Due famosi attori USA che hanno appena presentato i loro film hanno reso dichiarazioni su Cuba.
Sean Penn, che promuove il suo film “The Gunman” (1), assicurava ad un media USA che il cosiddetto “embargo commerciale (degli USA contro Cuba), in pratica è un blocco” e lo qualificava come una misura “arcaica”; evidenziava “le conseguenze positive della Rivoluzione cubana, come l’alfabetizzazione”; e riteneva che un’ipotetica normalizzazione delle relazioni tra i due paesi non solo “porterà affascinanti cambiamenti all’Isola”, ma che Cuba “anche arricchirà culturalmente gli USA” (2).
Andy Garcia, che presenta, in questi stessi giorni, il suo film “Enamorarse” si mostrava, al contrario, “molto arrabbiato per il (presunto) termine del blocco (e) l’avvicinamento del Governo di Barack Obama alla Cuba castrista”, leggiamo sul quotidiano Faro de Vigo (3). “Qualsiasi aiuto che si dà a Cuba in realtà lo si sta dando al Governo cubano, cioè, al regime castrista e alla sua repressione”, affermava. E negava anche l’esistenza stessa del blocco: “Questo dell’embargo è una storia” sosteneva al quotidiano El País (4). “L’embargo che deve rimuovere (il governo cubano) è l’embargo sui diritti umani, che tanto manca al popolo cubano”, ha aggiunto.
Ma, in quale media credete siano apparse le dichiarazioni di ciascuno di questi attori? Quante persone hanno potuto leggerle, quindi, in ogni caso? Analizziamo la grande stampa spagnola. I tre più grandi giornali in circolazione pubblicano ciascuno un’intervista … ad Andy Garcia. In tutti e tre, la ragione dell’intervista è la prima del suo ultimo film. Tuttavia, nei tre … il titolo non fa riferimento ad essa, ma all’opinione politica dell’attore su Cuba, paese in cui – di certo – non è ambientato il detto film.
“Andy Garcia: ciò che deve cambiare a Cuba è l’embargo castrista dei diritti umani” è il titolo di ABC (5); “Andy Garcia e la sua amata Cuba” titola El País (6); “Andy Garcia: USA perpetua i Castro”, titola El Mundo (7).
Al contrario, nessuno di questi tre grandi quotidiani si interessa alle dichiarazioni – critiche con la politica USA, ma in assoluto “militante” con la causa cubana – dell’attore Sean Penn. Neppure uno solo di loro.
Il trattamento in tutte le interviste ad Andy Garcia è, inoltre, di una più che sdolcinata amabilità. Qualcosa di sconvolgente quando questo attore, la cui famiglia abbandonò Cuba alla caduta della dittatura di Fulgencio Batista (8), difende le posizioni dell’estrema destra di Miami: è membro onorario della Brigata 2506, composta da mercenari che cercarono di invadere Cuba alla Baia dei Porci (9); ed ha partecipato ad azioni pubbliche tanto deplorevoli come il sostegno al sequestro del bambino cubano Elián González, nel 1999 (10).
L’ideologia di Andy Garcia si rende evidente nell’unico film di finzione che ha diretto, “La città perduta” (11): un nostalgico canto alla società borghese della Cuba di Batista, dove Che Guevara è un brutale assassino e da dove spariscono le famiglie affamate, i bambini di strada, i contadini senza terra o i milioni di analfabeti della Cuba prima della Rivoluzione (12). L’agenzia spagnola EFE, in un’altra intervista riprodotta da diversi giornali, descrive questo film come “un dramma familiare sull’esilio cubano, ispirato alla propria storia” famigliare di Andy Garcia (13). In effetti, si tratta di un film che riflette la visione sociale e politica – e i concetti di giustizia e di libertà – di una famiglia borghese cubana dell’epoca, come quella di Andy Garcia, proprietaria di un’importante industria di profumi a L’Avana (14).
Ma per niente la visione della popolazione contadina cubana di allora – maggioritaria nel paese – di cui oltre il 47% era analfabeta (15); più del 50% non poteva mandare i figli a scuola (16) o più dell’ 85% mancava di acqua corrente nelle loro precarie abitazioni (17).
Quella è, a quanto pare, la Cuba “della libertà” che sognano gli estremisti cubano americani come l’attore Andy Garcia … per mano di amabili intervistatori.
José Manzaneda, coordinatore Cubainformación
Traduzione Francesco Monterisi
1 Abr 2015