Quasi un mese fa, ho letto un articolo di Saverio Ferrari su “il manifesto”, intitolato: “Appello all’ANPI: guardi ai nuovi antifascisti”. Un articolo molto ampio, in cui si fornisce un quadro non proprio esatto dell’ANPI di oggi e del suo antifascismo, contrapponendogli un quadro di “nuovi” movimenti antifascisti, a cui si dovrebbe, praticamente – secondo l’A. – l’unica vera ed efficace iniziativa di contrasto del riemergente neofascismo e neonazismo. Non occorrono molte parole per confutare un simile assunto.
Anzitutto, ragioniamo sull’immagine dell’ANPI, che avrebbe cercato – senza riuscirci – di innovarsi, mantenendo tuttavia uno spiccato carattere “istituzionale” e “collaborativo”.
Strano che Ferrari, che pure è stato – fino a poco tempo fa – componente anche di un organismo dirigente periferico (dell’ANPI), ci conosca così poco. Teniamo viva la memoria, è vero, ma è nostro dovere (altrimenti, chi lo farebbe?), e comunque ci sforziamo di renderla attiva, per aiutare soprattutto a conoscere i fatti della storia, anche perché servano di esempio e di monito per il futuro e favoriscano la riflessione storica.
Ma facciamo anche tante altre attività; ci occupiamo della scuola e della “cittadinanza attiva” (vedi il protocollo di intesa sottoscritto col MIUR il 24 luglio 2014 e in corso di attuazione), ci occupiamo delle stragi nazifasciste degli anni ‘43-‘45, non solo partecipando alle iniziative di ricordo, ma anche promuovendo seminari e convegni per irrobustire, con gli storici, la conoscenza di tutto quanto è accaduto; mettendo in cantiere un “Atlante delle Stragi”, che sarà d’importanza storica e per il quale siamo riusciti ad ottenere un finanziamento da parte della Germania; ci occupiamo delle riforme costituzionali, contrastando con forza ed energia quelle che ci appaiono non come modifiche, ma come stravolgimenti della Carta costituzionale; ci occupiamo di diritti, di pace, di lavoro, esercitando quella “coscienza critica” che ci è stata indicata come un dovere primario da parte del Congresso nazionale del 2011; ci occupiamo di donne, di emancipazione, di libertà e uguaglianza; e tantissimo, di formazione non solo dei giovani ma anche dei nostri dirigenti. E tutto questo non è né statico né tanto meno “istituzionale” (ma cosa vuol dire, alla fine, questa espressione?).
Ci occupiamo, e molto, piaccia o no a chi chiede che l’ANPI “batta un colpo”, di antifascismo, non solo perché siamo sempre attivi nel richiamare gli organi istituzionali ed elettivi al ruolo che loro è assegnato da una Costituzione profondamente e nettamente antifascista, in tutte le sue norme, i suoi princìpi ed i valori che esprime, ma anche perché cerchiamo, in tutte le forme possibili, di contrastare i movimenti neofascisti e neonazisti, che si stanno sempre più espandendo, nonostante le nostre iniziative e nonostante gli sforzi di quello che Ferrari definisce come “l’altro movimento”.
Non a caso, abbiamo tenuto un seminario, su questi temi, con l’Istituto Cervi e nella sua sede; non a caso abbiamo tenuto un convegno, a Roma, nell’aprile 2014 proprio sul modo di contrastare questi fenomeni. A quel Convegno avevamo invitato tutte le istituzioni (dico tutte) e sono venuti solo due parlamentari! Poi abbiamo pubblicato e diffuso un opuscolo che riassume i contenuti di que convegno e in cui sono collocate, in appendice, due sentenze della Corte di Cassazione che considerano reato il saluto romano in luogo pubblico, fornendo così indicazioni precise ai nostri organismi periferici perché si attivino sempre, contattino Sindaci, Prefetti, Questori, facciano denunce all’Autorità giudiziaria, insomma scuotano il silenzio e l’indifferenza con cui il nostro Paese affronta (o meglio, non affronta) un problema che è grave, storicamente e politicamente, e denso di incognite per il futuro.
Certo, noi preferiamo i presìdi agli scontri frontali, evitiamo le occasioni di contrasto violento, cerchiamo di coinvolgere i cittadini e non di allontanarli, ma non manchiamo di adottare, in ogni occasione, le iniziative che riteniamo utili, o anche solo opportune. Bisogna riconoscere che gli esiti di questo impegno sono, a tutt’oggi, ancora limitati. Ma ottiene qualcosa di più “l’altro movimento”? Un corteo, uno scontro, sono più efficaci di un presidio? La realtà ci dice di no e ci insegna che ciò che conta è non rassegnarsi mai e contestare sempre le iniziative neofasciste, assumendo per primi le iniziative necessarie per controbatterle, per ottenere che vengano impedite, per suscitare le reazioni che dovrebbero provenire proprio dagli organi dello Stato e dagli Enti locali.
Tutto questo è un “calcolo politico”, come sembra sostenere l’articolo? Non è così, anche se è ovvio che bisogna dotarsi, contro un fenomeno grave e pericoloso, di una qualche strategia. Non la intravvedo, questa strategia, nell’articolo, anche se presentata con una certa enfasi, ma in realtà limitata ai cortei, che talora sono utili, se richiamano l’attenzione e coinvolgono i distratti, ma sono semplicemente rischiosi se conducono ad uno scontro, quanto meno privo di effetti positivi. Che sia meglio unire le forze, non è dubitabile, ma bisogna farlo con un minimo di umiltà e di vera disponibilità, senza essere convinti di essere gli unici detentori della verità. Ci si chiede di “battere un colpo”; ma su che cosa, se siamo già in campo da sempre e continuiamo, doverosamente e quotidianamente, ad interrogarci se quanto facciamo è sufficiente o possiamo e dobbiamo fare qualcosa di più efficace e come?
Io sono convinto che il problema principale stia in questo Stato, che non riesce a diventare antifascista, che non sente la memoria come un valore da coltivare, che non si pronuncia neppure di fronte ai fenomeni più gravi e appariscenti. Sono convinto che se il Ministero degli Interni desse direttive precise e conformi alle linee ed ai valori della Costituzione, se i rappresentanti periferici dello Stato si adeguassero, se tutti i Sindaci facessero capire con chiarezza che nel territorio che amministrano, i fascisti e i nazisti, comunque si chiamino, non sono graditi, qualcosa comincerebbe a cambiare. E sono convinto che bisogna superare quel muro di indifferenza e disimpegno che caratterizza tanta parte degli italiani. Se su questo si è disposti a svolgere un’azione comune, noi siamo già in campo e non abbiamo alcun bisogno di inventare nuovi organismi, mentre sentiamo forte l’esigenza di un antifascismo diffuso.
Non a caso in molte città esistono da tempo “Comitati antifascisti”, nei quali c’è sempre l’ANPI, che cercano di realizzare il coordinamento di azioni e unità di intenti; soprattutto c’è l’ANPI, che ha aperto dal 2006 agli “antifascisti” e ne ha tratto enorme vantaggio, non per i numeri ma per la crescita delle idee, dei confronti, delle proposte, delle iniziative. Se abbiamo ancora bisogno di “crescere”, come sostiene l’articolo, ci si dia un contributo di idee e di proposte, ma non si pretenda di risolvere il problema contrastando proprio la forza più determinata e forte che è impegnata, su questo terreno, praticamente dalla Liberazione.
Non c’è da inventare nulla di nuovo; abbiamo suggerito di prendere sempre le iniziative più “tempestive”, di organizzare presìdi quando occorre e di fare manifestazioni quando sono idonee non solo a richiamare l’attenzione, ma anche ad allargare il fronte antifascista, anziché rinchiuderlo in un recinto. Abbiamo anche fornito gli strumenti per investire l’Autorità giudiziaria dell’esigenza di far applicare le leggi che ci sono, checché se ne pensi; stiamo organizzando un incontro di riflessione per capire meglio che cosa attrae i giovani e che cosa può suscitare in loro positivi ed efficaci entusiasmi, nel solco della Costituzione. Possiamo sbagliare, possiamo avere incertezze e dubbi sulle iniziative da intraprendere, ma cerchiamo di fare sempre meglio e di più, senza avventure. Se esiste un problema dei giovani (che dobbiamo cercare di capire noi, prima di ogni altra cosa), bisogna affrontarlo con serietà e approfondimento, nello sforzo di individuare una strada, suscitare interessi, proporre precise scelte di campo, rendendoci conto che anche fra loro ci sono differenze, modi di vedere ed agire diversi; e soprattutto che nessuno ne può rivendicare il monopolio. Nelle loro mani sta il futuro del Paese: sono loro che dovranno combattere le battaglie necessarie per preservare la democrazia da ogni pericolo; anche loro, però, dovranno fare le loro riflessioni e mettere in campo ricerche di identità e di prospettive.
Noi possiamo confrontarci, anche richiamandoci alle nostre esperienze, per quel che valgono e fornire qualche spunto di riflessione, però con l’umiltà di chi ha sperimentato in concreto il valore e il significato delle “scelte” e non pretende che vengano adottate come modello, ma al più siano oggetto di conoscenza e di riflessione. Siamo di fronte a fenomeni che sembravano inimmaginabili, in una Europa che ha vissuto gli orrori della dittatura, della persecuzione dei “diversi”, della barbarie più disumana. Tutto questo non è bastato a vaccinarci, tutti, contro il pericolo di ritorni al passato, anche se in forme diverse.
Dobbiamo, dunque, fare di più e meglio, dobbiamo capire come e perché nascono certi movimenti e perché suscitano attenzione anche da parte dei giovani; e dobbiamo cercare di combatterli in forme unitarie, ma capaci di ampliare il consenso. Lo facciamo, tutto questo, senza iattanza, ma con convinzione e fermezza e con la ricerca continua di andare oltre gli schemi che già conosciamo, soprattutto per creare, nel Paese, un vero “clima “ antifascista. Siamo pronti, come indica il documento politico del convegno di Torino, ad essere la “casa degli antifascisti” se sono disponibili anche al confronto e se considerano con attenzione tutto ciò che, talora faticosamente e magari qualche volta sbagliando, cerchiamo di fare. Non c’è bisogno, dunque, di case “nuove”, perché una l’abbiamo già e da molto tempo ed è una casa aperta per tutti coloro che vogliono, sinceramente e lealmente, perseguire l’obiettivo di un Paese più intimamente e profondamente antifascista e caratterizzato da una più solida democrazia.
Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi
31 marzo 2015