VERSIONE PROVVISORIA
Lara Trucco
Il sistema elettorale “Italicum-bis”
alla prova della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014
(ATTO SECONDO)
Sommario: 1. Premessa. – PARTE I. IL SISTEMA DI VOTAZIONE. – 2. Formato circoscrizionale, collegi elettorali e liste di candidati. – 3. Il voto “misto” (blindato e preferenziale). – PARTE II. IL SISTEMA DI ASSEGNAZIONE DEI SEGGI. – 4. Formula elettorale (proporzionale) e soglia di sbarramento (unica). – 5. Il premio di maggioranza (fisso). – 6. I livelli (molteplici) di assegnazione (e traslazione) dei seggi e la proclamazione degli eletti..
«…Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento.
Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. E’ una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole.
L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale.
I giocatori lo aiutino con la loro correttezza. Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. …»
(Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
Cerimonia di giuramento, Montecitorio, 3 febbraio 2015)
1. Premessa
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
nel formulare il mio saluto cordiale, desidero ringraziare vivamente per l’invito a questa audizione, nella speranza di fornire un qualche utile contributo ai lavori della Commissione.
In tal senso, sarà mio intento proporre, alla luce della già memorabile sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014[1], una lettura della proposta di legge (A.C. 3-bis-B), recante “disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati”[2], approvata, con modifiche dal Senato, il 27 gennaio 2015 ed hic et nunc all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.
Cercherò, in particolare, di mettere a fuoco i principali elementi caratterizzanti il nuovo sistema elettorale della Camera (che denominerò “proposta-bis” o “Italicum-bis”), di cui costituisce ora potente sintesi l’art. 1 del testo (introdotto, notoriamente, nel corso della discussione in Assemblea al Senato, dal cd. “emendamento Esposito”) in chiave di comparazione rispetto alla proposta (v. il d.d.l. S. 1385) approvata da questo stesso ramo del Parlamento, in prima lettura, il 12 marzo 2014 (che per comodità espositiva chiamerò “prima proposta” o semplicemente “Italicum”).
Per la precisione, mi concentrerò solo sul sistema di elezione (dunque, sui meccanismi, normativamente previsti, che regolano il procedimento di articolazione delle preferenze individuali in voti – sistema di votazione – e la conversione dei voti in seggi – sistema di assegnazione dei seggi –), mentre resteranno estranei alla mia analisi altri profili, pure molto interessanti, contenuti nella “proposta-bis” concernenti la materia elettorale più ampiamente considerata (come, ad es., le norme concernenti il “procedimento elettorale preparatorio” e quelle sul “voto dei cittadini temporaneamente all’Estero”), meritevoli di una trattazione a parte. Ancora più nello specifico, porterò la mia attenzione solo sul sistema per l’elezione della Camera dei deputati, dal momento che, com’è noto, quest’ultima Assemblea (nella seduta dell’11 marzo) ha stralciato il sistema di elezione del Senato dalla bozza di riforma elettorale, preso atto dell’avvio, nell’altro ramo del Parlamento, del ddl cost. di riforma – particolarmente e proprio – del sistema di reclutamento dei senatori[3]; e considerato che, comunque, il testo base della riforma elettorale proponeva un sistema analogo per l’elezione di entrambe le Camere.
Inoltre, terrò presente che per il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta è stato previsto un regime elettorale speciale. Per diverso ma connesso profilo, terrò conto della sola elezione dei 618 “rappresentanti dei cittadini italiani residenti in Italia” (nella proposta base di riforma, a causa, probabilmente, di un mero errore materiale erano invece indicati solo 617 seggi…), dato che per l’elargizione dei 12 seggi “esteri” continuerà a valere un regime elettorale specifico, delle cui criticità s’è già ragionato in passato[4], e la cui riforma, tuttavia, al momento, non risulta contemplata tra i punti all’ordine del giorno.
PARTE I
IL SISTEMA DI VOTAZIONE
2. Formato circoscrizionale, collegi elettorali e liste di candidati
Tra le principali novità della “proposta-bis” (Italicum–bis) di riforma del sistema di elezione della Camera dei deputati rispetto alla situazione vigente vi è certamente, sul versante del disegno di collegi e circoscrizioni e del sistema di votazione ad esso connesso, la previsione, ai fini della presentazione delle liste di candidati, di sostituzione delle attuali 27 circoscrizioni con la suddivisione del territorio nazionale in 20 circoscrizioni elettorali. Ciò da cui conseguirebbe (come rileva nello schema che segue)[5] un ampliamento dell’elemento circoscrizionale (il cui disegno verrebbe a corrispondere perfettamente coi confini delle regioni), rispetto alla situazione attuale (che vede la contestuale presenza di circoscrizioni regionali e di circoscrizioni “infraregionali” nelle sei regioni più popolose[6]), con un certo “allentamento” del rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, a cui peraltro pone rimedio quanto si dirà appresso.
SITUAZIONE VIGENTE
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|
PROPOSTA ITALICUM-BIS |
||
CIRCOSCRIZIONE |
N. SEGGI |
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CIRCOSCRIZIONE |
N. SEGGI |
|
45 |
|
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101 |
|
45 |
|
|
60 |
|
42 |
|
|
57 |
|
42 |
|
|
52 |
|
40 |
|
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51 |
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38 |
|
|
46 |
|
32 |
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45 |
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31 |
|
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42 |
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28 |
|
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38 |
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27 |
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20 |
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25 |
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17 |
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23 |
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16 |
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22 |
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16 |
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20 |
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14 |
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20 |
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13 |
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17 |
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11 |
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16 |
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9 |
|
16 |
|
|
6 |
|
16 |
|
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3 |
|
16 |
|
|
1 |
|
14 |
|
|
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13 |
|
|
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|
11 |
|
|
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|
9 |
|
|
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6 |
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3 |
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1 |
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TOTALE |
618 |
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TOTALE |
618 |
MEDIA: 22,9 |
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MEDIA: 30,9 |
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Nell’ambito delle suddette 20 circoscrizioni, l’Italicum–bis, prevede il disegno di 100 collegi plurinominali, ciascuno corrispondente, in linea di massima, al territorio delle ormai superate province (art. 1, c. 1, lett. a)). Questi ultimi andrebbero quindi a rimpiazzare i 120 collegi elettorali che secondo la “prima proposta” di Italicum avrebbero dovuto sostituire[7] le suddette, attuali, 27 circoscrizioni elettorali[8].
Come avremo modo di meglio vedere nel prosieguo (v., infra, il §6), la previsione di un tale duplice livello (circoscrizionale-collegiale) incide indubbiamente – e, per certi versi, in maniera determinante – al momento, finale, dell’applicazione della formula elettorale e dell’assegnazione e dell’effettiva assegnazione delle cariche; tuttavia, è opportuno mantenere ora la nostra attenzione sulle interrelazioni che il ridetto disegno dell’elemento circoscrizionale intrattiene col (più ampio) sistema di votazione.
Ad un tale riguardo, una delle principali novità di entrambe le versioni dell’Italicum rispetto al sistema dichiarato incostituzionale dalla Consulta (con la suddetta sent. n. 1 del 2014)[9] è data dalla previsione – proprio in forza, da un lato, della sostituzione delle precedenti grandi circoscrizioni con circoscrizioni e, nel caso dell’Italicum–bis di collegi elettorali di più piccole dimensioni e dell’intima connessione tra numero di seggi da assegnare e numero di candidature da mettere in lista – in luogo delle precedenti liste composte da decine di candidati (tanto da esser denominate “liste lenzuola”[10]), di liste tendenzialmente brevi (comunque più brevi rispetto a quelle introdotte dalla legge n. 270 del 2005).
Detto ciò, dal confronto tra i testi approvati, rispettivamente, dalla Camera e dal Senato in prima lettura rileva (v. la tabella che segue) il fatto che mentre nella prima versione dell’Italicum (laddove si fosse optato per il numero più alto di collegi) ogni lista sarebbe risultata composta da un massimo di sei candidati (del resto, anche volendo fare un calcolo molto approssimativo: 618/120=5,15), nell’Italicum–bis le liste saranno più lunghe, potendo contare fino a nove candidature (anche qua, facendo un calcolo a spanne: 618/100=6,18).
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ITALICUM (PRIMA PROPOSTA)
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ITALICUM-BIS |
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||||||
CIRCOSCRIZIONE |
N. SEGGI |
N. COLLEGI PLURINOM. |
N. MEDIO SEGGI PER COLLEGIO |
|
N. SEGGI |
N. COLLEGI PLURINOM. |
N. MEDIO SEGGI PER COLLEGIO |
|
101 |
20 |
5,1 |
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101 |
17 |
5,9 |
|
60 |
12 |
5 |
|
60 |
10 |
6 |
|
57 |
11 |
5,2 |
|
57 |
9 |
6,3 |
|
52 |
10 |
5,2 |
|
52 |
9 |
5,8 |
|
51 |
10 |
5,1 |
|
51 |
8 |
6,4 |
|
46 |
9 |
5,1 |
|
46 |
8 |
5,8 |
|
45 |
9 |
5 |
|
45 |
7 |
6,4 |
|
42 |
8 |
5,3 |
|
42 |
7 |
6 |
|
38 |
8 |
4,8 |
|
38 |
6 |
6,3 |
|
20 |
4 |
5 |
|
20 |
3 |
6,7 |
|
17 |
3 |
5,7 |
|
17 |
3 |
5,7 |
|
16 |
3 |
5,3 |
|
16 |
3 |
5,3 |
|
16 |
3 |
5,3 |
|
16 |
3 |
5,3 |
|
14 |
3 |
4,7 |
|
14 |
2 |
7 |
|
13 |
3 |
4,3 |
|
13 |
2 |
6,5 |
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– |
– |
– |
|
– |
– |
– |
|
9 |
2 |
4,5 |
|
9 |
1 |
9 |
|
6 |
1 |
6 |
|
6 |
1 |
6 |
|
3 |
1 |
3 |
|
3 |
1 |
3 |
|
– |
– |
– |
|
– |
– |
– |
TOTALE |
606 |
MAX 120 |
|
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606 |
100 |
|
Coerentemente a quanto si è testé osservato, mentre nella “prima proposta” di Italicum si era stabilito che ai collegi fosse assegnato un “numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a sei” (v. l’art. 1, c. 3), nell’Italicum–bis si prevede che “i seggi spettanti a ciascuna circoscrizione […] sono assegnati in collegi plurinominali, nei quali è assegnato un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a nove” (v. il “nuovo” art. 1, c. 3).
Su questa base, l’Italicum, in ambo le versioni, prevede che le liste (di candidati) siano formate “da un numero di candidati pari almeno alla metà del numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale e non superiore al numero dei seggi assegnati al collegio plurinominale”, conseguendone (come rileva dalla tabella che segue) un diverso numero minimo e massimo di candidati nei due casi.
ITALICUM (PRIMA PROPOSTA)
|
ITALICUM-BIS |
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SEGGI |
N. MIN |
N. MAX |
|
SEGGI |
N. MIN |
N. MAX |
3 |
2 |
3 |
|
3 |
2 |
3 |
4 |
2 |
4 |
|
4 |
2 |
4 |
5 |
3 |
5 |
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5 |
3 |
5 |
6 |
3 |
6 |
|
6 |
3 |
6 |
|
|
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7 |
4 |
7 |
|
|
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8 |
4 |
8 |
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9 |
5 |
9 |
Una tale differenza “quantitativa” comporta delle conseguenze tutt’altro che irrilevanti sul piano, per così dire, “qualitativo” del suffragio.
La previsione, (anche) da parte dell’Italicum-bis di un numero variabile (da collegio a collegio) di candidature in lista, è un meccanismo in grado di incidere sulle pari opportunità di voto degli elettori e, più in generale, sulla capacità di incidenza del voto individuale sull’esito finale dell’elezione (diversa essendo la possibilità di esprimere la propria scelta tra tre e sei, piuttosto che tra tre e nove persone). In particolare, si rileva problematicamente la possibilità, nei collegi in cui sono assegnati 3 o 4 seggi, di procedere alla presentazione di liste composte da due soli candidati, incluso il capolista, e, analogamente, la possibilità, nei collegi di 5 o 6 seggi, di indicare tre candidati, di cui uno capolista: va da sé che, infatti, che, in tali contesti, il livello di personalizzazione del voto sarebbe indubbiamente elevato, a fronte, tuttavia, di un radicale assottigliamento dell’offerta elettorale disponibile, dato che, in sostanza, gli elettori sarebbero chiamati ad esprimere le proprie preferenze nei confronti di singole candidature (di sesso diverso).
Ciò porta a riflettere sulla infungibilità dell’idea della “personalizzazione” del suffragio e della “portata preferenziale” del voto individuale stesso, trattandosi di aspetti la cui distanza meglio si apprezza proprio in quei casi in cui la gamma di scelte a disposizione sia talmente esigua da consentire all’elettore (un po’ come accade nei referendum) di scegliere nell’ambito di una sola alternativa (sì/no) concernente singole persone (approvo quel candidato/non lo approvo). In simili situazioni, infatti, a fronte di una valorizzazione massima delle elemento personalistico si riconosce un rilievo minimo di quello preferenziale.
A tale riguardo, nella sent. n. 1 del 2014 la Corte si è dimostrata certamente attenta al profilo preferenziale, tanto da dichiarare nello stesso dispositivo della decisione l’illegittimità costituzionale delle norme della legge elettorale “nella parte in cui non consent[ivano] all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati”. Tuttavia, sia dimostrata molto sensibile anche nei riguardi del legame tra libertà e personalizzazione del voto, nel senso di “conoscibilità” delle candidature da parte degli elettori, coll’evidenziare come le «condizioni di voto» introdotte dalla legge n. 270 del 2005 avessero finito per rendere «la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi» né, tanto meno «con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)».
In quest’ottica, in modo per certi versi paradossale, l’elemento certamente migliorativo, sul lato “preferenziale” del voto, contenuto nell’Italicum–bis, costituito dal tendenziale aumento del numero di candidature in lista, sembrerebbe avere un impatto negativo sul lato, invece, della “personalizzazione”, in termini di conoscibilità dei candidati per i quali è possibile esprimere la preferenza da parte degli elettori. Controprova di questo, del resto, è data dal fatto che mentre l’“accorciamento” delle liste contenuto nella “prima proposta” di Italicum aveva reso possibile la stampa, sulle schede elettorali, “per ciascun contrassegno di lista”, dei nominativi dei candidati (per la precisione, del “cognome e del nome dei relativi candidati nel collegio plurinominale”), nella proposta in discussione una tale soluzione è stata soppiantata dalla previsione dell’indicazione “accanto a ciascun contrassegno di lista”, a sinistra del contrassegno, solo “del cognome e del nome del relativo candidato capolista nel collegio plurinominale”, mentre a destra sono riportate solamente “due linee orizzontali per l’espressione, rispettivamente, della prima e della seconda preferenza” (v. l’art. 2, c. 4).
Un tale stato di cose, tuttavia (come rileva, tra l’altro, dalle tabelle che seguono) non deve destare particolari preoccupazioni. Ed infatti, anche a non voler considerare che il venir meno, come si vedrà, nella proposta in discussione, rispetto alla prima versione, della componente “coalizionale” gioca a favore del riavvicinamento dell’elemento votato e dunque di una maggiore personalizzazione della scelta, le liste di candidati in questione sono tendenzialmente brevi e, comunque, nemmeno lontanamente paragonabili alle “liste lenzuola” della vecchia normativa (censurata nella sent. n. 1 del 2014), in vigenza della quale «il cittadino [era] chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce», con un conseguente pregiudizio per la sua libertà di suffragio.
ITALICUM (PRIMA PROPOSTA)
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ITALICUM-BIS
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Ci si limita peraltro a notare come la stampa, sulla scheda, dei soli nomi dei capilista, potrebbe ovviare ad altrimenti possibili incertezze (come era avvenuto con riguardo alle schede della “prima proposta” di Italicum) circa la possibilità (una volta assegnato il seggio ai capilista), di considerare bloccate, in forza di una sorta di “effetto trasferimento” della blindatura, anche le candidature successive (alla prima) in lista[11]). Rileva, poi, la perdurante assenza, nella scheda (in attesa, può pensarsi, di vedere cosa succederà sul versante della riforma istituzionale), dei nomi dei candidati alla Presidenza del Consiglio (il cui nome potrebbe peraltro continuare a comparire sui contrassegni), limitandocisi, al proposito, a proporre la cauta previsione di un “deposito”, da parte dei partiti o dei gruppi politici organizzati “che si candidano a governare”, contestualmente al deposito del proprio contrassegno, del “programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica” (art. 2, c. 8).
Portando ora l’attenzione su di un versante diverso ma pur sempre attinente al sistema di voto ed alla conoscibilità dei soggetti votati, benché la Corte, nella ridetta sent. n. 1 del 2014, abbia additato come problematica la «possibilità di candidature multiple» e, con esse, «la facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito» (consideratane l’idoneità a mandare delusa l’aspettativa degli elettori «relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista» che gli viene prospettato al momento del voto), un siffatto congegno[12] continua ad essere contemplato[13]. Per la precisione, dopo essere stato inizialmente espunto dal testo di base della riforma[14], e successivamente reintrodotto in quello approvato alla Camera (dandosi nuovamente modo a ciascun candidato di “essere incluso in liste con il medesimo contrassegno”, sia pur “fino ad un massimo di otto collegi plurinominali”), esso è stato riproposto, ancora da ultimo, limitandosene ancora maggiormente la sfera applicativa, dall’Italicum–bis. Così, la proposta di legge in discussione consente solo ai capilista, a pena di nullità dell’elezione, di candidarsi in liste (con il medesimo contrassegno), in una o più circoscrizioni, fino ad un massimo di dieci collegi, mentre non conferisce privilegio analogo ai candidati su cui gli elettori sono chiamati ad esprimere la propria preferenza (v. l’art. 2, c. 11)[15].
Ebbene, se si condivide l’idea dell’attitudine, pure in questa versione “ultra-attenuata”, di un tale meccanismo, di rimescolare, comunque, le carte in tavola (scoperte al momento della presentazione delle liste di candidati) si deve parimenti acconsentire sulla sua perdurante propensione a disorientare l’elettore, continuando a risultare per questi difficile, se non addirittura impossibile, in forza del gioco delle opzioni concatenate, stabilire chi effettivamente beneficia del suo suffragio, a detrimento della libertà individuale di voto. Si osserva, peraltro, come a diverse conclusioni si potrebbe arrivare se per i capilista fosse riservato un conteggio a sé, privo di interrelazioni con le altre candidature e tale da condurre ad una sorta di classifica “avulsa”, per l’appunto, dei capilista, magari valorizzandosi maggiormente la figura, attualmente, per vero, un po’ sfocata, dei quattro candidati supplenti che assistono (al)le elezioni (ex art. 2, c. 10), con la previsione di un ticket tra un supplente (dello stesso sesso) col capolista e l’eventuale sostituzione di quest’ultimo, in caso, per l’appunto, di opzione per la propria elezione in un altro collegio elettorale.
Ad ogni modo, fa riflettere il fatto che lo stesso giudice costituzionale, pur, come si è detto, evidenziando le criticità della possibilità di candidatura multipla, non abbia, poi, infine, proceduto (forse considerando l’inidoneità della candidatura/opzione multipla di per se sola a compromettere la sostanza del suffragio) a sollevare la questione dinnanzi a se stesso, né tanto meno a dichiararne l’illegittimità in via consequenziale, lasciando impregiudicata la situazione.
3. Il voto “misto” (blindato e preferenziale)
Riprendendo ora la questione, di fondamentale importanza per la caratterizzazione di un sistema come democratico, della garanzia circa la sussistenza di una qualche aleatorietà dell’elezione, è nota ormai l’attitudine delle norme sulla cd. “preferenza di genere”[16], per loro stessa natura ed in maniera variabile a seconda delle diverse tecniche adottate, a conformare, nella misura consentita dalla Costituzione (v. spec. gli artt. 51, e 117 Cost.) l’elezione, senza poter arrivare, comunque, a precostituire l’esito dell’elezione (per cui esse potrebbero funzionare un po’ come delle scatole, il cui contenuto concreto, però, deve poter essere scelto dagli elettori). In questo senso, il pensiero non può che andare, ancora, alla giurisprudenza costituzionale, questa volta, però, alla sent. n. 4 del 2010, in cui, si badi, proprio avendo a che fare con un meccanismo elettorale di riequilibrio di genere – la Corte ha messo in guardia sulla necessità che il legislatore non «prefiguri», «in qualche modo», «il risultato elettorale, alterando forzosamente la composizione dell’assemblea elettiva rispetto a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori in assenza della regola contenuta nella norma».
Ebbene, della “prima versione” dell’“Italicum, si era lamentata (anche nel dibattito parlamentare[17]) non solo la sostanziale inattitudine a conseguire gli esiti voluti[18], ma addirittura la possibile produzione di un effetto opposto rispetto a quello auspicato del riequilibrio di genere, considerandosi come, pure in presenza di una percentuale inusualmente alta di candidature femminili sarebbe, tuttavia, potuta uscirne un’assemblea composta in ampia parte di deputati uomini (nel caso in cui le candidate fossero state collocate agli ultimi posti delle liste di partito).
Nell’Italicum–bis pare evidente la volontà di rimediare a un simile inconveniente, con l’introduzione di norme meglio in grado di garantire il conseguimento dell’obbiettivo. In particolare si continua a prevedere, “a pena di inammissibilità” della lista (v. l’art. 1, c. 1, lett. b) e l’art. 2, c. 9), che:
– nella successione interna delle liste nei collegi, i candidati debbano essere presentati in ordine alternato per sesso (in un tale riferimento alle liste e non all’elenco dei candidati è possibile dedurre, in via interpretativa, che l’ordine alternato includa pure il candidato capolista, anche se un elemento di tanto rilievo meriterebbe, ci pare, di essere meglio puntualizzato nella normativa).
Tuttavia, una tale previsione risulta ora potenziato dalle ulteriori prescrizioni per cui:
– i capolista dello stesso sesso non possono eccedere il 60% del totale in ogni circoscrizione, “con arrotondamento all’unità più prossima”; e
– nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al 50%, “con arrotondamento all’unità superiore”.
Va inoltre ricordato che (ai sensi dell’art. 2, c. 11) anche
– l’elenco dei quattro candidati supplenti da allegare alla lista deve rispettare il principio di equilibrio di genere, dovendo a tal fine essere composto da due uomini e due donne.
Venendo ora ad esaminare, sul piano tecnico, il fondamentale profilo del voto individuale 8in senso stretto considerato), nell’ottica di un possibile[19] (futuro) sindacato di costituzionalità del nuovo sistema, è necessario appurare l’attitudine dell’Italicum ad evitare il (ri)presentarsi della circostanza, su cui è calata la scure della Consulta nella sent. n. 1 del 2014, che «alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, [manchi] il sostegno della indicazione personale dei cittadini». Una tale circostanza, infatti, coll’«alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti» ed «[a]nzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente», finisce, nel pensiero della Consulta, per «coarta[re] la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare», ferendo, pertanto, «la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione», in contraddizione con lo stesso «principio democratico».
Con questa lente è possibile gettar luce su talune modifiche (almeno parzialmente) migliorative intervenute al Senato. In precedenza, infatti, era riproposto un voto unico, categorico, su liste blindate, seguitandosi, così, problematicamente[20] ad escludere «ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti», che continuava a dipendere in modo pressoché esclusivo «oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa […] che è sostanzialmente deciso dai partiti».
Una tale propensione non è per vero del tutto scomparsa nel testo in discussione, dato che i capilista continuano ad essere blindati e, a seconda di come si metteranno le cose (si noti come, in modo per certi versi paradossale, in questo caso, l’attivazione in tutti e dieci i collegi a disposizione delle candidature multiple dei capilista potrebbe giocare a favore delle preferenze…), ampia parte dei seggi potrebbero venire assegnati “in automatico”, finendo per rendere poco più che simbolica la legittimazione (di quanto di poco e residuale resta) da parte del voto popolare…il che spiace (anche) in un’ottica pragmatica, essendo difficile immaginare che, in ogni caso (quindi, anche se si fosse previsto un voto completamente preferenziale), i capilista (specie delle forze politiche maggiori) non sarebbero stati eletti…mentre di ciò avrebbe beneficiato la resa della nostra forma di governo e con esso l’intero circuito democratico.
Comunque sia, si propone ora un sistema di voto “misto”: in parte, come si è testé osservato, blindato ed in parte preferenziale: oltre al voto di lista, infatti, agli elettori è dato modo di esprimere (ex art. 1, c. 1, lett. c); e art. 2 c. 4)) fino a due preferenze per candidati, non capilista, di sesso diverso, secondo l’ormai noto meccanismo della “doppia preferenza di genere” (rilevando, come si vedrà infra, al §6, le preferenze di voto, dall’assegnazione dei seggi ai secondi eletti in lista in poi).
Più precisamente, nella proposta-bis (v. il comma 20 dell’art. 2) si prevede che “l’elettore, senza che sia avvicinato da alcuno, esprime il voto tracciando con la matita, sulla scheda, un segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta” e che possa “anche esprimere uno o due voti di preferenza, scrivendo il nominativo del candidato prescelto, o quelli dei candidati prescelti, sulle apposite linee orizzontali” (v., supra, il fac simile). Su questa base, si chiarisce, inoltre, opportunamente, che (v. il comma 21 dell’art. 2) se l’elettore
– traccia un segno sul nominativo del candidato capolista, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima, si intende che abbia votato per la lista stessa;
– se traccia un segno su una linea posta a destra del contrassegno, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima, si intende che abbia votato per la lista stessa; e, ancora,
– se esprime uno o due voti di preferenza, senza tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima, si intende che abbia votato anche per la lista stessa; mentre
– se traccia un segno sul contrassegno di una lista e scrive il nominativo di uno o più candidati sulle linee orizzontali poste a destra del contrassegno di altra lista o di altre liste, il voto è nullo; e, analogamente,
– se traccia un segno sul contrassegno di una lista e sul nominativo del candidato capolista di altra lista, il voto è nullo; e, ancora, che in caso di espressione della seconda preferenza (v. il comma 4 dell’art. 2) se l’elettore
– non sceglie un candidato di sesso diverso rispetto al primo, la medesima preferenza è nulla. Infine, è stabilito (v. il comma 21 dell’art. 2), in via residuale, che
– ogni altro modo di espressione del voto, determina la nullità del suffragio “nel caso in cui sia manifesta l’intenzione di annullare la scheda o di rendere riconoscibile il voto”.
In un tale quadro, non privo per vero, di chiaroscuri, frutto del contemperamento di interessi di parte, inclini a garantire una qualche certezza dei risultati, e valori di tipo democratico, legati all’esigenza di salvaguardare, comunque, una certa aleatorietà dell’esito stesso dipendentemente dalla scelta del corpo elettorale[21], ci pare, comunque (più) improbabile (rispetto alla “prima proposta” di Italicum) che la Consulta, in un eventuale giudizio di costituzionalità, possa non riconoscere l’idoneità, in qualche misura, dei profili di riforma (nel senso della “personalizzazione”) del sistema di votazione, a (contro)bilanciare i profili, invece, di conservazione del precedente sistema di voto (bloccato), dichiarandone l’incostituzionalità per “irragionevolezza” o a motivo della violazione del contenuto essenziale del diritto fondamentale di voto[22].
In particolare, merita di essere riletta, in quest’ottica, la sent. n. 203 del 1975, in cui la Corte ebbe antesignanamente ad affermare che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non avrebbe leso in alcun modo la libertà di voto del cittadino, a condizione, però, che quest’ultimo restasse «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza».
PARTE II
IL SISTEMA DI ASSEGNAZIONE DEI SEGGI
4. Formula elettorale (proporzionale) e soglia di sbarramento (unica)
Venendo all’esame della formula elettorale, tra le modifiche di maggior momento intervenute al Senato, v’è senz’altro la scelta – o, se si vuole, la “svolta”… – a favore dell’abbandono di un sistema incardinato sulla componente “coalizionale” (quale era la “prima versione” dell’Italicum) ad un sistema (come quello dell’Italicum–bis) in cui, invece, un ruolo centrale è assegnato alle liste di partito in quanto tali (secondo quanto rileva sin già all’art. 1, c. 1, lett. da d) a f) della proposta).
Una tale mutazione genetica ha comportato il contestuale venir meno del famigerato meccanismo delle soglie di sbarramento multiple (che costituiva un unicum nel panorama comparato), e del connesso “effetto fotografico” di cui si è avuto modo in varie occasioni di ragionare[23]). In tutta coerenza, è stata poi anche soppressa la previsione (tendente ad accentuare la convenienza delle forze politiche ad unirsi in coalizioni) dell’esclusione di tutte le liste che, andando da sole, non si presentassero in più “di un quarto dei collegi plurinominali”.
Eliminate dunque le soglie multiple, per accedere al riparto dei seggi è ora prevista (in linea, peraltro, con quanto comunemente accade nell’ambito di sistemi elettorali d’indole proporzionale) una soglia di sbarramento unica, a livello nazionale, del 3% “del totale dei voti validi espressi” (v. l’art. 2, c. 25). Dalla portata applicativa dello sbarramento continuano a rimanere estranee “le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella regione medesima” (cd. “soglia salva-minoranze linguistiche”).
Operativamente, è l’Ufficio centrale nazionale che individua le liste che hanno conseguito la soglia minima, a tal fine calcolando il totale dei voti validi espressi a livello nazionale (dato dalla somma dei voti validi conseguiti da tutte le liste in tutte le circoscrizioni) e la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista (data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali conseguite nelle singole circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo contrassegno).
A questo punto, il computo dei voti esige un molteplice livello di calcolo (ora, però, non più, come avveniva nella “prima versione” dell’Italicum, a livello “di ciascuna coalizione di liste collegate” e “di ciascuna lista”, ma), per così dire “a imbuto”, dal livello territoriale più “alto” a quello più “localizzato” (cfr. infra).
Volendo concentrarci, per il momento, sul livello nazionale, una volta individuate le liste ammesse al riparto dei voti, l’Ufficio procede ad una prima ripartizione provvisoria dei seggi tra le liste sulla base dei voti ottenuti, applicandosi, a tal fine (come già era previsto nella prima versione” dell’Italicum), la formula proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti[24]. Più nello specifico, l’Ufficio centrale individua la lista che ha ottenuto la maggior cifra elettorale nazionale, e verifica, contestualmente, se la sua cifra elettorale nazionale corrisponde ad almeno il 40% per cento del totale dei voti validi espressi. A questo punto,
a) qualora la verifica abbia esito positivo, l’Ufficio accerta ulteriormente se tale lista maggioritaria, in base alla ripartizione provvisoria di cui s’è detto, ha conseguito almeno 340 seggi (pari al 55% dei seggi). E’ qui che (come nel vecchio Italicum) si continua a prevedere l’eventuale attivazione di quei meccanismi – per vero, più unici che rari in ambito comparato – del premio di maggioranza e del doppio turno di voto, tendenti a conferire ad un sistema essenzialmente proporzionale ed inclusivo quale quello sin qui descritto (e su cui si tornerà più oltre) una caratura maggioritaria e selettiva. Ed infatti se la lista maggioritaria:
a1) ha conseguito i suddetti 340 seggi, viene confermata l’assegnazione dei seggi risultante dalla suddetta ripartizione;
a2) se, invece, non li ha conseguiti, alla stessa viene attribuito il numero aggiuntivo di seggi necessario per ottenerli.
b) Qualora, invece, nessuna lista abbia ottenuto il 40% dei voti, si procede ad un turno di ballottaggio fra le due liste più votate; alla lista che risulta vincente al ballottaggio vengono quindi assegnati 340 seggi.
A differenza, dunque, della “prima versione” dell’Italicum, nella “proposta-bis” in discussione, soppresso l’elemento coalizionale, è rimasta in piedi solo la previsione che, nel caso di mancato conseguimento di una certa percentuale di voti da parte della lista vincente, debba svolgersi un turno di ballottaggio tra le due più votate. Tuttavia, una tale soppressione non sembra aver prodotto un qualche salto di qualità con specifico riguardo al profilo che qui rileva. Ed infatti, come nella “prima versione” dell’Italicum, si tratta di un doppio turno sui generis, che, diversamente da quanto avviene in genere in questo tipo di sistemi, si svolge su base nazionale (invece che a livello di singoli, molteplici, collegi elettorali) ed in vigenza del divieto di “ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione” (v. la lett. f) dell’art. 1) (possibilità, questa seconda, che, invece, caratterizza pressoché ovunque i sistemi a doppio turno).
Peraltro, la formula del doppio turno applicata su base nazionale congegnata nell’Italicum, e consolidata nell’Italicum–bis, nel plasmare già di per se sola, come si accennava, il sistema in senso maggioritario, può ritenersi idonea a superare una delle principali censure addotte dalla Consulta nella declaratoria di incostituzionalità del precedente sistema: il fatto, cioè, che il premio, lungi dal costituire un semplice “correttivo”, avrebbe prodotto «una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto», dato che avrebbe finito per “rovesciare” «la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005» che era quella di «assicurare», secondo una logica proporzionale «la rappresentatività dell’assemblea parlamentare».
5. Il premio di maggioranza (fisso)
Con la conferma, da parte dell’Italicum–bis del premio di maggioranza si confida, ancora una volta, nella capacità taumaturgica del meccanismo premiale, di rimediare, agevolmente, alle conseguenze della cronica debolezza della forma di governo italiana.
Delle problematicità che questo tipo di aspettativa presenta si è avuto modo altrove di portare l’attenzione[25] e, pertanto, non torneremo qui sul punto; anche se merita, quanto meno, un cenno, la constatazione di come, a dispetto della vigenza, ormai da tempo, di un simile congegno, non si sia tuttavia registrato un miglioramento apprezzabile sul versante della tenuta e dell’efficienza dell’azione di governo. Il che, ci pare, nel giustificarne la considerazione come di «un meccanismo demenziale[26]», dovrebbe bastare, altresì, a persuadere che, in vista dell’obbiettivo della “governabilità” (reputato, peraltro, «legittimo» dalla Corte, nella stessa sent. n. 1 del 2014) siano altri i versanti su cui soprattutto ed improrogabilmente intervenire, a partire dalle riforme istituzionali (includendovi i regolamenti parlamentari) …; mentre al sistema di elezione dovrebbe domandarsi e dal sistema di elezione dovrebbe pretendersi di garantire una certa rappresentatività dell’assemblea e, dunque, una congrua incidenza del voto individuale[27].
Vi è poi, quella problematicità, per così dire, “strutturale” del meccanismo premiale in quanto tale, data dal fatto che la sua applicazione finisca per lasciare ben poco al caso, assistendosi, in buona sostanza, ad una pianificazione ex ante della geografia politica delle Camere elettive (così, ad es., si sa già che in applicazione dell’Italicum–bis la Camera dei deputati risulterà sistematicamente composta da una maggioranza del 55% e da una opposizione del 45%) –, a detrimento dell’effettiva incidenza del voto individuale ed, in ultima analisi, dei reali rapporti di forza emersi dall’elezione. Né varrebbe più di tanto obiettare, trattandosi di un’ipotesi abbastanza improbabile che, nel caso che una lista o coalizione abbia conseguito del tutto “naturalmente” più del 55% dei voti, anche il risultato non sarebbe alterato poiché il meccanismo premiale non opera più.
Quanto, poi, al premio previsto dall’Italicum–bis, è possibile, innanzitutto, rilevarne una maggiore linearità di funzionamento rispetto a prima, in ragione del venir meno della “dinamica degressiva” che caratterizzava il precedente meccanismo premiale, mirandosi ad assicurare, ora, in tutti i casi, il comporsi di una maggioranza parlamentare (di una certa consistenza) pari ad almeno 340 seggi.
Tuttavia, talune delle principali criticità che un siffatto meccanismo premiale presentava nella precedente versione sono rimaste anche dopo le modificazioni che ne son state fatte al Senato, sicché nella prospettiva di un eventuale sindacato di costituzionalità del sistema, si tratterà, particolarmente, di accertarne la ragionevolezza, avendo, la Corte, nella sent. n. 1 del 2014, messo in guardia sul fatto che il «sistema elettorale […] pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole».
Il riferimento va, in particolare al fatto che i suddetti 340 seggi (pari, lo si ripete, al 55% dei seggi in palio) corrispondono, come s’è visto, all’ammontare dei seggi assegnati alla lista dimostratasi in grado di acquisire, sin già al primo turno e, pertanto, con le sole proprie forze, il 40% dei voti validi; la quale, dunque, si vedrebbe ingiustamente penalizzata rispetto a chi un siffatto risultato se lo veda consegnato, in via del tutto artificiosa, a seguito del ballottaggio.
Peraltro, proprio quest’ultimo rilievo getta luce sul vero e proprio punctum dolens di un tale meccanismo premiale e, nel contempo, dell’intero impianto del sistema elettorale di cui si discute: la mancata previsione, cioè, di una qualsiasi soglia di voti, per così dire, “ai piani bassi” del sistema, per cui come s’è dianzi visto, per liste che non traguardino il 40% dei voti si rende comunque possibile acquistare l’accesso al ballottaggio e, ciò che più conta, per tramite di questo – dunque in via puramente matematica – al conseguimento del quorum necessario ad ottenere (il premio di) ben 340 seggi. Una tale situazione, a cui in precedenza faceva forse velo la componente “coalizionale”, ad oggi, in presenza di sole, singole, liste (di partito) rileva in tutta la sua problematicità, riportando alla mente, tra l’altro, frangenti drammatici della nostra storia elettorale e costituzionale, come il premio a favore della lista di maggioranza relativa previsto dalla “legge Acerbo” di epoca fascista, per l’attivazione del quale, peraltro, si noti, si prevedeva un quorum esplicito del 25% dei suffragi.
Il ricordo, poi, dell’insuccesso del premio previsto dalla cd. “legge truffa” del 1953, nelle elezioni politiche che si svolsero sotto la sua vigenza, perché a nessuna forza politica riuscì di raggiungere la maggioranza (si noti, della metà più uno dei voti validamente espressi) necessaria a farlo scattare[28] porta a riflettere sul fatto che l’effettiva presenza di un premio dovrebbe implicarne anche l’inesistenza. Il, premio cioè, deve anche poter non scattare (potendosi pensare, in questi casi, un’applicazione residuale, ad es., del cd. Consultellum). Detto ancora altrimenti, non sembra possibile sostenere l’esistenza un quorum in quei casi in cui, di un siffatto meccanismo premiale è prevista sempre e comunque l’attivazione, avendosi, a ben vedere, in tali ipotesi, a che fare con un premio attribuito ex lege. In particolare, nella “proposta-bis” di Italicum, la presenza di quella “ragionevole soglia di voti minima” ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza, la cui mancanza, lo si rammenta, è stata alla base della dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge elettorale nella ridetta sent. n. 1 del 2014, è data, al secondo, probabile, turno di voto, da un meccanismo puramente elettorale quale il ballottaggio (che per forza di cose comporta il conseguimento da parte di chi vince di più almeno il 50% dei voti).
La salvezza di questo tipo di meccanismo premiale necessiterebbe, dunque, di una “ragione forte”, in grado di controbilanciare il peso di una siffatta forzatura (come potrebbe essere quella, che si è già avuto modo rilevare problematicamente, contenuta nella sent. n. 275 del 2014[29], in cui la Corte, nell’evidenziare, peraltro, “la netta diversità” tra disciplina elettorale statale e legge elettorale comunale, ha sostenuto la “non irragionevolezza” del premio di maggioranza e della «conseguente alterazione della rappresentanza», a motivo della sua funzionalità alle esigenze di governabilità, che nel turno di ballottaggio verrebbero «più fortemente in rilievo»).
Tornando alla “proposta-bis” di Italicum, il meccanismo premiale da essa contemplato comporta, quindi, che se, nella situazione data, i migliori piazzati si collocassero ad esempio intorno al 10%, ne risulterebbe, alla fine, che una forza che ha dato prova di godere di un relativamente modesto appeal tra gli elettori, fruirebbe comunque del cospicuo bottino appena detto (del 55% dei seggi). Oltre tutto, una tale situazione ricade, a ben vedere, proprio tra quelle in cui l’attivazione di soglie risulterebbe più necessaria, onde evitare, come rimarcato dalla Consulta (ancora da ultimo, nella sent. n. 1 del 2014, nonché, in precedenza, nelle sentt. n. 15 e n. 16 del 2008 nonché n. 13 del 2012), che il premio risulti «foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa», consentendo «ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi», potendosi, in tal modo «verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume[rebbe] una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto»[30].
Quest’ultima criticità trascende, peraltro, il sistema elettorale in esame, per coinvolgere, più ampiamente, il meccanismo premiale di per se stesso considerato. Se, infatti, resta certamente valida l’idea, patrocinata dallo stesso Giudice costituzionale, della necessità, attraverso la fissazione di soglie, di porre un qualche limite alla possibilità di «trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea», ciò non toglie che sia di “voti validi” che, in questi casi, si ragiona: suffragi che, quindi, potrebbero essere espressi da un numero estremamente ridotto di votanti (ipotesi verosimile in presenza di un’alta percentuale di astensione); i quali, nondimeno, basterebbero a far scattare il meccanismo premiale (così, se, per ipotesi, nelle elezioni politiche italiane votassero solo 1000 persone, pari, all’incirca, allo 0,002% del corpo elettorale, ed il risultato fosse di 410 voti per una certa forza politica, 400 per un’altra e 190 per una terza, il premio scatterebbe comunque ed il vincente otterrebbe il 55% dei seggi…). Se si porta tale logica alle estreme conseguenze, si può dire, finalmente, ancora con la Consulta, che è il «meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza» in quanto tale a «determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.)», trattandosi di un congegno inidoneo per sua stessa natura e ragion d’essere a soddisfare l’esigenza «che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi». Il che, ci pare, risulta tanto più vero laddove all’assenza di soglie di voti validi si sommi la mancanza di quorum dei votanti, che garantisca una certa condivisione – e, con essa, autorevolezza e credibilità – dell’iter che conduce al risultato elettorale, da parte della comunità politica di riferimento.
6. I livelli (molteplici) di assegnazione (e traslazione) dei seggi e la proclamazione degli eletti
Si diceva in precedenti paragrafi che nella “proposta-bis” di Italicum il conteggio si snoda nell’ambito di una molteplicità livelli, tra i quali un ruolo centrale è svolto, come si è in parte anticipato dal 1) livello nazionale, anche se poi l’individuazione, in concreto, dei beneficiari dei seggi avviene ai successivi livelli 2) circoscrizionale e 3) di collegi elettorali.
1) Al fine di completare il percorso applicativo della formula elettorale, è opportuno ora considerare come, a livello nazionale, una volta attribuiti i seggi del premio di maggioranza alla lista vincente al primo turno o a seguito del ballottaggio (v. supra), spetti ancora all’Ufficio centrale operare concretamente il riparto dei seggi fra le circoscrizioni, secondo una dinamica (come si diceva, “ad imbuto”), indubbiamente macchinosa da descrivere ma che, in ultima analisi, è costituita da una serie di proporzioni ed aggiustamenti ai vari livelli di riparto in modo tale da salvaguardare, al possibile, da un lato, il numero di seggi (magnitudo) definita al momento del disegno delle circoscrizioni (v. supra) e, dall’altro, la volontà espressa dagli elettori espressa al momento del voto (v. supra).
In quest’ottica, l’Ufficio centrale è chiamato innanzitutto a stabilire il numero di seggi spettanti alle liste a livello nazionale. A tal fine, esso calcola il quoziente elettorale di maggioranza, dato dalla divisione della cifra elettorale nazionale della lista di maggioranza per il numero di seggi ad essa attribuito. Esso procede, poi, alla ripartizione dei restanti seggi tra le altre liste ammesse al riparto, rifacendosi (ancora) al metodo del quoziente, con riferimento, però ora, da un lato, al numero di seggi pari alla differenza tra 618 e il totale dei seggi assegnati alla lista di maggioranza (tenuto conto, altresì, dei risultati elettorali delle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) e, dall’altro, al quoziente elettorale nazionale di minoranza, ottenuto dividendo il totale delle cifre elettorali delle liste di minoranza per il numero di seggi da attribuire alle liste stesse.
2) Una volta completata l’assegnazione dei seggi alle liste a livello nazionale, l’Ufficio procede alla ripartizione dei seggi nelle varie circoscrizioni, in proporzione al numero di voti che ciascuna lista ha ottenuto in una determinata circoscrizione (qui le circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige fanno sistema a sé…), in modo tale, da rispettare al possibile quanto stabilito al momento del disegno della componente circoscrizionale stessa (v. supra).
A tal fine, in ciascuna circoscrizione l’Ufficio centrale nazionale determina, per ogni lista, un indice proporzionale che rappresenta la quota di seggi di quella circoscrizione spettante alla lista sulla base dei seggi ad essa assegnati in sede nazionale. Un tale indice viene determinato dividendo la cifra elettorale circoscrizionale della lista per il quoziente elettorale nazionale della lista medesima, a sua volta ottenuto, dalla parte intera della divisione della cifra elettorale nazionale della lista per il numero di seggi ad essa assegnato in sede nazionale. A ciascuna lista viene, quindi, assegnato (nella circoscrizione) un numero di seggi corrispondente alla parte intera di quanto ottenuto dalla divisione del numero dei seggi assegnati alla circoscrizione per l’indice circoscrizionale, dato dalla somma degli indici determinati per ciascuna lista, moltiplicato, un tale risultato, per l’indice individuale di ciascuna lista[31].
Il passo successivo è di accertare se la somma dei seggi assegnati alle liste in tutte le circoscrizioni corrispondono o se, invece, la lista abbia ottenuto più seggi (lista eccedentaria) o meno seggi (lista deficitaria) di quelli alla medesima attribuiti a livello nazionale. In questa seconda evenienza la soluzione adottata riprende, fatte tutte le differenze del caso, il metodo “della più alta media” con cui si mira ad individuare il risultato “ottimale”: quello, cioè, che consente di attribuire i seggi in palio distorcendo “al minimo” i rapporti di forza tra liste, pur, va detto, con tutte le approssimazioni del caso, in ragione della “forza dei numeri”, la quale però, va detto, essendo cieca è anche imparziale, potendo giocare indifferentemente a favore o contro questa o quella forza politica.
Su questa base (secondo una dinamica destinata a replicarsi, pur con alcune non trascurabili, differenze, come si vedrà, a livello di collegio) l’Ufficio centrale procede, dunque. alla “correzione” delle assegnazioni effettuate. A tal fine, si inizia dalla lista con il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità, da quella con la maggior cifra elettorale nazionale, e si procede alla sottrazione dei seggi eccedenti nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali dei quozienti di attribuzione, assegnandoli, nella medesima circoscrizione, alle liste deficitarie per le quali le parti decimali dei quozienti di attribuzione non hanno dato luogo all’assegnazione di un seggio. Qualora, poi, nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata o, in caso di parità, a quella con la maggiore cifra elettorale nazionale.
A questo punto, secondo la riformulazione proposta al Senato, prima di applicare meccanismi comportanti lo slittamento del numero di seggi attribuiti (nelle precedenti fasi della procedura) alle liste ed alle circoscrizioni, si deve tentare al possibile di effettuare la compensazione nell’ambito delle medesime liste e circoscrizioni. In quest’ottica, dunque si prevede che nel caso in cui non sia possibile attribuire il seggio sottratto alla lista eccedentaria nella medesima circoscrizione, in quanto non vi siano liste deficitarie con le parti decimali dei quozienti inutilizzate, l’Ufficio centrale debba proseguire, per la stessa lista eccedentaria, nell’ordine dei decimali crescenti, fino ad individuare un’altra circoscrizione in cui sia possibile sottrarre il seggio alla lista eccedentaria e assegnarlo alla lista deficitaria nella medesima circoscrizione. E’ a questo punto che, nell’ipotesi in cui non si sia ancora riusciti ad effettuare la compensazione, si applica la “norma di chiusura”, che prevede che i seggi vengano sottratti alla lista eccedentaria nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali dei quozienti e che vengano assegnati alla lista deficitaria nelle altre circoscrizioni in cui abbia le maggiori parti decimali dei quozienti inutilizzate.
3) Completata la procedura pure a livello circoscrizionale, il metodo applicato per il riparto dei seggi nei collegi plurinominali, la cui applicazione è affidata (non più all’Ufficio centrale ma) ai vari Uffici centrali circoscrizionali, mutua sostanzialmente quello sopra descritto per la ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni, che si può omettere, dunque, di ripetere, ad eccezione, secondo la riformulazione proposta dal Senato, del sistema di compensazione fra liste eccedentarie e liste deficitarie nella ripartizione dei seggi spettanti alle liste di minoranza, che, pertanto, merita, invece, una qualche attenzione. Si tratta, dunque, prima di tutto (v. l’art. 2, c. 1, n. 4) di accertare se il numero di seggi assegnati nei vari collegi a ciascuna delle liste di minoranza corrisponda o se, invece, le liste abbiano ottenuto più seggi (liste eccedentarie) o meno seggi (liste deficitarie) di quelli alle medesime attribuiti a livello circoscrizionale. In questo secondo caso, l’Ufficio determina la lista che ha il maggior numero di seggi eccedentari e, a parità di questi, la lista che tra queste ha ottenuto il seggio eccedentario con la minore parte decimale del quoziente; sottrae, quindi, il seggio a tale lista nel collegio in cui è stato ottenuto con la minore parte decimale dei quozienti di attribuzione e lo assegna alla lista deficitaria che ha il maggior numero di seggi deficitari e, a parità di questi, alla lista che tra queste ha la maggiore parte decimale del quoziente che non ha dato luogo alla assegnazione di seggio: il seggio è assegnato alla lista deficitaria nel collegio plurinominale in cui essa ha la maggiore parte decimale del quoziente di attribuzione non utilizzata. Tali operazioni sono ripetute, quindi, in successione, sino alla assegnazione di tutti i seggi eccedentari alle liste deficitarie.
E’ noto, peraltro, che i meccanismi di compensazione di cui s’è detto, come spesso accade quando si tratta di contemperare interessi vari e confliggenti, siano stati e siano tutt’ora oggetto di discussione. Al meccanismo previsto nella prima versione di Italicum va riconosciuto l’intento di aver mirato a salvaguardare al possibile il riparto dei seggi operato al momento del disegno dei collegi e delle circoscrizioni; nondimeno, un tale obiettivo veniva ricercato con l’applicazione di un meccanismo di sottrazione dei seggi alle liste eccedentarie (in genere le più forti) a beneficio di quelle deficitarie (le più deboli) che rendeva possibile ed anzi probabile, specie per le liste più deboli “pescare” i seggi mancanti dove le liste eccedentarie esibivano la parte decimale più piccola, e non dove le liste deficitarie medesime presentavano la parte decimale maggiore, con una certa indifferenza, dunque, dei risultati di voto ottenuti nei diversi territori (cd. “flipper”), con tutte le incongruenze del caso. Al Senato il meccanismo è stato modificato, con l’introduzione della cd. norma antiflipper”, con cui, come si è visto, si è teso a favorire, all’interno della stessa circoscrizione regionale, la cessione del seggio da parte delle liste eccedentarie nei collegi dove hanno la parte decimale minore, ed il loro acquisto, d’altra parte, da parte di quelle deficitarie nei collegi in cui presentano la parte decimale maggiore. In questo modo si è ricondotta la normativa ad una maggiore coerenza, scontandosi però la possibilità che, fermo restando il numero dei seggi attribuiti a livello di circoscrizione, il numero di seggi complessivamente assegnati in un collegio risulti variabile.
Ma del resto, è nella fisiologia dei sistemi elettorali (si direbbe anche qui “nella forza dei numeri”) che, nel momento in cui si scelga di operare il conteggio ad un più alto livello – sia esso a livello circoscrizionale o, a maggior ragione, nazionale – si possa e debba accettarne le implicazioni ai livelli più bassi, anche se queste comportino un rimescolamento della carte in tavola.
Ad ogni modo, concluse le operazioni di attribuzione dei seggi nei collegi, le assegnazioni alle liste sono definitive e l’Ufficio centrale circoscrizionale procede alla proclamazione degli eletti. E’ a questo punto che rilevano (anche) le preferenze espresse dagli elettori, dato che (secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lettera g) della proposta-bis di Italicum), ciascun collegio l’Ufficio centrale circoscrizionale proclama eletti “fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione, dapprima i candidati capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze”[32].
[1] Un’ampia rassegna di dottrina sulla sent. n. 1 del 13 gennaio 2014 è reperibile, in particolare, a partire da Consulta OnLine alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0001s-14.html.
[2] Trattasi, per la precisione, della proposta di legge C. 3-35-182-358-551-632-718-746-747-749-876-894-932-998-1025-1026-1116-1143-1401-1452-1453-1511-1514-1657-1704-1794-1914-1946-1947-1977-2038-bis-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato, recante disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati.
[3] Si è trattato, peraltro, di un intervento caldamente auspicato da parte della dottrina, considerate le gravi incongruenze che, altrimenti, sarebbero potute derivare col rischio addirittura di compromettere il funzionamento dell’organo parlamentare (cfr. per tutti, al riguardo, M. Ainis, Legge elettorale, Ainis: “Italicum solo alla Camera? Incostituzionale e folle”, in IlFattoQuotidiano.it del 4 marzo 2014 e M. Luciani, L’Italicum funziona solo se si riforma il Senato, in Repubblica.it del 5 marzo 2014.11
[4] Al punto da portare negli anni passati l’allora Presidente del Senato, Renato Schifani ad auspicarne la riforma (v. Voto all’estero, Schifani: “Una legge da rifare”, in IlGiornale.it, del 28 giugno 2010).
[5] Per il calcolo nel numero di seggi delle varie circoscrizioni, secondo quanto prevede l’art. 56 della Costituzione e, conformemente ad essa, la proposta di legge, si è diviso per 618 il numero degli abitanti risultante dal censimento generale della popolazione italiana (del 2011) e si son quindi distribuiti i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (fatti salvi i 12 seggi da attribuire nella circoscrizione Estero).
[6] Per la precisione, tre per la Lombardia e due per Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia.
[7] In numero massimo, nel senso che se ne sarebbero potuti prevedere anche di meno.
[8] La determinazione dei collegi avverrà con decreto legislativo del Governo, da emanare secondo i princìpi e i criteri direttivi stabiliti dalla legge ed entro il termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (art. 1, c. 1, lett. h)). I princìpi e criteri direttivi della delega sono enunciati all’art. 4, c.1, lett. da a) fino a g), del testo in esame.
[9] Per un’analisi del quale si veda, volendo, L. Trucco, Democrazie elettorali e stato costituzionale, Torino, 2011, 71, passim; nonché, da ultimo, in Contributo allo studio del diritto elettorale. Fondamenti teorici e profili normativi, Torino, 2013, passim.
[10] Non sorprende, dunque, che proprio la “lunghezza delle liste” sia stata ritenuta «il più rilevante (e forse, anche, il più significativo) elemento di discontinuità che la legge n. 270 del 2005 ha determinato, non solo nei confronti della normativa elettorale preesistente per l’elezione del Parlamento, ma anche rispetto all’intera legislazione elettorale che si è susseguita nel nostro paese, a tutti i livelli territoriali, dal 1993 ad oggi» (così G. Zampagni, Una questione di metodo e di tempi. Quando e come si può approvare una riforma elettorale?, in I sistemi elettorali in Italia, in Sistemi elettorali e democrazie, a cura di M. Oliviero e M. Volpi, Torino, 2007, 277).
[11] Peraltro, a fini di più generale chiarezza, stabilito che al secondo turno vanno le due liste più votate (v. infra), sarebbe auspicabile che si procedesse all’inserimento in allegato alla normativa elettorale anche del fac simile delle schede elettorali per il ballottaggio (da svolgersi, com’è noto, se del caso, “nella seconda domenica successiva a quella di convocazione dei comizi). La normativa stabilisce che in caso di ballottaggio, debba essere predisposta un’unica scheda a livello nazionale recante, in due distinti rettangoli, i contrassegni delle due liste ammesse al ballottaggio medesimo. L’ordine delle liste è stabilito con sorteggio effettuato dall’Ufficio centrale nazionale (v. l’art. 2, c. 17).
[12] Sul meccanismo per come previsto nel sistema elettorale precedente, cfr. G. Guzzetta, Un referendum elettorale per completare la transizione italiana in Rassegna parlamentare, 2006, 961 e ss.
[13] L’articolo 85 del Testo unico el. prevede che il deputato eletto in più collegi plurinominali, entro otto giorni dalla data dell’ultima proclamazione, dichiari alla Presidenza della Camera il collegio prescelto e che in mancanza di opzione si procede mediante sorteggio.
[14] “Espulsione” che, peraltro, è stata considerata da una parte della dottrina l’«unica novità rilevante (estremamente positiva)» dell’Italicum (così. S. Ceccanti in http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2014/01/Guida-alla-lettura.pdf).
[15] Continua poi a valere per tutti i candidati indistintamente il divieto (come già oggi) di accettare la candidatura contestuale alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica e di essere inclusi in liste con diversi contrassegni nello stesso o in altro collegio.
[16] In argomento la bibliografia è piuttosto vasta: v. per tutti Carlassare L., La legittimità della “preferenza di genere”: una nuova sconfitta della linea del Governo contro la parità, in Giur. cost, 2010, 81 e ss.,
[17] Cfr., al proposito, partic. C. Siccardi, Italicum: lo scontro sulla parità di genere, in http://www.voxdiritti.it/?p=2624.
[18] Considerandosi come se si fosse conservata la bad practice di posizionare nelle prime posizioni candidati uomini, la presenza, ora, come si è visto, di una molteplicità di collegi porterebbe all’elezione, per lo più (solo) dei primi due candidati maschi della lista.
[19] Sul tema della giustizia elettorale (con particolare riguardo alle problematiche relative all’accesso alla Corte costituzionale) prima della sent. n. 1 del 2014, si fa rinvio ai contributi contenuti nel volume curato da E. Catelani, F. Donati , M.C. Grisolia, La giustizia elettorale, Napoli, 2013.
[20] Negativo, al riguardo, è ad es. Ainis, secondo cui «il verde del semaforo», la Consulta l’avrebbe accesso «quando i bloccati siano pochi, rendendosi così riconoscibili davanti agli elettori». Quanto pochi? «Secondo la scuola pitagorica il numero perfetto è 3; qui invece sono quasi il doppio» e, pertanto, «Un po’ troppi per fissarne a mente i connotati» (così M. Ainis, Italicum: bene, con due dubbi, in ilCorriere.it del 21 gennaio 2014). Cfr., per conclusioni analoghe, G. Azzariti, Troppa continuità col Porcellum, la costituzionalità è a rischio, in MicroMega-online del 12 marzo 2014.
[21] Cfr., amplius, in argomento, P. COSTANZO, Riformare i riformatori? in E. Cuccodoro (cur.), Riforma di governo – riforma delle istituzioni, Firenze, Nòccioli, 1983, 25 e ss.
[22] Per diverso profilo, potrebbe pensarsi che l’accostamento del voto blindato al voto preferenziale scontenterebbe sia chi delle liste blindate valuta positivamente l’idoneità a limitare in modo drastico la personalizzazione del conflitto elettorale, dato che questo verrebbe riacceso dal voto preferenziale), sia chi invece consideri la preordinazione degli eletti all’origine dell’aumento del livello di litigiosità dal momento che accenderebbe lo scontro tra gli appartenenti alla medesima parte politica, tra i quali, in fondo, finirebbe per consumarsi la competizione (al fine di essere “meglio collocati” in lista) per l’accesso alla rappresentanza elettiva; sia, ancora di chi del voto preferenziale, a tacer d’altro, mette in luce la propensione a migliorare il risultato elettorale complessivo garantendo altresì, nel complesso, una maggiore coesione dei candidati intorno al programma del partito.
[23] Cfr, in senso fortemente critico sul punto, ad es. R. Bin, G. Pitruzzella, «Ma quanti sbarramenti!», in Diritto costituzionale, XIV ed., 167.
[24] Il quoziente di ripartizione si ottiene dividendo il totale delle cifre elettorali delle liste ammesse per il numero di seggi da attribuire: la parte intera del risultato di tale divisione costituisce il quoziente elettorale nazionale. A ciascuna lista sono assegnati tanti seggi quante volte il quoziente così individuato è contenuto nella rispettiva cifra elettorale nazionale. I seggi eventualmente non attribuiti con i quozienti interi sono assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti. In caso di parità di resti, i seggi sono assegnati alle liste con la maggior cifra elettorale nazionale e, in caso di ulteriore parità, a sorteggio. Nelle operazioni di ripartizione dei seggi non sono calcolati i seggi spettanti alle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, attribuiti con diverso sistema ai sensi delle disposizioni speciali del Titolo VI TU (cui si rinvia). Pertanto, ai fini delle operazioni descritte, nelle cifre elettorali nazionali delle liste non sono considerati i voti ottenuti dalle liste in queste due circoscrizioni.
[25] Al riguardo, ancora L. Trucco, Democrazie elettorali e stato costituzionale, cit., 446 e ss.
[26] Così G. Sartori, Legge elettorale, Sartori: «L’Italicum di Renzi è un pasticcio su un pasticcio, la minoranza diventa maggioranza», in IlMessaggero.it del 21 gennaio 2014.
[27] Per una posizione decisamente negativa sull’Italicum a motivo, tra l’altro, della mancanza di «equilibrio tra rappresentanza e governabilità», col ritenere l’Italicum «tutto sbilanciato su quest’ultima», cfr. G. Azzariti, Troppa continuità col Porcellum, la costituzionalità è a rischio, cit.
[28] Il mancato conseguimento, alle elezioni politiche del 1953, di tale “soglia” da parte della coalizione politico-governativa di centro (basata sull’apparentamento tra la DC ed i tre partiti laici minori, alleati di governo: PRI, PSDI, PLI), formatasi nell’occasione al 49,2%, avrebbe decretato la fine di tale normativa, con la sua abrogazione e sostituzione ad opera della legge 31 luglio 1954, n. 615 di “ripristino” delle norme del testo unico del 1948 di stampo più schiettamente proporzionalistico.
[29] Su cui, volendosi, L. Trucco, Materia elettorale: la Corte costituzionale tiene ancora la regia, anche se cambia la trama del film (riflessioni a margine della sent. n. 275 del 2014), in Rass. Parl., 2015, 171 e ss.
[30] Cfr., per un’approfondita analisi sul punto (anche con riguardo all’Italicum) G. Lodato, S. Pajno, G. Scaccia, Quanto può essere distorsivo il premio di maggioranza? Considerazioni costituzionalistico-matematiche a partire dalla sentenza 1/2014, in federalismi.it, del 22 aprile 2014.
[31] I seggi che eventualmente residuano da assegnare sono attribuiti in ciascuna circoscrizione alle liste secondo l’ordine decrescente delle rispettive parti decimali dei medesimi quozienti in base ai quali è stata effettuata l’assegnazione di seggio per la parte intera.
Al fine del calcolo degli indici di cui sopra, il quoziente elettorale nazionale è unico per tutte le liste nel caso in cui non si sia dato luogo all’attribuzione del premio di maggioranza. Nel caso in cui, invece, sia stato assegnato il premio di maggioranza, gli indici proporzionali di cui sopra sono calcolati utilizzando il quoziente elettorale nazionale di maggioranza per la lista maggioritaria e il quoziente elettorale nazionale di minoranza per le altre liste.
[32] Qualora in un collegio non sia possibile assegnare un seggio ad una lista perché la lista stessa ha esaurito il numero di candidati, l’Ufficio centrale circoscrizionale assegna il seggio alla lista in un altro collegio della medesima circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del quoziente inutilizzata, a partire dal capolista e, successivamente, in base graduatoria delle preferenze ottenute dagli altri candidati. Nel caso in cui residuino ancora seggi da assegnare alla lista, l’Ufficio lo assegna in un altro collegio della medesima circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del capolista e poi i candidati in ordine di preferenze ottenute. Se, poi, anche dopo tali operazioni residuino ancora seggi da assegnare alla lista, l’Ufficio centrale circoscrizionale ne dà comunicazione all’Ufficio centrale nazionale, il quale individua la circoscrizione in cui la lista stessa abbia la maggior parte decimale del quoziente inutilizzata e ne dà comunicazione a sua volta all’Ufficio centrale circoscrizionale competente. Quest’ultimo provvede all’assegnazione del seggio, sempre nell’ordine descritto. In tutte le operazioni in caso di parità della parte decimale, si procede mediante sorteggio.