di Antonio Gramsci *
Ricordo il giovanetto pallido, bruno, dagli occhi vivacissimi che conobbi anni fa dopo i primi contatti con i giovani del movimento giovanile nostro. Uscivamo spesso in gruppo dalle riunioni di partito circondando quegli che era un nostro leader, attraversando le strade della città ormai silenziosa, mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci perché, dimentichi di noi stessi, con gli animi ancora gonfi di passione, continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell’impossibile e del sogno.
Tra di noi era Gavosto, sempre serio, che partecipava alla discussione con interruzioni, fatte con la sua voce profonda, e con sorrisi, con incroci di occhiate che scendevano fin nel profondo e facevano intravedere quanto vivo fosse in lui l’interesse, e l’energia della sua volontà.
In seguito lo si è conosciuto di più, più intimamente, e lo si vedeva crescere sempre conservando lo stesso carattere, la stessa dirittura. Con che sorrisi aperti accoglieva gli amici, nelle sue strette di mano, nell’espressione degli occhi nobilissimi si sentiva sempre qualche sottinteso affettuoso, ma più di tutto la confidenza che dava l’essere compagni, il sentire che si aveva la stessa passione, che l’idea dominante era quella, e per gli uni e per gli altri sempre presente, che assillava il nostro ingegno, che ci faceva dividere il mondo in due parti d’amici o d’avversari, come gli uni e gli altri.
Questa intimità era la nostra forza, quella che spesso fece dei giovani il pungolo perché fosse dato al partito un indirizzo piuttosto che un altro, e li rendeva consci che in loro era l’avvenire, la perfetta fusione fra il vecchio socialismo un po’ misoneista cioè che avversa le novità, senza slanci arditi, che andava perdendo gran parte del contatto con la moltitudine proletaria, e il nuovo, pieno di energia morale e rivoluzionaria, in cui non c’era un partito e un proletariato, ma l’uno e l’altro formavano un solo fascio scagliato con mano ferma verso una meta che in certi momenti credemmo così vicina e imminente.
Gavosto era un testimonio e un attore di quelle nostre speranze, di quei nostri propositi, e ora è sparito per sempre, senza che riusciamo a cancellare dalla pupilla il fantasma del suo corpo di giovane lavoratore, e dei suoi occhi di giovane che studia e che pensa, specialmente che sente.
* “Il Grido del Popolo”, 22 gennaio 1916