da Giovanni Caggiati
La legge è passata senza opposizione nel Paese, nemmeno da parte della sinistra d’alternativa e dei comunisti che ne sono le prime vittime. Contro una legge antidemocratica, ma meno truffaldina dell’Italicum, “la legge truffa” del 1953, i comunisti condussero una durissima battaglia in Parlamento e una mobilitazione generale nel Paese, grazie alla quale opposizione il meccanismo della legge non scattò e anzi qualche mese dopo la legge fu addirittura ritirata dagli stessi (democristiani) che l’avevano voluta.
Italicum: il definitivo tramonto della democrazia parlamentare
di Carlo Seravalli
La sostanza della nuova legge: distorcere i rapporti reali tra le forze politiche.
Impostiamo questa riflessione a partire dalla sostanza della nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum, lasciando da parte le questioni relative alla procedura di approvazione con voto di fiducia, sulle quali si sono maggiormente soffermate già le cronache politiche degli ultimi giorni. Il punto centrale per cui l’Italicum rappresenta un grave colpo inferto ai principi repubblicani che danno forma alla Costituzione italiana è, in primo luogo, il meccanismo relativo al premio di maggioranza. La questione dei capilista bloccati, su cui si sono appuntate le maggiori critiche e pur grave sotto molti aspetti, appare, a nostro modo di vedere, di minore portata.
La legge, infatti, impone un principio fortemente distorsivo dei rapporti reali tra le forze politiche nella società e cioè che, attraverso il meccanismo del premio, dalle urne uscirà comunque un partito che avrà la maggioranza assoluta in Parlamento. Questo partito potrà avere anche percentuali di consenso ben lontane dal 50%: avrà comunque diritto a 340 deputati su 630 totali. Potrà insomma governare da solo.
L’Italicum, difatti, prevede due turni di elezione. Se al primo turno una delle liste raggiunge il 40% dei voti avrà direttamente accesso al premio ed otterrà i 340 deputati. Se, tuttavia, ciò non dovesse accadere, le due liste che avranno ottenuto un maggior numero di voti accederanno ad un secondo turno; la vincitrice del ballottaggio otterrà automaticamente 340 deputati, indipendentemente da quale percentuale abbia ottenuto al primo turno. Facciamo un esempio per capirci. Se al primo turno i primi due partiti classificati fossero PD con il 35% e Forza Italia col 20%, si dovrebbe disputare un secondo turno. Poniamo che da questa seconda tornata uscisse vincitore il PD: ebbene, questo partito otterrebbe la maggioranza assoluta e potrebbe governare da solo, nonostante il suo peso reale nella società equivalga soltanto al 35% dei consensi.
Distorcere i rapporti reali, dunque, e violare il carattere rappresentativo del nostro ordinamento: questi gli scopi della legge. Tale meccanismo sancisce la morte del Parlamento e la fine dell’ordinamento repubblicano democratico su cui si fonda la Costituzione italiana. A cosa serve, infatti, tale procedura se non ad esautorare il Parlamento a favore del governo? Che cosa farà questa maggioranza compatta di deputati (buona parte dei quali, inoltre, nominati direttamente dalle segreterie dei partiti attraverso il sistema dei capilista bloccati) se non votare la fiducia al governo del proprio capo di partito ed approvare tutte le leggi che l’esecutivo proporrà? In sostanza, i cittadini italiani non saranno più chiamati ad eleggere un Parlamento che rispecchi gli orientamenti politici della società ma ad eleggere un esecutivo che governerà senza più ostacoli e compromessi, cioè, nei fatti, senza Parlamento.
Non solo la fine della funzione del Parlamento. Come ha notato Ferruccio De Bortoli, anche il Presidente della Repubblica diverrà nei fatti una carica inutile e priva di reali poteri. Le due funzioni politiche fondamentali che la Costituzione assegna al Capo dello Stato sono la nomina del Presidente del Consiglio e lo scioglimento del Parlamento. Entrambe queste funzioni diverranno puramente formali. In Parlamento non saranno possibili altre maggioranze al di fuori di quella ottenuta con il premio. Il Capo dello Stato si limiterà a consegnare la nomina di Primo Ministro al capo del partito vincitore, il quale potrà altresì decidere quando andare ad elezioni anticipate: basterà non farsi riconoscere la fiducia dal Parlamento da lui controllato. Dunque, nei fatti, al di là di possibili scissioni in seno al partito vincitore, il Presidente della Repubblica non deciderà più nulla. Gli resterà soltanto il discorso di Capodanno.
Italicum e Porcellum
La volontà distorsiva evidenziata non è una novità nei sistemi elettorali introdotti in Italia negli ultimi decenni. Lo scopo di rafforzare l’esecutivo a discapito del legislativo è infatti chiarissimo già nel cosiddetto Mattarellum, il sistema maggioritario che sostituì, nel 1993, il proporzionale in vigore dal dopoguerra. Lo è ancor di più nel famigerato Porcellum, la legge Calderoli, giudicata incostituzionale dalla sentenza del 2014 della Corte suprema. Sotto questo punto di vista, tuttavia, l’Italicum presenta senz’altro un peggioramento rispetto al Porcellum. La legge Calderoli, infatti, stabiliva criteri diversi fra i due rami del Parlamento per l’assegnazione del premio di maggioranza. Alla Camera dei Deputati il premio veniva assegnato in modo molto simile a quello adottato nell’Italicum, anche se, in quel caso, la maggioranza assoluta poteva essere assegnata anche ad una coalizione di partiti, mentre nell’Italicum le coalizioni non sono previste: è il singolo partito, qui, a prendere tutto, senza aver bisogno di coalizzarsi con chicchessia. Al Senato, invece, il premio era assegnato su base regionale, circostanza che delineava l’insorgere di una situazione meno nettamente definita: la varietà di risultati ottenuti nelle varie Regioni, determinava il fatto che il premio venisse assegnato a liste differenti e che non ci fosse una singola lista che prendesse tutti i parlamentari assegnati per premio. In una parola: al Senato, il risultato elettorale, se pur comunque distorto, era più aderente ai rapporti reali delle varie forze politiche. Non è un caso che le maggiori critiche che l’attuale esecutivo ha rivolto verso il Porcellum hanno riguardato proprio il Senato, dipinto come una palude in cui la volontà d’azione del governo si va a perdere. Le cose stanno esattamente all’opposto: lo scandalo maggiore di quella legge consisteva proprio nel premio di maggioranza assegnato alla Camera. Tale maggioranza monolitica della Camera trovava, in un certo senso, un contrappeso nel Senato, assemblea nella quale il Parlamento trovava di nuovo un proprio ruolo autonomo dall’esecutivo. Il fatto che coloro che hanno ideato il Porcellum non abbiano consapevolmente perseguito questo obiettivo non cambia la sostanza dei fatti.
L’Italicum, viceversa, non prevede nessuna forma di bilanciamento: la sua entrata in vigore è posticipata al 2016 ed è valida per la sola Camera. Per quel tempo, infatti, il governo conta di aver di fatto già eliminato il Senato e il bicameralismo. Resterà la Camera dei Deputati, con la sua compatta maggioranza.
Italicum e legge truffa
Prendendo in considerazione la sola storia repubblicana (e quindi tenendo fuori la legge Acerbo del 1923, che pure permetterebbe di sviluppare utili riflessioni), si può citare un interessante precedente nella legge Scelba, la cosiddetta “legge truffa” del 1953. Anche in quel caso, infatti, veniva introdotto il meccanismo del premio di maggioranza. Il principio di questa legge si descrive rapidamente: la lista o la coalizione che raggiungeva il 50% più uno dei consensi aveva diritto al 65% dei parlamentari alla Camera dei Deputati. Si noti, in primo luogo, come questo sistema, pur alterando in modo consistente il rapporto tra composizione del Parlamento e reale consenso delle forze politiche, sanciva un principio che invece nell’Italicum viene del tutto eliminato: il premio di maggioranza poteva scattare solamente nel momento in cui una lista o una coalizione raggiungessero una certa soglia, cioè la effettiva maggioranza dei voti espressi dai cittadini. Nell’Italicum, viceversa, tale principio è completamente assente ed il premio di maggioranza scatta in qualsiasi caso: come abbiamo già evidenziato, l’introduzione del secondo turno dà la possibilità di ottenere il premio anche a forze politiche con livelli di consenso molto ridotti e ben distanti dalla maggioranza assoluta.
Il parallelo con la legge Scelba ci permette di fare un’ulteriore riflessione su come si sarebbe dovuta condurre la battaglia contro l’Italicum da parte di tutti coloro che si volevano opporre a tale provvedimento. Nel 1953 i comunisti, i socialisti e tutte le forze politiche contrarie alla legge truffa, condussero una durissima battaglia parlamentare basata sull’ostruzionismo, cosa che, come è noto, costrinse l’allora Presidente del Consiglio De Gasperi a porre la questione di fiducia sul provvedimento. Ma non ci si limitò a ciò: le giornate precedenti l’approvazione della legge e la campagna elettorale che poi seguì, furono caratterizzate da una fortissima mobilitazione contro il nuovo sistema elettorale, mobilitazione nella quale ebbero un forte ruolo, oltre alle forze politiche, anche i sindacati e gruppi di intellettuali. La lotta contro la legge truffa, quindi, venne fatta vivere dall’intera società italiana e la sua sconfitta fu ottenuta proprio grazie a questo: nei risultati delle elezioni politiche del giugno 1953, tutti i partiti che avevano promosso la legge persero voti (in particolare la DC, che ebbe un crollo di più dell’8%) e il premio di maggioranza non scattò; la legge stessa venne infine abrogata l’anno successivo.