di Giorgio Cremaschi
Ci sono comportamenti che non possono essere ascritti alle diversità di ruoli e funzioni. La Cgil chiederà a milioni di lavoratori il 12 dicembre di fare a meno di 8 ore di prezioso salario per scioperare contro il jobact. Tutti gli ex dirigenti della Cgil eletti con il PD han votato a favore di quella legge contro la quale i loro ex rappresentati scenderanno in lotta. Guglielmo Epifani è stato il predecessore e anche colui che ha costruito l’elezione di Susanna Camusso, Cesare Damiano é stato vice segretario della Fiom, Valeria Fedeli, vice presidente del senato, è stata segretaria generale dei tessili. Assieme a loro molti altri dirigenti di categorie e strutture confederali meno conosciuti, in qualità di parlamentari del PD oggi votano il Jobact. È un fatto politico rilevante, un danno enorme per la Cgil, altro che lobby dei sindacalisti in parlamento. Nella tradizione laburista britannica i dirigenti sindacali che diventano deputati portano nelle istituzioni gli interessi della loro organizzazione. Da noi i parlamentari di provenienza Cgil non fanno neanche obiezione di coscienza di fronte ad un provvedimento che provoca dolore e rabbia nei loro ex rappresentati. Cioè coloro, per essere ancora più chiari, a cui qualcosa dovrebbero, visto che stanno dove stanno proprio in virtù delle lunga carriera sindacale.
E proprio qui sta il punto. Il comportamento di Epifani e di tutti gli altri porta acqua al mulino di chi associa il sindacato alla casta e alla degenerazione della politica. In questo essi sono perfettamente e utilmente renziani. Nell’ultimo congresso della Cgil la nostra piccola minoranza aveva chiesto che si ponesse una regola al conflitto d’interessi nelle carriere dei dirigenti sindacali. Avevamo chiesto che non si potesse passare immediatamente da un importante ruolo nell’organizzazione ad un altro nelle istituzioni. E a maggior ragione che ai dirigenti Cgil non fosse permesso, pena risarcimenti verso gli iscritti, di saltare la scrivania delle trattative sindacali diventando manager aziendali. Chi viaggia in treno e parla con qualche ferroviere sa quanto abbia nuociuto alla credibilità stessa della Cgil, il fatto che Mauro Moretti sia passato direttamente dalla segretaria del sindacato trasporti alla direzione delle ferrovie. Bisognava pensarci e capire che nell’Italia di oggi, che non é certo quella di Di Vittorio, lo sbocco politico e aziendale delle carriere sindacali avrebbe fatto danno. Invece queste nostre richieste sul conflitto di interessi son state respinte con sufficienza e fastidio, con quella stessa chiusura ottusa che si è opposta al nostro avviso di prepararsi in tempo allo scontro con Renzi. Contro cui ora la Cgil è costretta a fare lo sciopero generale, mentre i suoi ex dirigenti stanno dall’altra parte.
No, non se la cava Susanna Camusso ignorando il voto in parlamento di colui che chiamava capo quando era in Cgil. E neppure può risolverla dicendo che adesso Epifani fa un altro mestiere. Perché nell’Italia di oggi non sarebbero pochi quelli che penserebbero che chi proclama gli scioperi oggi, li tradirà domani quando troverà una collocazione migliore.
No, far finta di niente aggrava solo un danno che il gruppo dirigente attuale della Cgil ha una sola via per contenere. L’attuale segreteria deve dichiarare la rottura politica e morale con gli ex che han votato il jobact e fare di questo atto un momento di una più profonda ricollocazione della Cgil. Una ricollocazione in una posizione indipendente dagli schieramenti elettorali e contro il Pd renziano. Altrimenti già il 13 dicembre la Cgil inizierà una rovinosa ritirata.
27 Novembre 2014