cambiare l’Italia…
24 novembre 2014
saverio.lodato@virgilio.it