di Andrea Barolini
I grandi mammiferi che abitavano l’ex-Unione sovietica hanno pagato a caro prezzo la caduta di Mosca. Dopo il crollo del blocco dell’Est, nel 1991, il numero di esemplari presenti sul territorio dell’attuale Russia, e dei Paesi satellite, è sceso in modo significativo. A spiegarlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Conservation Biology: «Abbiamo dimostrato che si è verificato un declino simultaneo nelle popolazioni di cinghiali, orsi bruni e di alci nella maggior parte delle regioni a partire dall’inizio degli anni Novanta, subito dopo l’implosione dell’URSS», ha dichiarato la ricercatrice americana Eugenia Braginain un’intervista alla BBC.Le tre specie non vivono negli stessi luoghi: le alci, ad esempio, prediligono le foreste, mentre i cinghiali restano nei campi dove possono trovare cibo di cui nutrirsi. Per gli scienziati, dunque, il calo non è attribuibile ad una degradazione delle condizioni di un particolare habitat: la ragione è piuttosto da ricercare nello shock socio-economico seguito agli eventi del 1991: «I cinghiali hanno perduto le colture necessarie alla loro alimentazione, perché i guardacaccia hanno smesso di prendersene cura», spiega la ricercatrice. Al contrario, il lupo ha visto incrementare la propria popolazione del 150%, dopo che la caccia massiccia è stata abbandonata.
Gli scienziati hanno voluto sottolineare, in ogni caso, che il loro obiettivo non è offrire un giudizio politico sull’Unione sovietica, ma evidenziare l’impatto degli shock politici ed economici sulla biodiversità.