di Saverio Lodato
Intere batterie di presidenti papabili, in queste ore, vengono scaraventate sulle pagine dei giornali e dentro i Tg, con le finalità più disparate: tenere in caldo vecchie glorie della repubblica delle quali nessuno si ricorda più; azzoppare l’anatra del vicino nella speranza che la propria tagli il traguardo; usare un nome come arma contundente se magari il tuo avversario politico sembra disporre di un nome che avrebbe qualche chance di fare centro; provocare, per il gusto di provocare, ma con il sottile scopo di capire sin dove può spingersi l’arroganza della Politica; tirare a indovinare per ingraziarsi, preventivamente, il presidente papabile che dovesse uscire papa; eccetera, eccetera.
Sin qui, si stima che siano stati fatti quasi una cinquantina di nomi. E siamo ancora lontani dalla prima votazione utile. Una prima considerazione si impone. Gli italiani sono un popolo di smodata ambizione. Ce ne fosse stato uno, di questi cinquanta, che si fosse subito chiamato fuori. Che avesse ringraziato per la fiducia di chi lo aveva indicato, aggiungendo però, subito dopo, di non essere tagliato per quel ruolo, di non essere all’altezza. L’unico, per la verità, è stato Mario Draghi, il quale ha precisato di star bene dove sta. E’ l’unico.
Tutti gli altri, ignari della lezione di Gianni Morandi, uno su mille ce la fa, partecipano al palio, ché non si sa mai. Ma si capisce: ognuno dei 49, ammesso e non concesso che l’Eletto, alla fine, salti fuori dalla rosa dei 50, potrà infatti aggiungere nel suo curriculum la qualifica ambita: “già chiacchierato come probabile Presidente della Repubblica italiana…”. Meglio di niente. Prima o poi, a ognuno dei 49, qualcosa in cambio la daranno. E Dio solo sa quante sono, in Italia, le nomine che si decidono nell’arco di 365 giorni.
Nella batteria dei presidenti papabili c’è un po’ di tutto: vecchi segretari di partito – di partiti che non ci sono più – , che non si rassegnano a non calcare più le scene; ex ministri di governi che furono; ex presidenti del consiglio dei governi che furono; ex sindacalisti di “piazza e di governo”; trombati di ieri in cerca di riscatto; signore venute alla ribalta con la svolta di “genere” che non hanno alcuna intenzione di fermarsi ai gradini intermedi della scalata; eccetera, eccetera.
Una gran bella riforma di trasparenza potrebbe essere un colloquio preliminare con ciascuno dei cinquanta così formulato: “Risponda alla mia domanda: ma lei perché vuole fare il Presidente della Repubblica?”; “Elenchi, a suo giudizio, quali sono le vere “emergenze” del Paese”; “si impegna a svolgere un solo mandato e a non concedersi, se qualcuno dovesse chiederle di fare il bis?…”; “non è che, per caso, sarebbe disposto a rifiutare il novanta per cento del mensile quirinalizio come fa il Presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica? Sa, farebbe titolo.”; e via fantasticando.
Le cose, come tutti sanno, stanno ben diversamente. C’è un identikit segreto, del futuro presidente della Repubblica. Un vestito segreto, cucito su misura, per un candidato segreto al quale il vestito (segreto), alla fine, andrà meravigliosamente bene. Non son cose per noi comuni mortali. Nella Sartoria del Nazareno, per ora, è tutto un taglia qua, taglia là, allunga la manica, accorcia la manica, diminuisci l’imbottitura, aumenta l’imbottitura, una tasca interna, due tasche interne, sali il cavallo, scendi il cavallo… perché i clienti son due, Berlusconi e Renzi, e un sarto, servo di due padroni, ha sempre qualche difficoltà a esprimersi con maestria. E poi c’è da dire che i due clienti, a loro volta, forse devono andare a riferire. Licio Gelli, per esempio, nonostante i suoi novantasei anni, è proverbiale per la sua eleganza British. E non è da meno, quanto a eleganza British, Giorgio Napolitano. Potranno pur dire la loro in fatto d’eleganza? Ma state tranquilli, il vestito giusto, alla fine verrà fuori.
Come? Se noi dovessimo dare un consiglio al Sarto?
Vorremmo un vestito che stesse bene a un Presidente della Repubblica che, nella sua vita politica precedente, non abbia mai incrociato la mafia sul suo cammino, né direttamente, né indirettamente; che addirittura non conosca nulla sull’argomento; che, però, consideri la lotta alle quattro mafie come primo cruccio di un Presidente dello Stato italiano; che, alla prima grana o telefonata innaturale che dovesse giungere al Quirinale su storie del genere, risponda sorridendo ai suoi collaboratori: “rivolgetevi ai magistrati antimafia di Palermo. Sono tutti miei amici, sanno fare benissimo il loro lavoro, e in loro ripongo cieca fiducia”; che nel primo giorno di Ricevimento Quirinalizio, riceva Nino Di Matteo e Salvatore Borsellino per manifestar loro tutta la sua solidarietà, indicandoli come esempio per le nuove generazioni; eccetera, eccetera…
Sapete cosa ci risponderebbe il Sarto del Nazareno? “No, guardi, questo tipo di vestiti qui non li facciamo…”.
20 gennaio 2015