CAMERA DEI DEPUTATI
1a COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
mercoledì 15 aprile 2015
AUDIZIONE INFORMALE IN TEMA DI RIFORMA ELETTORALE
proposta di legge, approvata, in un testo unificato, dalla Camera dei deputati, previo stralcio, il 12 marzo 2014 (v. stampato Senato n. 1385), modificata dal Senato della Repubblica il 27 gennaio 2015
Audizione del Prof. Lorenzo Spadacini, ricercatore di diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia
Ringrazio il Presidente Francesco Paolo Sisto dell’onore che mi ha riservato invitandomi a dare il mio contributo in questa audizione, nella speranza di poter essere utile ai lavori della Commissione in questo difficile ma cruciale tentativo di addivenire alla realizzazione di una buona riforma elettorale per il Paese. In sostanza, mi è stata chiesta una valutazione circa il progetto di legge all’esame della Commissione, nel testo risultante dalle modifiche da ultimo introdotte dal Senato della Repubblica. Tuttavia, il poco tempo disponibile mi suggerisce di selezionare solo alcune questioni in riferimento alle quali il mio contributo può forse essere più significativo in relazione in particolare ai miei studi – che ovviamente non coprono l’intero novero dei temi sul tappeto – o perché magari in grado di fornirvi argomenti diversi rispetto a quelli che mi pare esservi già stati sottoposti anche più autorevolmente di me dagli esperti che mi hanno preceduto con i loro contributi nelle audizioni tenute in occasione di questa e delle precedenti letture parlamentari della proposta in esame.
Pertanto non mi occuperò di questioni che sono già state trattate nelle mie precedenti audizioni in questa Camera o presso il Senato della Repubblica o in quelle di altri esperti. In particolare ometterò di occuparmi della (il)legittimità costituzionale del premio di maggioranza così come congegnato, dell’introduzione del doppio turno nazionale (che realizza una sostanziale elusione della necessità di una soglia per attribuire il premio), della (in)compatibilità dell’impianto della legge con la forma di governo parlamentare costituzionalmente prevista, della (eccessiva) distorsività nella rappresentanza che il disegno di legge produrrebbe.
A questi riguardi mi permetto soltanto di notare che la scelta di queste Camere per un sistema proporzionale con premio di maggioranza (da assegnare subito al primo turno se si supera
una soglia o – in tutti gli altri casi – al secondo turno: di talché un premio è sempre assegnato a prescindere da ogni soglia) è quella più rischiosa sul piano costituzionale. Infatti, nessuna seria obiezione di costituzionalità sarebbe potuta emergere se si fosse scelto uno qualsiasi dei sistemi elettorali adottati nelle democrazie classiche: dal collegio uninominale a turno unico della Gran Bretagna a quello a doppio turno della Francia, dal sistema proporzionale col quoziente a quelli col divisore delle democrazie del Centro e del Nord Europa, dal sistema proporzionale con sbarramento della Germania a quello proporzionale a base provinciale della Spagna, dal sistema del voto alternativo in collegi uninominali australiano a quello del voto singolo trasferibile in collegi plurinominali adottato in Irlanda. Con riguardo a tutti questi sistemi, non sarebbe sorto alcun profilo di legittimità costituzionale. Viceversa, il progetto di legge all’esame combina il sistema proporzionale con un premio di maggioranza, la c.d. proporzionale zoppa, realizzando un modello che è stato appropriatamente denominato “Italicum” in quanto espressione di una antica tradizione precipuamente “italica”, che non è mai stato esportato nelle altre liberaldemocrazie occidentali: esso è stato adottato originariamente nella legge elettorale Acerbo (anche se, sulla base di quella legge, nel caso nessuna lista avesse superato il 25%, il premio non sarebbe scattato: dunque, dal Partito nazionale fascista una soglia – seppur certamente troppo bassa – era stata “concessa”), poi nella Legge truffa del 1957 (ma con l’unica – a mio modo di vedere – soglia adeguata: più del 50% dei voti), indi nelle leggi per i consigli delle amministrazioni locali dopo il 1993 (comuni e, finché sono rimaste elettive, province), poi nella legge statale per le elezioni dei consigli regionali e nelle leggi regionali di modifica, le quali hanno sempre confermato il modello originario, ed infine nella legge Calderoli, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta con la sentenza n. 1 del 2014. Questi sistemi “italici” si contraddistinguono per una distorsività programmata dalla legge che non ha pari in nessun altro modello elettorale. Negli altri modelli, infatti, laddove distorsione si produca, essa è sempre frutto di elementi di fatto dovuti alla dimensione dei collegi o al massimo a soglie di accesso alla rappresentanza, per le quali è reperita quantomeno una ratio specifica. Eccettuate queste ultime, le distorsioni non sono dunque mai programmate dalla legge, non sono mai frutto di un artificio giuridico, come nei casi in cui si associno formule proporzionale e premio di maggioranza. Proprio a causa dell’elevatissimo grado di distorsività e artificiosità nella costruzione della rappresentanza, il modello proporzionale più premio è suscettibile di un gran numero di critiche sul terreno della costituzionalità delle disposizioni che lo realizzano. Scegliendolo, specie nella sua versione attuale, il Parlamento si assume la responsabilità di adottare il modello più suscettibile di essere oggetto di impugnazione di fronte alla Corte costituzionale, rischiando che le prossime Camere (o la prossima Camera) si ritrovino nella stessa situazione di precaria legittimazione costituzionale nella quale si trovano le attuali.
Dato però che queste valutazioni sono state già svolte, scelgo di occuparmi di tre questioni “settoriali”, forse ancora non sufficientemente “arate” durante i lavori parlamentari, capaci però di fornire nuovi argomenti anche rispetto alle tematiche più generali, alle quali si è prestata finora maggiore attenzione. Le tre questioni che scelgo di affrontare sono:
1. la disciplina adottata per le regioni con minoranze linguistiche e il suo impatto con il resto dell’impianto normativo;
2. la ripartizione dei seggi tra i collegi nei quali sono suddivise le circoscrizioni elettorali;
3. gli effetti del differimento dell’applicabilità della riforma.
Così fissate le tre tematiche di cui mi occupo, svolgerò una relazione secondo lo schema che risulta dal sommario che segue.
SOMMARIO
1. La disciplina adottata per le regioni con minoranze linguistiche e il suo impatto con il resto dell’impianto normativo.
1.1. L’illegittimità costituzionale della disciplina speciale per Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Trentino Alto Adige/Südtirol.
1.2. La presentazione delle candidature.
1.2.1. Violazione dei diritti delle minoranze (art. 6 Cost.).
1.2.2. Difficoltà nella presentazione delle candidature e dei collegamenti.
1.2.3. Irrazionalità nell’ imputazione dei candidate eletti nell’ uninominale alla quota dei 340 seggi di maggioranza.
1.2.4. Irrazionalità negli effetti del voto degli elettori nel Trentino Alto Adige/Südtirol: possibilità per il medesimo elettore di eleggere candidati sia della lista di maggioranza che della lista di minoranza.
1.3. La distribuzione nazionale dei seggi: il rischio di proclamare fino a 640 deputati.
1.4. La disciplina speciale e l’assegnazione del premio in particolare a seguito di ballottaggio.
1.4.1. L’incostituzionale esclusione degli Italiani all’estero dalla scelta della lista cui attribuire il premio di maggioranza.
1.4.2. Disuguaglianza degli elettori nelle circoscrizioni “nazionali” rispetto a quelli nella Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.
1.4.3. Il caso della Valle d’ Aosta/Vallée d’Aoste come dimostrazione che la legge viola la forma di governo parlamentare e l’uguaglianza del diritto di voto dei cittadini.
1.4.4. Gli ulteriori difetti in Trentino Alto Adige/Südtirol: l’influenza degli altri elettori italiani nella distribuzione dei seggi di quella circoscrizione (violazione dell’art. 6, 3 e 48 2° c. Cost.).
1.4.5. Possibile soluzione.
2. La distribuzione dei seggi tra i collegi.
2.1. Possibile violazione degli artt. 56 c. 4, 48 c. 2, 3 c. 1 Cost.
2.2. V iolazione del principio costituzionale dell’ effettiva «conoscibilità […dei candidati] e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto» (Corte cost. n. 1/2014).
3. Il differimento dell’applicazione della legge: problematiche interpretative e sottoponibilità a referendum abrogativo totale della nuova disciplina.
1. LA DISCIPLINA ADOTTATA PER LE REGIONI CON MINORANZE LINGUISTICHE E IL SUO IMPATTO CON IL RESTO DELL’IMPIANTO NORMATIVO.
Rispetto alla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (nel prosieguo: VDA) e al Trentino Alto Adige/Südtirol (nel prosieguo: TAA/S) il legislatore ha adottato disposizioni speciali (collegio uninominale a turno unico per la VDA e otto collegi uninominali più alcuni seggi c.d. di recupero proporzionale per il TAA/S). Ciò produce alcune specifiche problematiche da valutare sotto il profilo della legittimità costituzionale.
1.1. L’illegittimità costituzionale della disciplina speciale per Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Trentino Alto Adige/Südtirol.
Naturalmente, l’adozione di una disciplina specifica per queste due Regioni, che deroga al principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione, per essere costituzionalmente ammissibile deve trovare fondamento costituzionale. Tale fondamento è evidentemente reperito nel principio di tutela delle minoranze linguistiche di cui all’art. 6 Cost. Così, si tratta di bilanciare due principi apparentemente in contrasto: il principio di uguaglianza di tutti i cittadini e il principio di tutela delle minoranze. Ora, quando si tratti di effettuare un bilanciamento tra diversi principi costituzionali, il legislatore è tenuto a ricorrere – per utilizzare un’espressione anglosassone – al least restrictive means, cioè «allo strumento che permette di ottenere l’obiettivo prefissato con il minor sacrificio possibile di altri diritti o interessi costituzionalmente protetti» (M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale della Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, in www.cortecostituzionale.it).
Spesso il giudizio circa l’individuazione del mezzo più idoneo per garantire un principio costituzionale che nel contempo presenti il carattere meno pregiudizievole rispetto a un altro principio in contrasto ad esso è un giudizio complicato e comunque soggetto a valutazioni opinabili. Non è tuttavia questo il caso. In effetti, a prescindere dalle questioni legate al premio, esiste un’unica disposizione nella disciplina elettorale adottata a livello generale che comprime il principio di tutela delle minoranze linguistiche: si tratta dello sbarramento del 3% per essere ammessi alla distribuzione dei seggi. Il mezzo meno contrastante con il principio di uguaglianza per realizzare la piena tutela delle minoranze linguistiche è dunque rappresentato da una deroga per le rispettive liste (o candidature singole) rispetto alla soglia di sbarramento del 3%. È la soluzione cui era più opportunamente informata la stessa legge Calderoli. Esentando tali liste o candidature singole dall’onere di superare la soglia, esse riceverebbero tanti seggi quante volte, a livello di riparto nazionale, il quoziente elettorale nazionale utilizzabile per tutti fosse contenuto nella loro cifra elettorale di circoscrizione o collegio. La deroga alle regole generali valide per la trasformazione dei voti di tutti gli altri cittadini sarebbe così minima e la tutela della minoranza sarebbe massima.
C’è di più. Da un lato, in realtà, la disciplina “totalmente speciale” introdotta rischia di essere molto meno capace di tutelare le minoranze di quanto lo sia il meccanismo assai meno intrusivo che si sarebbe dovuto prevedere 1. Dall’altro lato, contemporaneamente, tale disciplina “totalmente speciale” impedisce agli elettori dei candidati non risultati vincenti nei collegi uninominali di contribuire, se non per il superamento delle diverse soglie previste, alle cifre elettorali nazionali delle liste che hanno votato, così essendo trattati irragionevolmente in modo diverso dagli altri elettori 2.
Ne consegue, dunque, che la disciplina speciale introdotta per VDA e TAA/S non rappresenta un adeguato bilanciamento tra principio di uguaglianza e tutela delle minoranze linguistiche. La deroga, dunque, è in contraddizione con l’art. 3 Cost., l’art. 48 comma 2 Cost., con riguardo all’uguaglianza del voto, e con lo stesso art. 6 Cost., in quanto potenzialmente lesiva degli stessi diritti delle minoranze.
1.2. La presentazione delle candidature.
La disciplina speciale introdotta con riferimento a VDA e TAA/S, neutralizzando i voti espressi nelle relative circoscrizioni con riguardo alla distribuzione dei seggi nelle altre ma utilizzandoli con riguardo al superamento delle soglie di sbarramento o relative all’attribuzione del premio di maggioranza, ha dovuto prevedere alcune disposizioni che coordinino la presentazione delle candidature in quelle circoscrizioni con le liste presentate a livello nazionale. Lo scopo di tali disposizioni dovrebbe essere individuato in quello di evitare che i movimenti politici che presentano candidature a livello nazionale eludano la disposizione che vuole che i seggi che vincessero in quelle circoscrizioni siano imputati al premio di maggioranza (così che, di fatto, il premio non faccia loro superare la quota massima di 340 seggi).
Con riguardo alla VDA in particolare, si prevede che le liste “nazionali” «presentano candidati, ad esse collegati, nel collegio uninominale» (nuovo art. 92, comma 2 bis). La disposizione, ambiguamente formulata, dovrebbe implicare che le liste “nazionali” siano obbligate a presentare candidature in VDA. Infatti non avrebbe alcun senso una diversa interpretazione della disposizione. Se significasse soltanto che esse sono autorizzate a presentare candidature in VDA nel caso lo ritengano, sarebbe una disposizione totalmente superflua. Se, per assurdo, significasse che esse presentano candidature senza l’onere della raccolta delle firme, sarebbe una disposizione che produce una conseguenza assurda 3 ed anche, probabilmente, una violazione dei diritti delle minoranze linguistiche 4. Diversamente interpretata, inoltre, la disposizione sarebbe inidonea rispetto al suo scopo antielusivo, che vuole che a ogni candidato in VDA corrisponda una lista (o più liste) a livello nazionale e che dunque esclude che si possano presentare in VDA candidature sprovviste di collegamento con una lista nazionale. Interpretata nell’unico modo plausibile, però, questa disposizione determina una serie di gravi problemi.
1.2.1. Violazione dei diritti delle minoranze (art. 6 Cost.)..
In primo luogo, la disposizione impedisce che in VDA siano presentate candidature senza collegamento con le liste nazionali. Si tratta di una rilevante violazione dell’art. 6 Cost., perché impone alla minoranza linguistica di trovare uno “sponsor” nazionale che le consenta di presentare il proprio candidato.
1.2.2. Difficoltà nella presentazione delle candidature e dei collegamenti.
In secondo luogo, non è specificato dalla legge cosa succeda nel caso una lista presentata nelle circoscrizioni “nazionali” non avanzi una candidatura valida in VDA (magari per insufficienza di firme a sostegno). Ne consegue la nullità della presentazione delle liste? Sembrerebbe una conseguenza troppo grave. Tuttavia, se così non fosse, l’obbligo di presentare candidature in VDA sarebbe troppo facilmente eluso. In sostanza, l’ambiguità della disposizione potrebbe produrre notevoli difficoltà in fase di presentazione delle liste e delle candidature. Si tratta di una disposizione, dunque, che andrebbe quantomeno rimeditata.
1.2.3. Irrazionalità nell’imputazione dei candidati eletti nell’uninominale alla quota dei 340 seggi di maggioranza.
In terzo luogo, i candidati nel collegio della VDA possono essere collegati a una pluralità di liste presentate in sede nazionale. Ne discende, così, che il candidato vincente in VDA potrebbe essere collegato contestualmente con la lista vincente a livello nazionale e che, dunque, ottiene il premio di maggioranza e contestualmente con una lista di minoranza. In questo caso, il seggio della VDA è sempre computato nei 340 seggi di maggioranza, anche nell’ipotesi che in VDA gli elettori di quel candidato abbiano espresso la maggior parte dei voti a favore di una diversa lista, con soluzione di assai dubbia ragionevolezza. Lo stesso dicasi per i candidati vincenti negli otto collegi del TAA/S, che vengono sempre imputati nei 340 seggi del premio di maggioranza ancorché, in ipotesi, i loro elettori abbiano maggioritariamente votato per una diversa lista.
1.2.4. Irrazionalità negli effetti del voto degli elettori nel Trentino Alto Adige/Südtirol: possibilità per il medesimo elettore di eleggere candidati sia della lista di maggioranza che della lista di minoranza.
In quarto luogo, nella circoscrizione TAA/S, un elettore con il medesimo voto può contribuire a eleggere sia un deputato di maggioranza (il candidato nel collegio collegato alla lista che a livello nazionale è risultata vincente), sia un deputato di minoranza, giacché, tra i simboli collegati al candidato del collegio vi potrebbe essere anche quello di una lista diversa da quella vincente, che concorre per l’assegnazione di uno dei seggi (al momento dell’unico seggio) destinato al recupero proporzionale tra le liste diverse da quella vincente a livello nazionale. Si verifica, dunque, l’irragionevole possibilità, sconosciuta ad ogni altro sistema elettorale, che un elettore sia in grado di eleggere deputati contenuti all’interno di liste diverse.
1.3. La distribuzione nazionale dei seggi: il rischio di proclamare fino a 640 deputati.
La criticata scelta con riferimento alle due circoscrizioni della VDA e del TAA/S si riverbera inoltre sulla distribuzione nazionale dei seggi con un effetto paradossale, che determina la probabile elezione di un numero di deputati compresi tra 631 e 640, con evidente violazione dell’art. 56 c. 2 della Costituzione.
Quando nessuna lista sia stata in grado di ottenere 340 seggi secondo il riparto proporzionale dei seggi (ai sensi del n. 4) del c. 1 del novellato art. 83), e dunque in ogni ipotesi di attribuzione del premio di maggioranza, tanto al primo quanto al secondo turno, una volta assegnati i 340 seggi alla lista vincente, si tratta di distribuire i seggi tra le altre liste di minoranza. A questo scopo soccorre il c. 3 dell’art. 83, il quale stabilisce che «L’Ufficio procede […] a ripartire proporzionalmente i restanti seggi, in numero pari alla differenza tra 618 e il totale dei seggi assegnati alla lista con la maggiore cifra elettorale nazionale ai sensi del comma 2, tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3). A questo fine divide il totale delle loro cifre elettorali nazionali per tale numero» e procede come di consueto alla distribuzione dei seggi con metodo del quoziente e dei più alti resti. Ora, «il totale dei seggi assegnati alla lista con la maggiore cifra elettorale nazionale ai sensi del comma 2» è sempre equivalente a 340 seggi. Il rinvio al comma 2, integrato da altre disposizioni contenute nella legge, inoltre, vale a specificare che nel novero dei 340 seggi di premio vanno inclusi i seggi vinti nei collegi uninominali da candidati collegati con la lista vincente 5. Ne consegue che l’Ufficio elettorale dovrà sottrarre a 618 il numero dei seggi in premio, ossia 340, ottenendo 278 seggi da distribuire tra le liste di minoranza ammesse 6. Se tuttavia la lista di maggioranza, non avesse vinto alcuno dei collegi uninominali (gli otto del TAA/S e quello della VDA), sarebbero già stati assegnati alle minoranze ben nove seggi, cui aggiungere un decimo seggio nella quota c.d. di recupero proporzionale in TAA/S. Conseguentemente, i seggi disponibili per le listi di minoranza, se non si vuole violare l’art. 56 c. 2 della Costituzione, non sarebbero 278, bensì 268. All’esito delle operazioni elettorali, pertanto, risulterebbero eletti 278 deputati collegati a liste di minoranza nelle circoscrizioni nazionali, 10 deputati collegati a liste di minoranza nelle due circoscrizioni con disciplina speciale, 340 deputati collegati a liste di maggioranza, 12 deputati eletti nelle circoscrizioni estere, e così per un totale di 640 deputati. Il caso meno dirompente si avrebbe nell’ipotesi che tutti i candidati vincenti nei collegi uninominali, nove, fossero collegati alla lista vincente, cui aggiungere i due deputati della lista maggioritaria a livello nazionale, alla quale sono d’ufficio assegnati due seggi nella quota c.d. proporzionale del TAA/S. In questa ipotesi, la più favorevole, i seggi in esubero si ridurrebbero all’unità. Nell’ipotesi migliore, dunque, la legge elettorale determina l’elezione di 631 deputati. Probabilisticamente, invece, il numero dei seggi in esubero si collocherebbe all’interno dei due estremi, ma in ogni caso al di sopra dei 630 deputati che la Costituzione prescrive.
La disposizione, dunque, dovrebbe essere riscritta in questi termini: «L’Ufficio procede […] a ripartire proporzionalmente i restanti seggi, in numero pari alla differenza tra 618 e il totale dei seggi assegnati alla lista con la maggiore cifra elettorale nazionale ai sensi del comma 2 cui aggiungere il totale dei seggi assegnati alle altre liste o a candidati ad esse esclusivamente collegati nella circoscrizione della VDA e del TAA/S, tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3)» (la parte in corsivo è quella aggiunta) 7. In mancanza della correzione suggerita non ritengo che vi sia lo spazio interpretativo che, in effetti, gli uffici della Camera sembrano individuare allo scopo “di far tornare i conti” 8. Infatti, è pur vero che l’interprete, tra più soluzioni interpretative possibili deve adottare quella conforme a Costituzione. In questo caso, tuttavia, non vi sono soluzioni interpretative diverse con riguardo al c. 3 dell’art. 83 così come novellato, a meno di voler interpretare il numero «618» come un diverso numero, da ottenere attraverso un’operazione aritmetica e compreso tra 617 e 607. A me pare che ciò superi decisamente le possibilità ermeneutiche dell’interprete.
È ovvio che si tratti di una soluzione normativa in palese contrasto con l’art. 56 c. 2 della Costituzione. Si tratta quindi di un problema di illegittimità costituzionale della legge che andrebbe rimosso attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento, ossia la sollevazione, da parte di un giudice, della relativa questione di legittimità costituzionale della legge. E, tuttavia, l’Ufficio centrale nazionale, che è l’organo che in prima battuta effettua le proclamazioni degli eletti, ancorché composto di magistrati, ha natura schiettamente amministrativa e potrebbe dunque non ritenersi competente né a sollevare la questione di costituzionalità né a disapplicare una legge costituzionalmente illegittima. Si tratterebbe di una situazione incresciosa che potrebbe forse essere risolta solo dalla stessa Camera nell’esercizio della propria funzione di verifica delle elezioni ex art. 66 Cost., con i tempi necessariamente lunghi richiesti e con la conseguente delegittimazione di una Camera nuovamente composta in maniera incostituzionale.
1.4. La disciplina speciale e l’assegnazione del premio, in particolare a seguito di ballottaggio.
A differenza del testo della legge Calderoli, l’Italicum introduce nei conteggi per l’attribuzione del premio di maggioranza anche i voti espressi dagli elettori delle circoscrizioni per le quali è prevista una disciplina speciale (prima si trattava solamente della VDA, oggi anche del TAA/S). Questa soluzione è evidentemente improntata all’idea che tutti gli elettori debbano poter concorrere alla designazione della lista cui assegnare il premio di maggioranza. A mio modo di vedere, si tratta di una ratio incompatibile con la natura rappresentativa del Parlamento e con la forma di governo parlamentare. In effetti, si tratta di una ratio che prelude ad un meccanismo che introduce una surrettizia elezione diretta dell’esecutivo, riducendo la composizione della Camera a mera conseguenza di un’elezione diretta costituzionalmente vietata: formalmente si vota per la scelta dei parlamentari ma sostanzialmente si sceglie l’Esecutivo (rectius: il suo Capo) cui assegnare “graziosamente” – si conceda l’avverbio – una maggioranza di parlamentari (che dovranno di fatto a lui l’elezione e non agli elettori: finché costui sarà in grado di assicurare loro una rielezione, gli saranno fedeli; quando quello non saprà garantirli, questi saranno sempre liberi di cercarsi un nuovo Capo). Non intendo tuttavia argomentare questa tesi ex professo, perché ho già tentato di farlo in occasione delle scorse audizioni i cui testi sono già a disposizione dei parlamentari. L’analisi delle discipline speciali introdotte, tuttavia, consente di aggiungere qualche – spero – interessante considerazione.
1.4.1. L’incostituzionale esclusione degli Italiani all’estero dalla scelta della lista cui attribuire il premio di maggioranza.
In primo luogo, se la ratio dell’inclusione nei conteggi per l’attribuzione del premio di maggioranza anche dei voti espressi dagli elettori delle circoscrizioni per le quali è prevista una disciplina speciale sta nell’idea che tutti gli elettori debbano poter concorrere alla designazione della lista cui assegnare il premio di maggioranza, occorre spiegare la ragione per la quale da tale diritto siano esclusi gli elettori della circoscrizione estero. Tali elettori, a seguito della – a mio modo di vedere – improvvida riforma del 2001, sono in posizione di uguaglianza rispetto a quelli iscritti nelle liste elettorali “nazionali”, tanto più nel contesto normativo che risulterebbe a seguito dell’approvazione del progetto di legge in esame, a seguito del quale alcuni elettori residenti in Italia ma solo temporaneamente all’estero (per es. gli studenti Erasmus) possono liberamente optare per il voto nelle ripartizioni estere o nelle circoscrizioni italiane, così come gli Italiani iscritti all’Aire possono talora optare nelle circoscrizioni italiane. Non vale la pena obiettare che agli Italiani residenti all’estero siano costituzionalmente riservati 12 seggi ai sensi del comma 2 dell’art. 56, disposizione che dovrebbe essere oltremodo enfatizzata al fine di essere capace di distinguere in modo sufficientemente netto gli Italiani residenti all’estero da quelli residenti in Italia. Infatti anche a tutte le altre circoscrizioni sono riservati seggi dalla Costituzione, ai sensi del successivo quarto comma. Pertanto, se si muove dalla ratio che ispira la legge, ossia quella per cui tutti gli elettori debbano poter concorrere alla designazione della lista cui assegnare il premio di maggioranza, occorre includere anche i quasi 3.500.000 elettori italiani residenti all’estero tra coloro che possano poter concorrere alla designazione della lista cui assegnare il premio di maggioranza, a pena di violazione dell’art. 3 e dell’art. 48 Cost.
1.4.2. Disuguaglianza degli elettori nelle circoscrizioni “nazionali” rispetto a quelli nella Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.
In secondo luogo, si prenda il caso più semplice della VDA, ancorché considerazioni simili siano estensibili, mutatis mutandis, anche al TAA/S. Gli elettori della VDA votano per un candidato nel collegio uninominale, all’interno del quale viene eletto colui che ha ottenuto più voti. Al termine del primo turno, dunque, gli elettori della VDA avranno eletto l’intera rappresentanza che spetta loro. Nel caso che si tenga il ballottaggio per l’assegnazione del premio, gli elettori della VDA sono nuovamente convocati alle urne. Ma essi per che rappresentanza votano, visto che quella che spettava loro ai sensi della legge e della Costituzione è già stata integralmente individuata? Essi, in realtà, stanno votando per la rappresentanza degli altri Italiani, con evidente violazione del principio di eguaglianza del voto.
1.4.3. Il caso della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste come dimostrazione che la legge viola la forma di governo parlamentare e l’uguaglianza del diritto di voto dei cittadini.
Il caso che vi sottopongo non realizza un’aberrazione isolata del meccanismo elettorale. In realtà ne mette in luce le illegittimità costituzionali di fondo.
Da un canto, esso manifesta chiaramente come al secondo turno la contesa non si svolga affatto attorno alla rappresentanza parlamentare. Poiché nel nostro caso gli elettori della VDA sono già integralmente rappresentati, essi sono ammessi al secondo turno, perché il legislatore è consapevole che in quel turno si sta di fatto votando altro, ossia l’Esecutivo, rendendo manifesta l’operazione di elusione della forma di governo parlamentare costituzionalmente prevista.
Dall’altro canto, il caso sottoposto mette in luce l’errore di fondo insito nel modello Italicum. Infatti, ai fini della costruzione di un meccanismo di rappresentanza, il doppio turno è un sistema elettorale impiegabile unicamente per le cariche monocratiche e quindi, con riguardo alle elezioni parlamentari, si può utilizzare esclusivamente per l’elezione di ogni singolo parlamentare in un collegio uninominale. In Francia, così, gli elettori dei collegi che hanno eletto il proprio rappresentante, essendo già rappresentati, non votano al secondo turno, altrimenti voterebbero per il rappresentante di altri. Nel sistema dell’Italicum, viceversa, si verifica esattamente questo fenomeno, ossia che elettori già rappresentati determinano anche i rappresentanti degli altri. Si prenda ad esempio l’elettore che al primo turno abbia votato per una lista non ammessa al ballottaggio e che abbia superato lo sbarramento: questo elettore ha già contribuito ad eleggere un rappresentante eppure, se vota per la lista che riuscirà vincente al ballottaggio, contribuirà ad eleggere ulteriori rappresentanti. Ciò potrà persino comportare comportamenti strategici attraverso i quali gli elettori della maggioranza possono scegliersi anche parte dei rappresentanti della minoranza. Si pensi all’elettore della lista che egli ritiene risulterà vincitrice al ballottaggio: al primo turno, potrebbe votare per la lista di minoranza che ritiene a sé più vicina; è un comportamento elettorale che non deprime i seggi destinati alla lista che preferisce, la quale otterrà sempre 340 seggi, indipendentemente dai voti ottenuti al primo turno, purché riesca, al primo o al secondo turno, a vincere il premio di maggioranza. Questo elettore della lista maggioritaria risulterà rappresentato più volte e sarà stato capace di incidere anche sulla rappresentanza degli elettori delle minoranze, con violazione degli artt. 3 e 48 Cost.
Si potrebbe formalisticamente obiettare, poi, che tutti gli elettori italiani condizionano la rappresentanza di ognuna delle circoscrizioni diverse da quella in cui votano. Si tratta di una constatazione realistica. Poiché l’assegnazione dei seggi avviene a livello nazionale, il voto espresso in un collegio può determinare l’assegnazione di seggi in un collegio tutt’affatto diverso da quello in cui esprime il voto.
Da un canto, si tratta di un’obiezione che, però, mette in discussione l’impianto del sistema con riguardo al principio costituzionale dell’effettiva «conoscibilità […dei candidati] e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto» (punto 5.1 del Considerato in diritto della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale). Se si ammette, infatti, che l’espressione di un voto in un collegio può produrre l’assegnazione di un seggio in un altro, come si può sostenere che l’elettore sia in grado di conoscere il candidato per la cui lista sta votando? Si badi che il difetto evidenziato non è nemmeno risolvibile rimuovendo il meccanismo dei capilista bloccati, giacché, anche così facendo, l’elettore che vota una lista perché gradisce un suo candidato (per il quale possa esprimere la preferenza), non può sapere se il suo voto vale ad eleggere quel candidato o altri.
Dall’altro canto, l’obiezione non è risolutiva con riguardo agli elettori della VDA. Infatti, mentre la rappresentanza di ogni altro collegio italiano è potenzialmente determinata dagli elettori di tutti gli altri collegi, ivi inclusi gli elettori di VDA e TAA/S, la rappresentanza degli elettori della VDA non può essere condizionata dal voto di tutti gli altri elettori italiani. La violazione dell’art. 3 e dell’art. 48 è dunque, a mio avviso, innegabile.
1.4.4. Gli ulteriori difetti in TAA/S: l’influenza degli altri elettori italiani nella distribuzione dei seggi di quella circoscrizione (violazione dell’art. 6, 3 e 48 2° c. Cost.).
Con riguardo al TAA/S, la situazione è parzialmente simile. In relazione agli otto collegi uninominali si realizza quanto detto con riferimento alla VDA. Resta però, con riguardo al TAA/S l’ulteriore complicazione dovuta alla irragionevole gestione dei seggi (al momento tre) destinati alla c.d. quota di recupero. Ai sensi dell’ultimo censimento, agli abitanti del TAA/S spettano undici seggi. La legge prescrive che otto di questi siano assegnati in altrettanti collegi uninominali che coprono l’intera estensione del TAA/S. I tre restanti sono assegnati a livello di circoscrizione regionale. Ora, perché la riserva di tre seggi nella circoscrizione regionale non duplichi la rappresentanza degli elettori che abbiano ottenuto già rappresentanza nei collegi, la legge prevede opportunamente che si scorporino dalle cifre elettorali circoscrizionali i voti degli elettori già rappresentati attraverso i candidati vincenti nei collegi, secondo il meccanismo dello scorporo parziale già previsto dal c.d. “Mattarellum” per la Camera. Tuttavia, in tutte le ipotesi nelle quali la ripartizione dei seggi avvenga attraverso l’attribuzione del premio di maggioranza, i tre seggi della circoscrizione regionale non vengono attribuiti a favore degli elettori non rappresentati dagli eletti nei collegi. Infatti, due terzi dei seggi di recupero sono invece assegnati d’ufficio alla lista che abbia ottenuto il premio di maggioranza, indipendentemente dai voti che essa abbia ottenuto in TAA/S: potrà trattarsi di una lista completamente minoritaria in TAA/S, che – irragionevolmente – ottiene seggi in virtù dei voti espressi dagli elettori delle altre circoscrizioni; potrà trattarsi di una lista che ha già visto numerosi eletti nei collegi uninominali, così risultandone una duplicazione della rappresentanza di alcuni elettori; potrebbe infine ridurre la rappresentanza proprio della minoranza linguistica, arbitrariamente sottraendo seggi a favore di altre liste sulla base della votazione degli elettori di altre circoscrizioni.
1.4.5. Possibile soluzione.
Tali problemi, sarebbero ridotti, invece, se si adottasse la proposta formulata nel paragrafo 1.1, cui si rinvia, ossia estendendo anche a VDA e TAA/S la disciplina generale, da derogarsi unicamente con riferimento alla clausola di sbarramento del 3%, dalla quale andrebbero esentate le sole minoranze linguistiche.
2. LA DISTRIBUZIONE DEI SEGGI TRA I COLLEGI.
Il secondo punto che mi sono proposto di affrontare è quello relativo alla distribuzione dei seggi assegnati alle liste nei diversi collegi in cui sono ripartite le circoscrizioni, meccanismo che, nel passaggio al Senato, è stato modificato. Il problema, volgarmente noto come “slittamento dei seggi”, deriva dalla combinazione della presentazione delle liste a livello di collegio con l’assegnazione dei seggi a livello nazionale. Com’è noto, combinare i due meccanismi produce alternativamente una delle seguenti ipotesi, entrambe indesiderabili: (a) o la ripartizione finale dei seggi in ognuno dei collegi non corrisponderà alla distribuzione dei voti in quel singolo collegio, (b) o la ripartizione dei seggi tra le liste dovrà travalicare l’iniziale attribuzione dei seggi ad ogni singolo collegio sulla base della consistenza demografica, con la conseguenza – a titolo esemplificativo – che un collegio che avrebbe dovuto eleggere sei deputati ne elegge invece quattro e un collegio che doveva eleggerne sette ne elegge invece nove.
Nella versione dell’Italicum licenziata dalla Camera si incorreva nel primo difetto. Nella versione licenziata invece dal Senato si è deciso per il secondo. Tale secondo difetto, tuttavia, non è esente da dubbi di costituzionalità.
2.1. Possibile violazione degli artt. 56 c. 4, 48 c. 2, 3 c. 1 Cost.
In primo luogo, un meccanismo di distribuzione dei seggi che sottorappresenti alcuni collegi e ne sovrarappresenti altri, potrebbe essere in contrasto con l’art. 56 comma 4 della Costituzione che preveda che la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni debba avvenire in proporzione alla consistenza demografica di ciascuno.
Naturalmente, non vale obiettare che il testo costituzionale si riferisce alle circoscrizioni mentre qui si tratta di collegi: il principio costituzionale vuole affermare che il territorio nazionale deve essere suddiviso in ripartizioni territoriali nelle quali presentare le liste (poco conta la denominazione di collegio o circoscrizione che non trova alcun fondamento costituzionale) e che i seggi debbono essere assegnati a tali ripartizioni sulla base della loro consistenza demografica. Se non fosse così, d’altro canto, non si garantirebbe l’eguale rappresentanza dei cittadini, perché alcuni cittadini sarebbero più rappresentati ed altri meno e – corrispondentemente – alcuni deputati rappresenterebbero più cittadini di altri. La disposizione costituzionale, dunque, non è altro che una esplicitazione, sul terreno della distribuzione dei seggi tra le aree territoriali, del principio di uguaglianza del voto ex art. 48 Cost. e del principio di uguaglianza tout-court ex art. 3 Cost.
Inoltre, non vale obiettare che la distribuzione dei seggi tra i collegi è – inizialmente – effettuata sulla base della loro consistenza demografica e solo successivamente, in sede di distribuzione dei seggi, venga travalicata. Se il senso della disposizione costituzionale è quello di garantire l’uguale rappresentanza dei cittadini e l’uguale rappresentatività dei parlamentari, ciò che conta è il risultato finale delle operazioni elettorali e non la sola distribuzione iniziale, che si ridurrebbe a una mera formalità.
Non vale nemmeno obiettare, infine, che un meccanismo di slittamento dei seggi sia sempre stato previsto nelle diverse legislazioni elettorali succedutesi durante la Repubblica. Nella legge proporzionale che ha regolato le elezioni della Camera fino al 1993, infatti, potevano sì accadere degli scostamenti di seggi tra una circoscrizione e l’altra. Tali scostamenti, però, erano limitati ai soli voti che non riuscivano ad esprimere un quoziente pieno in una determinata circoscrizione. Solo i resti, infatti, erano “trattati” a livello nazionale e i resti sono voti incapaci di produrre rappresentanza a livello circoscrizionale. Quella legge, dunque, garantiva che ogni gruppo di voti pari al quoziente circoscrizionale eleggesse il suo deputato nella circoscrizione e lo slittamento, pertanto, poteva riguardare solo gruppi di voti inferiori al quoziente. Nella proposta attuale, invece, gli scostamenti possono essere assai rilevanti e concernere anche liste che avrebbero ottenuto un numero di voti che sarebbe sufficiente a garantire loro il seggio in quel determinato collegio.
2.2. Violazione del principio costituzionale dell’effettiva «conoscibilità […dei candidati] e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto» (Corte Cost. n. 1/2014).
Come si diceva, nella versione dell’Italicum licenziata dalla Camera, la ripartizione finale dei seggi in ognuno dei collegi non corrispondeva alla distribuzione dei voti in quel singolo collegio. In ciascun collegio, una lista con molti voti poteva essere esclusa dalla rappresentanza a favore di altra lista magari con suffragi a suo favore in numero del tutto esiguo. In questo modo, soprattutto con riferimento alle liste minori, l’individuazione del collegio nel quale sarebbe scattato il seggio diveniva del tutto casuale (dipendendo in realtà dall’andamento delle liste maggiori). Ciò, soprattutto, rendeva il meccanismo incapace di consentire una scelta consapevole dell’elettore nell’individuazione dell’effetto che il suo voto avrebbe potuto produrre in termini di identificazione del candidato votato: se l’elettore non sa dove il suo voto fa scattare il seggio, come può sapere chi stia votando in termini di singoli candidati all’interno di una lista?
Accettando di alterare la consistenza della rappresentanza di ogni collegio e incorrendo, pertanto, nei difetti illustrati nel paragrafo precedente, nella versione adottata dal Senato le alterazioni nella rappresentanza dei collegi, pur non essendo escluse, dovrebbero risultare ridotte. In effetti, il meccanismo adottato dal Senato fa sì che le liste delle forze politiche minori ottengano i seggi nei collegi dove hanno registrato la performance migliore. Anche il nuovo sistema, però, non va esente da ulteriori critiche rispetto a quelle formulate nel paragrafo precedente.
In primo luogo, poiché il seggio della forza politica minore scatta nel collegio nel quale essa registra la migliore prestazione in relazione al quoziente di ciascun collegio, dato che nei collegi maggiori il quoziente è sempre inferiore a quello dei collegi minori, succederà che l’alterazione del numero di deputati dei diversi collegi favorirà pressoché costantemente i collegi maggiori, che guadagneranno parlamentari, rispetto ai collegi minori, che ne perderanno. Se, come sostenuto nel paragrafo precedente, l’effetto di sottorappresentazione o sovrarappresentazione dei collegi è passibile di critiche sul piano costituzionale, tali critiche divengono ancor più radicali se la “migrazione” dei seggi non è casuale ma è “programmata” dalla legge. Si verificherà infatti una permanente sovra rappresentazione delle popolazioni dei collegi maggiori a discapito di quelle dei collegi minori.
In secondo luogo, il nuovo sistema consente sì alle forze politiche di prevedere con maggiore probabilità il collegio nel quale i partiti piccoli otterranno il seggio. Tale congegno, tuttavia, se risolve un problema del ceto politico, viceversa non risolve il problema della capacità dell’elettore di conoscere gli effetti del proprio voto. Infatti, anche il meccanismo di ripartizione dei seggi nei collegi introdotto in Senato non è capace di corrispondere ad uno dei principi chiaramente affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014. Mi riferisco al principio per il quale la legge elettorale, con riguardo ai candidati, deve garantire «l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto» (punto 5.1 del Considerato in diritto della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale). Si tratta di un principio che ha ricevuto una strumentale banalizzazione nel dibattito pubblico, all’interno del quale esso è finito per equivalere all’esigenza di liste “corte”, contenenti cioè un numero esiguo di candidati che perciò stesso sarebbero conoscibili all’elettore. Il principio affermato dalla Corte costituzionale, correttamente inteso, implica invece ben altro: esso afferma che l’elettore, nell’esprimere il voto, deve essere posto nella condizione di conoscere gli effetti che il suo voto determinerà nella distribuzione dei seggi e nella individuazione dei candidati. Così inteso, il principio affermato dalla Corte costituzionale non è soddisfatto dalla sola predisposizione di un sistema che presenti liste “corte”.
Affinché l’elettore, nell’esprimere il voto, sia posto nella condizione di conoscere gli effetti che il suo voto determinerà nella distribuzione dei seggi e nella individuazione dei candidati, il sistema deve anzitutto garantire che, nel caso una lista abbia raggiunto in un determinato collegio il numero di voti sufficiente per esprimere un rappresentante (che è poi sostanzialmente il quoziente elettorale di quella circoscrizione), ad essa venga anzitutto assegnato il seggio in quel collegio. Se è soddisfatta questa condizione, la previsione di un sistema di graduazione dei candidati secondo il numero delle preferenze o l’impiego di liste c.d. bloccate, purché mediamente corte, è sostanzialmente indifferente. Infatti, in entrambi i casi l’elettore sa esattamente ciò che il suo voto produrrà in termini di distribuzione dei seggi e di individuazione dei candidati. Quando, invece, il seggio che dovrebbe scattare in un collegio è trasferito in altro, in relazione a esigenze che attengono alla distribuzione nazionale dei voti, l’«effettiva conoscibilità […dei candidati] e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto» dell’elettore sono in radice conculcati. In effetti, in queste condizioni, l’elettore, nell’esprimere un voto in un determinato collegio, non può conoscere quale sia l’effetto del suo voto sul numero dei seggi che saranno assegnati alla lista che vota. In effetti l’elettore, può unicamente sapere che, votando una lista in un collegio, il suo voto contribuirà all’assegnazione a quella lista di un seggio a livello nazionale. Egli, invece, non può sapere in quale collegio tale seggio verrà assegnato, perché ciò dipenderà dal complesso di tutti gli altri voti espressi a livello nazionale. Egli in sostanza può unicamente sapere che favorirà la lista che vota ma il seggio che questa otterrà potrà scattare in qualunque altro collegio nazionale, favorendo un candidato che egli non poteva previamente individuare, in quanto inserito in una qualsiasi delle altre liste che la forza politica ha presentato in un qualsiasi altro collegio.
3. IL DIFFERIMENTO DELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE: PROBLEMATICHE INTERPRETATIVE E SOTTOPONIBILITÀ A REFERENDUM ABROGATIVO TOTALE DELLA NUOVA DISCIPLINA.
In relazione alla parzialità della riforma elettorale, che provvede esclusivamente per la Camera dei Deputati e non anche per il Senato della Repubblica, in evidente attesa di una eventuale abolizione dell’elettività di questa seconda Camera e della sua esclusione dal rapporto fiduciario col Governo, è stata introdotta in duplice sede una disposizione che ritarda l’applicabilità del progetto di legge in esame al 1° luglio 2016.
Tralascio le evidenti critiche, già formulate da più parti, circa l’opportunità costituzionale di una tale scelta, che inverte i rapporti tra riforme costituzionali e loro attuazione.
Faccio soltanto presente, in primo luogo, che, in mancanza dell’approvazione della riforma costituzionale in atto, se le prossime elezioni fossero convocate per una data successiva al 1° luglio 2016, la riforma elettorale in corso di approvazione risulterebbe quasi certamente illegittima costituzionalmente. Infatti, ferma ogni altra obiezione costituzionale, il presupposto per applicare una alterazione della rappresentanza simile a quella prevista dalla legge è il perseguimento dell’obiettivo c.d. della governabilità. In presenza, invece, di un Senato eletto con la legislazione proporzionale del c.d. “consultellum”, le alterazioni nella rappresentanza previste nell’Italicum per la Camera costituirebbero senz’altro un mezzo inidoneo e dunque irrazionale rispetto al fine che si propone (la governabilità, appunto) e dunque non supererebbero il vaglio di costituzionalità per le ragioni già fatte valere dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014 con riguardo alla legge elettorale per il Senato della Repubblica.
In secondo luogo, faccio presente che la peculiarità della scelta adottata – il differimento dell’applicabilità al 1° luglio 2016 – comporta conseguenze del tutto inedite. La formulazione delle disposizioni che dispongono il differimento, in realtà, non è affatto chiara: nella lettera i) dell’art. 1 si statuisce che «la Camera dei deputati è eletta secondo le disposizioni della presente legge a decorrere dal 1° luglio 2016»; nel comma 35 dell’art. 2, invece, si stabilisce che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano per le elezioni della Camera dei deputati a decorrere dal 1° luglio 2016». La duplicità della formulazione potrà determinare alcune problematiche gravi circa l’individuazione delle disposizioni la cui applicazione è differita e di quelle, invece, immediatamente applicabili.
Tutto sommato, però, dovrebbe potersi concludere che la legge, secondo le regole ordinarie, entrerà in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che tuttavia la sua applicazione sarà rinviata al 1° luglio 2016. Poiché la nuova legge elettorale, nel suo art. 2, dispone abrogazioni, soppressioni, sostituzioni, integrazioni e aggiunte di disposizioni con riguardo al vecchio testo unico che contiene la disciplina elettorale, applicare al 1° luglio 2016 l’art. 2 della nuova legge implica che tali abrogazioni, soppressioni, sostituzioni, integrazioni e aggiunte di disposizioni saranno rese operative proprio a partire dal 1° luglio 2016. Fino a quella data, dunque, dovrebbe restare applicabile il c.d. “Consultellum”, le cui disposizioni non dovrebbero essere novellate, ancorché la riforma sia in vigore, ciò anzitutto per evitare che il Paese resti senza legge elettorale fino al 1° luglio 2016.
Ne discende una conseguenza che vorrei sottoporre all’attenzione della Camera con riguardo alla sottoponibilità a referendum abrogativo della nuova legge elettorale.
Com’è noto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, una legge elettorale non è mai sottoponibile a referendum abrogativo totale, perché deve essere sempre garantita una disciplina elettorale che renda possibile in ogni momento il rinnovo del Parlamento. Così si è sviluppata la prassi dei referendum elettorali parziali, quando non manipolativi.
Ora, poiché l’effetto abrogativo della riforma elettorale nei confronti della precedente disciplina si verificherà solamente a partire dal 1° luglio 2016, segnalo alla Camera e alle forze politiche che, fino a quella data, l’Italicum risulterà sottoponibile a referendum abrogativo totale, rendendo possibile, per la prima volta, un giudizio popolare circa una riforma elettorale in tutto il suo complesso voluta dal Parlamento.
Note:
1 Un paio di esempi renderanno più chiara l’obiezione. Potrebbe capitare che il candidato della minoranza valdostana non ottenga la cifra elettorale più alta nel collegio della VDA ma consegua comunque un numero di voti che, a livello nazionale, le assicurerebbe un seggio. Applicando le regole generali, la minoranza valdostana, purché capace di ottenere una consistenza elettorale pari al quoziente elettorale nazionale, riceverebbe rappresentanza. Allo stesso tempo, i voti degli altri elettori valdostani che avessero votato per liste “nazionali”, non andrebbero sprecati, perché concorrerebbero ad accrescere le cifre elettorali e dunque i seggi degli altri partiti “nazionali”. Certo quegli elettori non sarebbero rappresentati dal loro candidato in VDA, ancorché magari avesse più voti in VDA del candidato della minoranza linguistica. Sicché l’obiezione o non vale nulla o vale troppo. Infatti anche gli altri elettori italiani sono esposti allo stesso rischio. Col sistema che si è adottato gli elettori non hanno garanzia di eleggere nemmeno il candidato che sia risultato vincitore nel collegio plurinominale, i loro voti potendo essere utilizzati per l’elezione di un parlamentare in altro collegio. Se questo effetto è giudicato tollerabile dal legislatore addirittura in un collegio che assegna un numero plurale di seggi, tanto più dovrà accettarsi per il collegio uninominale. Se una tale eventualità, al contrario, è giudicata intollerabile in un collegio uninominale, a maggior ragione dovrà ritenersi inaccettabile in un collegio plurinominale. Ma se fosse così, bisognerebbe ammettere che tutto l’impianto del calcolo nazionale della legge dovrebbe giudicarsi costituzionalmente illegittimo. Allo stesso modo deve ragionarsi per il TAA/S.
2 Mentre in tutti i collegi “nazionali” i voti che non producono seggi nel collegio sono comunque produttivi di seggi con l’unica condizione che siano espressi a favore di una lista che abbia superato la soglia di sbarramento, lo stesso non vale per gli elettori della VDA e del TAA/S. I voti di questi elettori, infatti, o riescono a produrre seggi nei collegi uninominali o, limitatamente al TAA/S, nella quota di recupero, oppure divengono “sterili”. Con ciò questi elettori sono soggetti ad una disciplina irragionevolmente diversa rispetto a quella prevista per gli altri elettori italiani.
3 Significherebbe che in VDA ogni lista nazionale debba avere un candidato in mancanza dell’accertamento del consenso minimo assicurato dalle sottoscrizioni delle candidature.
4 Infatti si consentirebbe la presentazione di candidature, sprovviste dei requisiti richiesti agli altri candidati, potenzialmente capaci di disperdere i voti, penalizzando le chances della minoranza linguistica.
5 In realtà, nemmeno questo elemento è chiaro, giacché il comma 2 si limita ad affermare che alla lista con la maggiore cifra elettorale superiore al 40% dei voti validi sia «ulteriormente attribuito il numero aggiuntivo di seggi necessario per raggiungere il totale di 340 seggi, fermo restando quanto stabilito al comma 6». Il comma 6, a sua volta, nulla dice con riguardo all’imputazione dei seggi vinti nei collegi uninominali alla quota dei 340 seggi di premio, limitandosi a statuire che i voti espressi nelle due circoscrizioni con disciplina speciale vengano presi in considerazione limitatamente ai fini del superamento delle soglie e a quelle relative all’ottenimento del premio o all’ammissione al ballottaggio. Tuttavia, l’imputazione alla maggioranza dei seggi vinti nei collegi uninominali alla quota dei 340 seggi di premio risulta chiaramente da altre disposizioni.
6 Si potrebbe obiettare che non sempre il difetto si produrrà, interpretando nel seguente modo la restante parte del c. 3 dell’art. 83 che statuisce: «A questo fine divide il totale delle loro cifre elettorali nazionali per tale numero, ottenendo il quoziente elettorale nazionale di minoranza; nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale di ciascuna lista per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuto rappresenta il numero di seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio» (il corsivo è mio). L’Ufficio, in effetti, nell’individuare «I seggi che rimangono ancora da attribuire» dopo aver assegnato i seggi con quoziente pieno, potrebbe trascurare quelli già assegnati alle liste di minoranza nelle circoscrizioni con disciplina speciale, in quanto seggi non più da attribuire. Tuttavia molto difficilmente i seggi assegnati con quozienti pieni potrebbero essere meno di 268, giacché occorrerebbero almeno dieci liste di minoranza che abbiano superato il 3%, ipotesi improbabile oltre che politicamente e costituzionalmente indesiderabile (la frammentazione dell’opposizione sarebbe oltremodo esasperata). Pertanto, anche con questa interpretazione residuerebbero con ogni probabilità seggi in esubero. Inoltre, in tutti i casi, si utilizzerebbe, di fatto, un quoziente irragionevolmente ridotto per la distribuzione dei seggi delle liste di minoranza.
7 O, più semplicemente: «L’Ufficio procede […] a ripartire proporzionalmente i restanti seggi, in numero pari alla differenza tra 278 e il totale dei seggi assegnati alle liste di minoranza o a candidati ad esse esclusivamente collegati nella circoscrizione della VDA e del TAA/S, tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3)».
8 A pagina 54 dell’ottimo dossier della Camera dei Deputati che mi è stato trasmesso in vista dell’audizione si legge, invero contraddittoriamente: «Il numero dei seggi da ripartire fra le liste di minoranza è pari alla differenza tra 618 e il totale dei seggi assegnati alla lista di maggioranza. Il numero di seggi da ripartire fra le liste di minoranza non è stabilito in misura fissa, poiché dipende dal numero di seggi già assegnati rispettivamente alla lista di maggioranza e alle liste di minoranza nelle circoscrizioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige».