Lo staff di iskrae vi propone l‘intervista a Raimondo Etro su alcuni aspetti poco chiari del sequestro dell’onorevole Aldo Moro il 16 marzo 1978.
Sono quasi quaranta gli anni che ci separano dalla strage di via Fani. Nonostante ciò, su questo fondamentale evento della storia repubblicana, si fronteggiano almeno due scuole di pensiero: quella dei cosiddetti “retroscenisti” e quella di chi, al contrario, sostiene che sul caso Moro si sappia ormai tutto. Tu a quale dei due schieramenti ti senti più vicino?
Personalmente mi sento più vicino alla posizione dell’ex senatore del Pci, Sergio Flamigni, e a quella di Carlo D’Adamo, autore del libro “Chi ha ammazzato l’agente Iozzino”. Si tratta di un testo molto ben documentato, che lascia poco spazio ai dubbi e alle teorie. D’Adamo è stato uno dei primi a scoprire alcune cose che non tornavano nella scena del rapimento in via Fani: per esempio la famosa Austin Morris, l’auto che compare in tutte le foto della strage, alla destra della 130 di Moro. Dalle sue ricerche è risultata appartenere a una società di comodo legata ai servizi segreti. Poi c’era un’altra auto, una Mini Minor, parcheggiata sul lato opposto della strada, risultata intestata a un personaggio che aveva fatto parte della Decima Mas. C’è anche un ex militante di Gladio, che abitava proprio sopra il bar Olivetti (di fronte al quale si appostò il commando brigatista): lo stesso bar è risultato allora di proprietà dell’Enpaf, l’ente dei farmacisti, nel quale ritroviamo personaggi molto strani. Non parliamo poi di altre questioni, come quella della ormai famosa moto Honda: il passaggio di questa motocicletta in concomitanza con la strage è stato negato da tutti i Br. Però poi c’è l’ex brigatista Paolo Persichetti che, nel 2013-14 mi indica, sul sito Contropiano.org, come la persona che per prima avrebbe fatto i nomi di Giuseppe Biancucci e Roberta Angelotti, due compagni di Roma Nord, conosciuti come “Peppe e Peppa”.
Persichetti e tutti gli ex Br, quindi, prima negano l’esistenza di “strane” presenze in via Fani, poi mi indicano, in un articolo pubblicato su Contropiano.org, come quello che avrebbe fatto agli inquirenti il nome dei due sulla Honda: appunto Peppe e Peppa, che poi avrebbero fatto pure “ciao, ciao con la manina”. La cosa è totalmente falsa. Sostengono poi che Peppe e Peppa sarebbero passati casualmente in via Fani, perché finivano il turno di lavoro presso il garage del padre di uno di loro in via Stresa; riconoscendo alcuni militanti delle Br già appostati in via Fani per l’agguato, avrebbero quindi fatto finta di niente proseguendo la loro corsa. Tutto questo è totalmente falso, da ogni punto di vista. L’ipotesi che sulla famosa moto potessero esserci Peppe e Peppa venne fatta da alcuni agenti della Digos, nel 1998: videro che i due abitavano lì in zona (o comunque il padre di uno dei due aveva un’attività nelle vicinanze) e sulla base di questi elementi si ipotizzò che quelli passati con la moto in via Fani potessero essere per l’appunto Peppe e Peppa. L’ipotesi poteva anche essere credibile, ma ci sono degli elementi da considerare: i due non avevano niente a che fare con le Br, che io sappia. Inoltre che uno dei due esca dal garage del padre e spari un colpo contro il motorino dell’ingegner Marini è un qualcosa di totalmente incredibile. Cioè, non è credibile che personaggi non appartenenti alle Br, non facenti parte dell’azione, che si limitavano a fare la loro vita normale, uscissero armati e si mettessero a sparare.
Persichetti e altri sostengono non che Peppe e Peppa abbiano sparato contro l’ingegner Marini, ma che siano passati in moto per via Fani, poco prima dell’agguato, riconoscendo qualcuno del commando, forse Morucci, salvo poi tirare diritto senza, ovviamente, avvisare la polizia su quello che avevano visto.
Se tu hai letto le conclusioni di Ciampoli, l’anno scorso, prima di andare in pensione, quelle cento pagine che ricostruiscono la dinamica di via Fani, praticamente chiudendo il sipario sulle dichiarazioni dell’ispettore Rossi, vedrai che si arrivano a contare fino a venticinque, ventisei persone sulla scena dell’agguato. Ciampoli chiama, per la prima volta, a testimoniare Peppa (Peppe è morto di infarto alcuni anni fa): Peppa si è rifiutata di rispondere alle domande. Ha detto soltanto che non c’entrava nulla con la moto. In ogni caso, Persichetti, e tutto il gruppo di Contropiano.org, sostengono che i due si siano presentati a testimoniare davanti al giudice Marini. Quando io lessi questa cosa, mi sembrò una grossa scemenza perché il procuratore generale, che ha fatto della moto il suo cavallo di battaglia, se fosse stata vera una cosa del genere la avrebbe immediatamente pubblicizzata, dicendo che quei due si erano presentati spontaneamente e che il problema della moto era ormai stato risolto.
Invece, Marini continua a battere sulla moto perché non ritiene la questione risolta. In realtà Peppe e Peppa non si sono mai presentati: Marini non li ha mai convocati, ma sono stati convocati per la prima volta da Ciampoli. Nemmeno l’ultimo libro di Stefania Limiti, “Complici”, serve a far chiarezza. Che un “patto” sia esistito lo disse il secondo presidente della Commissione stragi, Pellegrino: secondo lui ci sarebbe stato un “patto” ad alto livello tra vertici delle Br e vertici della Dc, dei Carabinieri, dello Stato. Questa mi sembra una cosa abbastanza chiara anche se non “scientificamente” provata. I primi magistrati, ovvero Sica, Imposimato, Priore, Marini e Ionta, le indagini sugli elementi poco chiari dell’attentato di via Fani non le hanno neanche iniziate; non hanno fatto mai nessuna indagine sulla presenza della Austin Morris e della Mini. Io sono stato chiamato recentemente da Marini: ha fatto questa “sceneggiata” di richiamare gli ex Br, che comunque avevano partecipato direttamente e indirettamente al rapimento Moro. In realtà, quando io ho provato a parlare di questi argomenti, lui mi ha bloccato adducendo come ragione che le cose di cui volevo parlare (gli aspetti oscuri della strage di via Fani) non erano dimostrate o dimostrabili.
Con Marini intendevi parlare della Austin Morris?
Sì, intendevo parlare di quella e della Mini intestata a un ex della Decima Mas, dei bossoli, appartenenti a un’arma sconosciuta, coperti da una pellicola protettiva simile a quella utilizzata nel munizionamento tipico delle forze speciali. Intendevo anche discutere della dinamica della sparatoria: le perizie smentiscono le versioni di Morucci, Savasta e Moretti. Da quello che io vedo, ho notato e letto, c’è una specie di patto che è nato tra Morucci (personaggio che io reputo spregevole), Cossiga e altri settori dello Stato. Oltretutto c’è da dire un’altra cosa: nel 1986, nel carcere di Paliano, Valerio Morucci incontra Remigio Cavedon, allora vice direttore del Popolo (il quotidiano della Dc): si incontrano quasi quotidianamente e formano questo “memoriale Morucci”, che praticamente è diventato la versione brigatista, quella “approvata” da tutti, secondo cui in via Fani c’erano le Br e basta. Questo memoriale viene redatto nel 1986, consegnato da Remigio Cavedon, attraverso una suora, a Cossiga e diffuso soltanto nel 1990 rimanendo ben quattro anni nelle mani della Dc, o comunque, per essere più chiari, in quelle di Cossiga. Ora, in quegli anni, guarda un po’, maturano tutti i vari benefici a vantaggio dei brigatisti e nello stesso tempo c’è la scomparsa del memoriale Moro che non è mai stato trovato integralmente. Vorrei sottolineare come su questo nessuno abbia mai dato spiegazioni vere, serie, credibili Bonisoli e Azzolini, che nel 1978 erano nel covo in via Monte Nevoso, dove fu trovata una prima parte del memoriale presa in consegna da tre carabinieri che hanno poi fatto una carriera strepitosa. Uno, che addirittura era appuntato, diventerà un pezzo grosso del Sismi.
Nel 1990 viene ritrovata la seconda parte del memoriale Moro: non gli originali, che alcuni Br hanno sicuramente letto. Nonostante le intenzioni iniziali, secondo le quali tutto sarebbe stato rivelato al popolo, i risultati dell’interrogatorio di Moro non sono stati diffusi neanche agli stessi militanti Br. Quando osai chiedere che cosa Moro stesse dicendo, venni aggredito. Anche a me fu detto che il motivo per cui si andava a prendere Moro era dato dal fatto che si volevano sapere i segreti relativi alla strategia della tensione, piazza Fontana, le stragi fasciste, i responsabili dei tentativi di golpe negli anni 70, e di tutta una serie di altre questioni che non sono state più nemmeno affrontate all’interno delle Br o perlomeno tra militanti. Insomma, venni aggredito. Non fisicamente. Chiesi però ad Adriana Faranda che cosa Moro stesse dicendo e domandai se avevamo, quindi, ammazzato i cinque uomini delle scorta per niente. E lì successe una specie di rissa, dalla quale io mi ritirai perché non c’erano più margini di discussione.
Chi era presente a quella discussione?
Io, Faranda e forse Morucci, perché è successo nel periodo in cui facevo da prestanome per l’appartamento di via dei Savorelli a Faranda e Morucci. Sì era in quel periodo. Quindi dopo che Moro era già stato ucciso. Io fui incaricato nel ‘77 di fare l’inchiesta sulla chiesa di Santa Chiara perché Moro bisognava prenderlo, secondo l’originario progetto, immobilizzando gli uomini della scorta per poi eventualmente trattare. A un certo punto, dopo tre mesi, tre mesi e mezzo, che io faccio questa inchiesta (e una pianta molto dettagliata della chiesa di Santa Chiara), arriva Adriana Faranda dicendo che il sequestro non si faceva più lì: vigili urbani, bambini, donne che facevano la spesa e via dicendo. Troppo traffico. Cambia, cioè, sia la zona del rapimento sia il modus operandi da seguire per rapire Moro. Ci si sposta dalla chiesa di Santa Chiara a via Fani. Il 12 gennaio del 1978 (con la presidenza Jimmy Carter e Cyrus Vance segretario di Stato) Kissinger, tramite il dipartimento di Stato americano, dimostrando una incredibile interferenza nella politica italiana, minaccia l’Italia che avrebbe subìto delle ritorsioni se i comunisti fossero davvero entrati nel governo: era la stessa opinione del cancelliere Schmidt, del presidente francese Giscard d’Estaing e del primo ministro inglese di allora. Nello stesso tempo, se non sbaglio era in corso il quinto governo Andreotti, creato con l’astensionismo del Pci: in quel periodo la Dc governava e il Pci si asteneva. Dopo sei mesi dalla nascita di questo governo, Berlinguer va da Andreotti e gli dice: vi abbiamo appoggiati, ma dei punti che avete promesso nel programma di governo non ne avete mantenuti nemmeno uno. Quindi Berlinguer minaccia la crisi, chiedendo che il Pci sia ammesso al governo.
Nello stesso momento in cui c’è la minaccia di Kissinger, e la minaccia di Berlinguer, di creare una crisi di governo, le Br decidono di sequestrare Moro non più in maniera incruenta, ma appunto eliminando la scorta. E quando si fa questa scelta Gallinari, disse a tutti, e disse a me: “Faremo così tanti morti che lo Stato non tratterà mai”. Di conseguenza, in un primo momento c’è stata l’intenzione di trattare, dopo è successo che qualcosa, o qualcuno, è intervenuto. Che i militanti fossero al corrente di questa cosa io ne dubito fortemente. Però comunque ritengo che Moretti, la cui figura è sempre risultata equivoca, sapesse qualcosa, fosse al corrente di qualcosa. La storia di Moretti è una storia equivoca. In quel momento il problema fondamentale è la Nato. E l’Italia è un Paese a sovranità limitata, nel quale si prospetta la minaccia dell’ingresso di un partito comunista all’interno del governo. Moro capisce che era finita la centralità della Dc. I comunisti non avevano più il pugnale in bocca e non ammazzavano più i bambini. Allora il dialogo che comunque andava avanti da tanto tempo, tra Moro e Berlinguer, viene interrotto bruscamente dalle Br.
Quindi tu sei del tutto convinto che il sequestro si potesse fare in piazza dei Giochi Delfici e non in via Fani?
Sicuramente. Se ci fosse stata la volontà di trattare, si sarebbe potuto fare lì. Inoltre, la presenza della Austin Morris, la presenza di Guglielmi… Un caso può anche starci, due forse. Ma quando i “casi” cominciano a essere troppi, sorge qualche legittimo sospetto.
Per quanto riguarda la Austin Morris, che idea ti sei fatto?
Le Br la sera prima bucano le gomme del furgone di Spiriticchio, il fioraio di via Fani, per poi trovarsi con una macchina posteggiata dalla sera prima, che gli serve come protezione per sparare.
Il furgone di Spiriticchio stazionava solitamente al posto della Austin Morris?
Praticamente lì, a pochi metri di distanza. E poi mi chiedo: come hanno fatto le Br a sapere che Moro sarebbe passato esattamente di là, in via Fani? Io seppi da Alessio Casimirri che il rapimento sarebbe stato fatto il 16 marzo: lo seppi il 14 marzo, due giorni prima, essendo ormai escluso dall’azione. Morucci dice che invece è stato deciso soltanto il giorno prima, ovvero il 15. Quindi mente. Anche su questo. Nella prima Commissione stragi, il responsabile delle scorte dice che il percorso di Moro era uno soltanto. Cioè che doveva passare solo in via Fani. In realtà non era vero. Dice poi che il secondo percorso sarebbe stato usato soltanto in caso di problemi di traffico, manifestazioni, incidenti. In realtà, il percorso di Moro, quella mattina, non era affatto logico per andare in Parlamento. Sarebbe dovuto passare per quella che oggi viene chiamata piazza Walter Rossi, che era la piazza Igea se non sbaglio. Il senatore Flamigni ha chiesto al Viminale, dal momento della apertura della prima Commissione stragi, i brogliacci del percorso della scorta di Moro. Il Viminale si è sempre rifiutato di consegnarli. Pare siano spariti. Allora niente di più facile che quella mattina, con la macchina che stava andando da un’altra parte, sia arrivata una “indicazione” di passare per via Fani. Diversamente tutta questa sicurezza che Moro sarebbe passato da via Fani, quella mattina, in quel giorno, io non so da che cosa provenisse. E’ assolutamente falso che i percorsi fossero “fissi”.
Non si è mai vista, in effetti, una scorta che segua sempre lo stesso percorso.
Per quei tempi era anche una scorta abbastanza pesante. E poi che otto uomini male armati e male addestrati, ai quali si inceppano quattro mitra, riescano a sopraffare una scorta di cinque uomini comunque armati e addestrati… Va bene tutto, però le testimonianze e le ricostruzioni dei periti sono in contraddizione con la vulgata di Morucci, Savasta e Moretti. Tutti i pentiti, dissociati e irriducibili sono, su questo aspetto, sulla stessa linea.
Quindi tu ritieni improbabile che siano stati solo in nove (escludendo Rita Algranati) quella mattina, in via Fani?
Sicuramente erano di più. Carlo D’Adamo fa una ricostruzione militare della zona, basandosi sul libro di Edward Luttwak “Tecnica del colpo di Stato”. Che le Br sapessero, o lo sapessero solo uno o due, io non lo posso dire. Ma è chiaro che l’attacco è stato preparato in maniera militare, non da quattro scemi che si esercitano in un villino di Velletri senza armi e dopodiché mettono in azione un piano del genere. Oltretutto dopo che si inceppano quattro armi. Quindi è del tutto incredibile la loro versione. Il problema è che adesso, dopo tanti anni, dato che la questione non è stata ancora chiusa, potrebbero esserci delle indicazioni a non fare indagini su certe direzioni. E poi l’ingegner Marini, uno dei testimoni, minacciato e costretto ad abbandonare l’Italia, al quale avevano sparato… Adesso smentiscono, dicendo che il parabrezza se l’era rotto da solo.
Questa è la tesi di Persichetti.
E’ evidente, perché loro devono per forza negare che lì ci fosse qualcun altro. Da un certo punto di vista ci sono due versioni. Limiti e Provvisionato dicono: “Sì, qualcosa forse c’era. Forse i servizi”. Poi c’è la tesi di Casamassima e Armeni, secondo cui è tutto chiaro: c’erano solo le Br. Comunque all’interno di queste nuove versioni c’è il tentativo di riattualizzare il “patto”. Il vecchio patto, infatti, inizia a cedere sotto i colpi delle ricostruzioni di Flamigni e D’Adamo. Quindi c’è un tentativo di “riattualizzazione”: ma questa volta, non con il benestare della Dc ma del Pd. Lo stesso Gero Grassi non è interessato all’accertamento della verità, sta facendo campagna elettorale.
Quindi tu credi poco al lavoro di questa Commissione di inchiesta.
Non ci credo per nulla. Stanno chiamando persone che manco erano nate. Che non sanno niente. La deposizione di Flamigni non è stata valorizzata. Marini, il procuratore generale, si è presentato e ha detto una marea di sciocchezze. Me ne sono reso conto quando sono stato chiamato e ho provato a porre dei quesiti. Lui mi disse che cercavano la moto e basta
Quando sei stato interrogato da Marini?
Da Marini tre mesi fa, circa. Mentre Ciampoli mi interrogò nel marzo-maggio 2014, tirando fuori delle conclusioni attendibili. Tra l’altro chiese la rogatoria per Steve Pieczenik, il consulente americano, che venne qui per fare un lavoro e ne fece un altro. Cioè fece l’opposto di quello che avrebbe dovuto normalmente fare un incaricato di un servizio di sicurezza: invece di salvare la vita di Moro è venuto qua per assicurarsi che Moro non ne uscisse vivo. Quindi c’è questa complicità ad alti livelli che nasce sicuramente da una esigenza della NATO, gestita da Gladio, da settori dei Servizi, dai vertici dei Carabinieri, dalla destra democristiana e soprattutto dai brigatisti, da alcuni brigatisti.
Tu sei convinto che ci sia stato un “apporto” di Gladio e della Nato in via Fani?
Per quello che è il mio pensiero, parere, io sono certo che non siano state le Br a rapire Moro. Cioè, mi spiego: c’erano anche loro, ma era una cosa più grossa di loro e comunque sarebbe stato impossibile per una organizzazione come quella tenere segreta una operazione del genere perché, come dice Franceschini, le Br sono state infiltrate dall’inizio fino al 1974. Quando poi furono arrestati Franceschini e Curcio, Moretti sfugge all’arresto e diventa il capo delle Br: ed è qui che le Br cambiano strada perché prima facevano politica, anche se in maniera violenta né condivisibile, ma con Moretti il loro disegno è quello di uccidere e basta. Non c’è più politica con Moretti. Al punto che il sequestro Moro, oltre a tutti i dubbi che ha suscitato e suscita ancora, ha avuto due risultati: il primo è stato quello di distruggere completamente il movimento della sinistra. Il movimento della sinistra, dal momento del rapimento di Moro, non esiste più. Distrutto. Il secondo risultato è stato quello di impedire che la politica italiana prendesse una strada che fosse diversa da quella che ci ha portato a Berlusconi e Renzi. Quindi sono, siamo, colpevoli due volte. Mi ci metto anch’io. Aver contribuito a distruggere il movimento della sinistra e impedire che l’Italia prendesse una strada diversa, che poi l’avrebbe portata a essere una democrazia come quelle europee.
Quando dici “distruggere la sinistra” intendi quello che c’era alla sinistra del Pci?
Morto Moro il compromesso storico non lo porta avanti nessuno. Io parlo del movimento del ‘77, che nasce nel ‘68, e conteneva tanti aspetti: quello violento, non violento, l’aspetto anarchico, c’erano gli hippy, c’erano gli indiani metropolitani. C’era comunque tutta quella cultura alternativa che avrebbe potuto conoscere uno sviluppo futuro, che con il sequestro Moro fu completamente bloccato. Con il sequestro Moro non si fanno più manifestazioni, non si fa più nulla. C’è un ritorno al privato. C’era comunque una “riproducibilità” di azioni violente da parte del movimento, ma quando tu fai un’azione come quella del rapimento Moro, con il massacro di tutta la scorta, il movimento, che è fatto da semplici militanti, che parlano di tante cose – liberazione dal lavoro, liberazione dai pericoli della destra, di un sistema comunque democratico, realmente democratico, come quello che c’è negli altri Paesi – viene spazzato via. Se vai a vedere negli altri Paesi in cui ci sono state esperienze di lotta armata, come in Germania, con la RAF, questi dubbi non se li sono mai posti. Con la RAF, che ha fatto azioni anche più brutali rispetto a quelle delle Br, il problema della infiltrazione non si è mai posto.
Ma la RAF era infiltrata. Flamigni nel suo libro sostiene che era infiltrata ai vertici soprattutto dal Mossad.
La RAF sarà stata infiltrata, però a quaranta anni di distanza dall’omicidio di Hanns-Martin Schleyer non stanno a discutere di quello che è successo. Nel senso che i tedeschi ci sono andati con la mano pesante con la RAF, ma il problema l’hanno risolto. Noi qui stiamo parlando ancora di una tanto invocata pacificazione, ma in realtà con quella petizione che io ho firmato sapevo benissimo quello che sarebbe successo. Io sono in contatto con alcuni parenti delle vittime, non tutti la pensano nello stesso modo. Ma fintantoché i miei compagni continueranno a stare con il coltello in bocca e a sparare cazzate e a esaltare cose come il libro di Armeni, privo di ogni fondamento, non ci sarà niente da fare. Lo hanno fatto diventare subito uno dei loro, Armeni. E lo stesso Manlio Castronuovo: sembrava chissà che cosa e oggi dice che la Austin Morris era casuale, che Guglielmi era casuale. Tutto casuale. Se tutto era casuale, che cosa scrivete a fare?
A proposito di Castronuovo, che tu hai appena citato, cosa pensi del cosiddetto “killer” di via Fani? Castronuovo è piuttosto scettico sul punto.
Io non ti posso dire se ci fosse o meno. I bossoli ritrovati, quelli ricoperti da una pellicola protettiva funzionale a una lunga conservazione, in dotazione solo alle forze speciali, fanno pensare comunque che qualcun altro possa aver sparato. Cioè, quei colpi vengono fuori da un’unica arma e nessuno di quelli che hanno partecipato era in grado… Bonisoli, per dire, si è preso la responsabilità di aver sparato a Iozzino. In realtà è stato Casimirri a sparare a Iozzino. Casimirri mi disse che si erano inceppate talmente tante armi che dovettero intervenire lui e Lojacono, entrambi di copertura. Quindi ci sono una serie di dati che non quadrano. Io ti posso dire che credo fermamente possa esserci stata la mano della NATO nel sequestro Moro. Questo è un discorso. Però non ti posso dare dei particolari militari. Non è la stessa cosa. Queste cose non le conosco.
Quando ti riferisci alle “forze speciali”, relativamente ai proiettili, che cosa intendi?
Gladio. Guglielmi. Qualcuno lì sicuramente li ha aiutati. Perché quei quattro che hanno sparato non erano in grado di portare a termine l’operazione. E poi anche le ricostruzioni… Leonardi colpito… Le ricostruzioni non combaciano con la versione che poi è stata fatta da tutti perché ovviamente le Br non potranno mai riconoscere di essere state manovrate, strumentalizzate. Loro devono mantenere, che siano pentiti, che siano dissociati, che siano irriducibili, una purezza rivoluzionaria e comunista. Purtroppo loro non parlano perché sono bloccati da questa cosa.
Perché Bonisoli si è preso la responsabilità di aver ucciso Iozzino, secondo te?
Probabilmente non lo sa nemmeno lui. Io, di certo, non lo so. La ricostruzione del 16 mattina, fa acqua da tutte le parti. E questo potrebbe essere un semplice equivoco. Alessio Casimirri mi disse che era stato lui a sparare a Pietro Ollanu, durante l’assalto a piazza Nicosia, così come mi disse che erano stati costretti a intervenire in via Fani perché ci fu un agente che uscì dalla macchina, strillando come un’aquila, che provò a reagire. Che cosa poi abbia fatto Alvaro Lojacono io, sinceramente, non gliel’ho chiesto né è venuto fuori. Ma io penso che sia intervenuto anche lui. Poi c’è Mario Moretti, altro particolare sul quale ho riflettuto. Era il capo di un’organizzazione armata di estrema sinistra, che non esce dalla macchina e non spara nemmeno un colpo. E’ una cosa che mi fa pensare, mi fa riflettere. E oltretutto vedendo la ricostruzione che fa D’Adamo sul suo libro, basandosi su documenti del PRA e della Camera di commercio. La Austin Morris che viene messa lì la sera. Ricordo che era stata acquistata un mese prima dai servizi, questa Austin Morris… Non ti dico nulla di nuovo. Poi viene rivenduta, dopo una settimana, la macchina di quell’altro della Decima MAS, la Mini. Il passaggio della macchina di Moro e i brogliacci del Viminale mai consegnati. Ci sono troppe cose da spiegare. Ci sono state diverse “casualità”, che vanno contro la logica.
Tu sei stato il cosiddetto “armiere”, perché hai custodito le armi usate in via Fani per qualche giorno.
Sì, ebbi le armi in consegna per qualche giorno dopo il rapimento. Dieci, dodici giorni. Poi le dovetti riconsegnare perché erano venuti i ladri in casa mia e c’era il pericolo che… Erano in un mobiletto nella mia stanza.
Queste armi che provenienza avevano? Erano dei residuati bellici?
Praticamente le armi erano quelle di cui parla Morucci nel memoriale. C’era la Skorpion, un fucile Garand (uno di quelli in dotazione agli americani durante la seconda guerra mondiale), c’era un mitra, sai io non sono molto esperto, a canna lunga, bucato, lo stesso che aveva usato Lojacono quando faceva la copertura durante l’omicidio di Palma, c’era un altro mitra dello stesso tipo, però di color beige, sempre a canna lunga… Poi c’erano delle pistole. Ma sinceramente io non sono un esperto di armi. Ci diedi una occhiata veloce, ma non è che mi soffermai e aprii la borsa. Non era pratica usuale star lì a curiosare.
Le armi sono state recuperate dagli inquirenti?
Le armi sono state recuperate, credo, tutte. Credo di sì. Probabilmente quando furono arrestati Morucci e Faranda. C’è un AK 47: ricordo che era un’arma molto grossa, pesante. La vidi una volta quando facevo da prestanome in via dei Savorelli. E una volta chiesi a Morucci che arma fosse: e lui mi disse che era l’arma che usavano i vietnamiti. Di questa arma mi sono chiesto che fine abbia fatto. Potrebbe anche essere che quel mitra di cui parlo, a canna lunga, nera, bucata, fosse un AK 47… Ma sinceramente non sarei in grado di valutare.
Tu conoscevi sia Casimirri che Lojacono, che oltretutto ha cambiato cognome. Entrambi di Roma. Che tipi erano?
Lojacono era il tipico pariolino di Potere Operaio. Uno di buona famiglia che girava armato. Partecipava a scorribande della estrema sinistra. Era il modo di fare di Potere Operaio tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70. E poi lui era uno di quelli che spararono a Miki Mantakas. Fu condannato per questo. Alessio Casimirri l’ho frequentato fino al momento della fuga in Nicaragua. L’ho conosciuto nel 1974.
E’ vero che il padre di Casimirri era amico del generale Santovito?
Praticamente Santovito stava tutte le sere a cena dal padre di Casimirri. Alessio di politico aveva molto poco. Non era una persona con la quale fare un dibattito politico, come invece si poteva con Gallinari, Morucci e Faranda. Era un operativo. Uno come Lojacono, interessato solo all’azione. Se avesse fatto parte dei Nar, invece che delle Br, non me ne sarei affatto sorpreso.
Ritieni che Lojacono e Casimirri avessero una preparazione militare?
Casimirri era sempre stato interessato alle armi, aveva una serie di pubblicazioni… Ma non sicuramente una preparazione maggiore della nostra. Io in quel tempo ero addirittura iscritto al poligono di tiro, nel quale, se non hai il porto d’armi, puoi sparare al massimo con la calibro 22. Altrimenti andavamo in una spiaggetta, verso punta Quaglia, sull’Aurelia, dove praticamente provavamo alcune pistole, una calibro 9, una calibro 22; avevamo anche un fucile a canne mozze, con le quali ci esercitavamo in maniera approssimativa perché c’era sempre il rischio che passasse qualcuno o che qualcuno sentisse i colpi. Quindi non c’è mai stato un vero e proprio addestramento militare.
Quindi, sotto questo aspetto, sulla mancanza di addestramento militare dei militanti Br, ha ragione Moretti. Non ti senti di avallare le ipotesi di addestramento all’estero che in vari momenti sono state fatte?
Per quanto riguarda Casimirri, per dire, mi sento di escluderlo perché sono stato in contatto con lui tanto tempo. A meno che questo addestramento non risalisse alla militanza in Potere Operaio, perché la maggior parte dei militanti di Roma, quasi tutti, a parte me e altri due, provenivano tutti dai ranghi di PO. Infatti si conoscevano personalmente.
Il tuo ingresso nelle Br com’è maturato?
Io ho iniziato a militare nella sinistra extraparlamentare nel 1971, all’interno dell’Unione dei comunisti italiani marxisti leninisti, il famoso Uci, “Servire il popolo”, poi all’interno del liceo Magnani che frequentavo, poi sono entrato in un’organizzazione che si chiamava “Viva il comunismo” che aveva la sua base dentro il liceo. Ma aveva anche delle sedi a Roma. Comunque era una struttura poco ramificata. Poi entrai nella Autonomia Operaia, anzi entrammo in molti, perché frequentavamo il cosiddetto Comitato proletario zona Nord di Primavalle, nel quale c’erano Casimirri, Algranati, Peppo e Peppa, c’erano i portantini del Policlinico, perfino il figlio di Nino Galloni… C’era parecchia gente, con diverse provenienze. I primi a staccarsi fummo Casimirri, Algranati e io: formammo una struttura armata, piccola struttura armata di cinque o sei persone; non eravamo ancora le Br, ma comunque ci muovevamo già sul terreno della lotta armata e facevamo delle piccole azioni: soprattutto incendi di auto, picchiare i fascisti e inchieste su magistrati e altro. Casimirri ebbe poi un contatto con le Br, ci fu una riunione a Roma, fine del ‘75 e primi del ‘76, nel quale lui ci comunicò che era entrato nelle Br e chiedeva a noi, che eravamo quattro o cinque di questa struttura, se volevamo fare ingresso nell’organizzazione. Io fui l’unico, assieme a Rita Algranati, a fare questa scelta. Gli altri si tirarono fuori. Salvo poi fare un futuro ingresso negli anni successivi.
Rita Algranati era la moglie di Casimirri. Tu hai saputo in anticipo che Casimirri e Algranati stavano preparando la fuga in Nicaragua?
Noi siamo andati insieme in Francia, anno 1982, e lì si creò un grosso conflitto, perché io mi ero distaccato completamente. Ovvero: dopo l’uscita dalle Br mi ero distaccato completamente da qualunque tipo di ideologia e dovevo cominciare a pensare al mio futuro. Dato che la Francia teneva solo chi aveva compiuto reati di partecipazione, ma non chi si fosse macchiato di reati di sangue: Casimirri e Algranati tentarono in tutti i modi di farmi andare via con loro. Non ci riuscirono. E lì ci fu un conflitto. Io e altri militanti fummo anche perseguitati. Eravamo all’interno di questa “latitanza precauzionale”: addirittura ricercati, perché avevano paura che io tornassi e potessi parlare, dato che avevo comunque partecipato alla preparazione del sequestro Moro ed ero a conoscenza di quasi tutti i militanti che avevano avuto un ruolo. Insomma, avevano paura che io potessi… Nel caso mi avessero arrestato. E’ stato un allontanamento precauzionale dall’Italia, perché Rita e Alessio erano già stati chiamati in causa da uno che aveva partecipato all’uccisione di Tartaglione, di cui non ricordo il nome. E poi Savasta, che era amico di Rita e Alessio, ci diede comunque tempo di allontanarci: Savasta ha fatto arrestare trecento persone, le dichiarazioni le ha diluite nel tempo secondo il suo interesse, secondo quello che pensava… Non so che cosa gli sia frullato in testa. Fatto sta che a noi la fuga fu proposta da Antonio Bellavita, l’ex direttore di Controinformazione, condannato a sette anni, rifugiato in Francia. Ci prospettò due opzioni: quella di andare in Nicaragua, che io rifiutati assolutamente, e quella, utilizzando canali non ufficiali, di essere ospitati da un Paese arabo (Siria, Iraq, Algeria). Ovviamente c’era il discorso in base al quale nessuno ti prende gratis: e quindi c’era la grossa probabilità che prima o poi ti chiedessero indietro il favore. Per questo io rifiutai entrambe le ipotesi.
Questa della “latitanza precauzionale” era una prassi propria delle Br? Una prassi seguita all’interno dell’organizzazione e non facilitata da interventi esterni o istituzionali?
Il Nicaragua era un caso a parte, perché avevano vinto i sandinisti. Alessio e Rita andarono di persona all’ambasciata di Parigi, del Nicaragua, dicendo a chiare lettere di essere dei militanti delle Br e chiedendo ospitalità. Chiesero se c’era la possibilità di ottenere ospitalità. Ovviamente le persone con cui parlarono risposero che il Nicaragua non poteva accettarli ufficialmente e approvare il loro ingresso attraverso canali ufficiali. Però se loro fossero riusciti a entrare in Nicaragua con i loro mezzi, non sarebbero stati estradati. Cosa che per Casimirri si è rivelata vera, meno per Rita Algranati. E infatti anche questo è un mistero: che cosa abbia fatto Rita Algranati in oltre 20 anni di latitanza, dal 1982. Tra l’altro c’era questa voce che Casimirri avesse salvato la vita al figlio di Ortega. Perché lui era (è) un bravissimo subacqueo. Poi non so che cosa sia successo lì, perché io mi sono tirato fuori completamente dai giochi, negli anni 80. Poi c’è stato quell’incontro misterioso con due agenti del SISDE, in Nicaragua, che fu una specie di barzelletta. Le deposizioni di questi due agenti al processo Moro-quinquies furono una barzelletta, soprattutto quella di Fabbri. Praticamente fanno di tutto per scagionare Maccari dall’essere il quarto uomo di via Montalcini e accusano uno che non c’entrava nulla: Francesco Morbioli. E poi c’è dietro un gioco sporco perché si parla di un miliardo e trecento milioni di lire. Io ho anche una convinzione, derivante dalla lettura di quei verbali, che giuridicamente non avevano alcun valore, perché non mi avrebbero certamente arrestato in base alle dichiarazioni di un latitante fatte al SISDE, io sono stato arrestato in base alle dichiarazioni di Morucci. Però io ho l’impressione che quei verbali non siano tutti frutto delle dichiarazioni di Casimirri, ma che ci sia, come in tante cose, dopo il sequestro Moro, dopo l’arresto e la nascita del movimento della dissociazione, lo zampino di Valerio Morucci che, comunque, è attualmente un personaggio molto equivoco.
Negli anni 80 hai avuto problemi con la giustizia?
Sì, sono stato arrestato nel ‘85 perché nell’82 Savasta, e la moglie di allora, la Libèra, fecero delle dichiarazioni. Però non conoscevano il mio nome. Soprattutto lei, perché lui non è venuto nemmeno a testimoniare. Praticamente lei diede delle indicazioni (che ero partito per fare il servizio militare nell’ottobre ‘79, abitavo nel quartiere della Vittoria, avevo fatto un corso della scuola Radio Elettra) in base alle quali la DIGOS, dopo un paio d’anni di indagini, era arrivata a me.
Hai dichiarato subito la tua appartenenza alle Br?
Nel 1985, sia io che il mio coimputato, abbiamo confessato di aver fatto parte delle Br; però nell’85 non dissi nient’altro. Dissi che avevo fatto da prestanome per la casa di via dei Savorelli, che ero entrato nelle Br dopo il sequestro Moro, e me la cavai con un anno e pochi mesi di carcere. Poi nel ‘93, in concomitanza con le dichiarazioni di Casimirri al SISDE, e la testimonianza contro di me di Valerio Morucci al processo Moro-ter, io ovviamente vengo individuato. Abitavo in Thailandia e mi sono costituito.
Quindi ti sei costituito, non sono venuti a prenderti. Perché sulla stampa di allora era uscita questa storia che fossero venuti a prenderti sull’uscio di casa.
No, assolutamente. Non mi sono costituito in senso tecnico. Sono tornato. Ero sposato con una donna, avevo un figlio di un anno e non potevo certo mettermi a fare il latitante. Ho venduto quello che avevo da vendere, ho chiuso la casa, e siamo tornati in tre, il 30 maggio del 1994; l’8 giugno sono stato arrestato ben sapendo che ero seguito. Li vedevo benissimo e sapevo a quello a cui andavo incontro.
Vi siete più rivisti con Morucci dagli anni 70?
Con Morucci c’è stato un incontro molto strano nel 1986. Uscito dal carcere vengo chiamato dalla DIGOS in Questura, a Roma, e mi ritrovo con Morucci e Faranda: erano chiaramente preoccupati. Mi dissero che molti, durante l’arresto, crollano psicologicamente e mi chiedevano se fossi a conoscenza di militanti ancora attivi. Mi chiesero esplicitamente di Casimirri e Algranati, ma il loro vero obiettivo era che io potessi mettere in discussione la versione che loro due costruivano già dal 1979. Mi resi conto, cioè, che questa era la loro vera preoccupazione. Preoccupazione che non aveva ragione di essere, perché fino al 1993 ho fatto la mia vita. Lavoravo. Facevo… Non ho avuto più alcun rapporto né con le Br né con qualsiasi altra organizzazione
Non hai molta stima di Morucci.
Non ho stima di Morucci perché è stato l’artefice di questo patto, con lo Stato. Poi, presenta i suoi libri a Casa Pound. Lavora, non so se ancora lavora, con la rivista “Theorema”, di cui il direttore responsabile è il generale Mori. E’ amico intimo di Valerio Fioravanti. Quindi la stima che io avevo di lui, quando l’ho conosciuto, si è trasformato in disprezzo. E poi c’è anche un altro fatto, sul quale io sto lavorando per conto mio e anche con l’ausilio di alcuni familiari, con Flamigni e altri. Nell’82, Savasta dà l’indicazione a tutti i militanti arrestati di parlare soltanto degli omicidi fatti dalle organizzazioni armate: ovvero Br, Prima Linea, eccetera. Quindi di non parlare degli omicidi fatti dal cosiddetto movimento. Poi c’è la mia dichiarazione del 1998 secondo la quale Morucci avrebbe fatto parte del commando che nel ‘72 ha sparato a Calabresi; io ho saputo soltanto dopo che la stessa cosa l’aveva detta Emilia Libèra nel 1982, ma nessuno fece mai indagini in quel senso. Quando lo disse la Libèra erano passati dieci anni, quando lo dissi io ne erano passati ventisei. Io ho provato a smuovere le acque, già dal 1998, su questo fatto. Sto cercando di capire con persone come Giampaolo Mattei, che è uno dei familiari delle vittime della strage di Primavalle, chi siano gli autori di circa dieci omicidi a Roma, di destra e di sinistra, tra cui quello di Valerio Verbano, sui quali c’è stato l’ordine del silenzio da parte di Savasta, nel 1982, a Paliano. Quando Morucci va a Paliano, secondo una cosiddetta riconciliazione tra pentiti e dissociati, questo patto viene ufficialmente sancito: pentiti e dissociati decidono che ci sono omicidi di serie A e omicidi di serie B. E ci sono famiglie, familiari, che ancora oggi sono in attesa di sapere: non aspettano vendetta, ma verità. Come ad esempio l’omicidio di Zicchieri: Morucci e Maccari furono processati, ma vennero assolti. Soprattutto fu assolto Maccari, il quale, stimolato dall’accusa, stava quasi per ammetterlo. Aveva già ammesso di aver fatto parte della preparazione del sequestro Moro, ma è stato frenato dall’istinto di unità con i vecchi compagni. Si pensi ad Acca Larenzia. Quei ragazzi uccisi con la stessa Skorpion che poi uccise Moro. E lì ci fu un grosso scontro all’interno delle Br: ci fu un dibattito, con Gallinari che era nero per questa cosa. “In prossimità della più grossa azione che le Br abbiano mai progettato voi andate a sparare contro i fascisti”, disse. Fascisti che in quel momento non erano obiettivi prioritari delle Br. E comunque noi fummo convocati a gruppi, perché Gallinari intendeva capire come la pensassero i militanti. Ci sono omicidi a Roma, da parte di ex destra ed ex sinistra, che comunque a Paliano hanno trovato una…
E’ stato sancito questo patto al quale hanno aderito non soltanto i gruppi armati di sinistra, ma anche i Nar. E questa è la cosa veramente disgustosa. E’ più di un anno che cerco di parlare con alcuni pentiti, ma non riesco a farlo. Nessuno sa nulla, nessuno ne parla. C’è un silenzio non solo su questo che è successo tra le Br e lo Stato, ma anche quello che è successo all’interno delle Br. Cosa questa molto importante da tirare fuori, una cosa della quale comunque io non riesco a venire a capo.
Tu stai collaborando con Flamigni, in questo momento?
Sì, diciamo che ci siamo incontrati diverse volte. Lui voleva sapere quello che io potevo dirgli. Ha fatto, nell’ultimo libro, una ricostruzione che secondo me è valida. Abbiamo parlato a lungo. Ha una lucidità a novant’anni, che io non ho a cinquantotto. Si ricordava episodi che io mi ero addirittura dimenticato. Ho riletto i verbali degli interrogatori ed effettivamente ci sono cose che corrispondono a quello che dice lui, tra cui il cambiamento di strategia che io personalmente non ho mai capito, anche se sono stato uno dei primi della colonna romana ad essere inserito nell’inchiesta su Moro. Mi sono sempre chiesto il perché di quei tre-quattro mesi di lavoro sprecati… Nel senso che fui isolato, nonostante fossi attivo nel fronte per fare inchieste su poliziotti, magistrati, politici, giornalisti. Mesi per fare questa cosa che poi un bel giorno, improvvisamente, viene bloccata. Me lo disse Adriana Faranda: “Non serve più, non si fa più”. Io avevo prodotto una piantina millimetrata con tutti i dettagli, le uscite, le entrate, quanti bagni c’erano in tutta la chiesa di Santa Chiara, quante finestre. Un’inchiesta che era durata mesi. A un certo momento mi dissero che non si sarebbe fatta lì perché si era deciso di farla altrove, ovvero in via Fani.
C’è stato un dibattito all’interno delle Br circa la possibilità o meno che lo Stato potesse trattare dopo un’azione così eclatante come quella di via Fani?
La discussione su queste cose avveniva sicuramente a livello di direzione di colonna e nella direzione strategica. Per quanto riguardava militanti come me, irregolari, c’erano degli incontri. Io avevo soprattutto degli incontri molto frequenti con Prospero Gallinari. Lui all’inizio mi fece un discorso politico: si era deciso di prendere Moro perché prendere un capocorrente non avrebbe indotto lo Stato a trattare. Quindi si cercava ancora la trattativa. Poi però, dopo alcune settimane, lui mi disse: “Faremo talmente tanti morti che ovviamente lo Stato non tratterà”. Quindi su questo c’è stato un cambiamento molto brusco. Dicono che fu chiesto a tutti i militanti Br se fossero d’accordo o meno sull’esecuzione di Moro. A me nessuno ha mai chiesto niente. E io non ero l’ultimo là dentro; ero un personaggio minore, messo dentro una grossa operazione, però conoscevo tutti: Moretti, Balzerani, Seghetti. Quando facevamo i preparativi, gli avvistamenti, ci incontravamo tutti. Non ero quello che rubava una macchina senza sapere nemmeno quello che facevo. Però a me nessuno ha mai chiesto se fossi d’accordo o meno sulla possibilità di uccidere Moro. Ovviamente io al tempo avrei risposto di sì. Se ci fosse stata una consultazione, probabilmente nella mia follia, avrei risposto positivamente.
Tu hai avuto modo di conoscere anche Moretti. Che tipo è?
C’era una prevenzione da entrambe le parti. Quando lo incontrai, io venivo dall’attentato al giudice Palma nel quale non avevo sparato. Cioè avrei dovuto sparare, ma non sparai.
Fu Gallinari a uccidere Palma?
Sì. Mi ricordo ancora l’incontro a Ponte Milvio, con Barbara Balzerani. Lei me lo presentò e lui disse “Ah, è quello là”. In maniera dispregiativa. Quando conobbi Gallinari, vidi una specie di eroe che era scappato dal carcere di Treviso per venire a Roma. Lo vedevo come una specie di eroe del comunismo, con queste fantasie da diciasettenne, diciottenne, e quindi come il classico esempio di rivoluzionario comunista. Mario Moretti io non l’ho mai considerato un dirigente, un comunista; non c’era simpatia reciproca perché non c’era dialogo. Quando per esempio Morucci e Faranda andarono via dall’appartamento di via dei Savorelli, vennero a starci Moretti e Balzerani. Con Balzerani si poteva parlare, con Moretti assolutamente no. Mai. Era talmente pieno di sé che probabilmente con i semplici militanti non parlava. Aveva un atteggiamento veramente sprezzante. Poi non mostrava alcuna preparazione politica; con Gallinari si parlava di tutto: si parlava di teoria, cioè le nostre follie, del marxismo leninismo come una teoria scientifica, di Lenin, dei suoi scritti. Lo stesso Morucci, quando entrammo nelle Br, dava l’idea di un intellettuale, di un capo rivoluzionario. Ci spingeva a studiare, a leggere.
Quindi tu nutri qualche dubbio sul livello culturale di Moretti?
Un essere totalmente privo di prestigio. Cioè non era una persona che riconoscevo come un capo, pur essendo io un militante e avendocelo oggettivamente come capo. Non è che potessi dire qualcosa tipo “tu non sei il capo”. Però con Morucci, con Gallinari, anche con altri c’era un dialogo. Con Moretti impossibile.
E quindi la direzione politica dell’operazione Moro, da chi veniva portata avanti vista la pochezza politica di Moretti?
Era l’esecutivo: Moretti, Gallinari, Bonisoli, Azzolini. Anche Bonisoli e Azzolini, da quello che ho sentito, non mi sembrano degli scienziati.
Su Moretti c’era qualche dubbio tra voi, a Roma?
Sinceramente di dubbi io su Moretti non ne ho mai avuti. Ovvero dubbi che potesse essere… Però rimasi colpito da una cosa: prima di uscire dalle Br, Morucci mi fece leggere la lettera di dimissioni sua e della Faranda. Ci fu una lettera nella quale loro dicevano che non si ritenevano più parte delle Br. Mi ricordo che mi colpì molto un passo che diceva: “Le chiese scomunicano gli eretici”. E quindi ebbi una sensazione che ci fosse uno scontro politico. Comunque questo fatto di essere stato a contatto a lungo con Morucci e Faranda mi creò qualche problema; Morucci e Faranda sapendo che io ero “fedele”, tra virgolette, alla linea ortodossa, mi vedevano male e viceversa gli altri, proprio perché ero stato molto tempo con loro. Questi fatti contribuirono a far scemare la mia determinazione. Tanto che feci in modo di non dare degli esami all’università per poter partire a fare il militare. E quella è stata la mia salvezza mentale. Io partii per il militare nel settembre/ottobre del 1979. Durante quei mesi mi resi conto che esisteva un mondo reale, diverso da quello che mi ero costruito io, da quando ero ragazzino, sui libri: il marxismo-leninismo, il maoismo… Queste cose qua. Ebbi modo di cominciare una riflessione che poi portò me e altri… Perché nello stesso periodo, nei primi mesi del 1980, quando si sentiva appena parlare di scissione delle Br in tre parti, ci ritrovammo fuori dalle Br: Alessio Casimirri e Rita Algranati per un certo modo, io per un altro modo ancora, il mio ex coimputato dell’85 e altre tre o quattro persone per conto loro. Ci ritrovammo praticamente a uscire. Io non lo comunicai neanche. Cioè sono sparito dalla circolazione e mi sono completamente defilato.
Insomma, tu hai buon ricordo soprattutto di Gallinari per quanto riguarda i tuoi ex compagni.
Sì. Dal punto di vista comportamentale. Avevamo la stessa provenienza marxista-leninista, c’era la possibilità di discutere. E comunque anche tra tutti quelli che ho conosciuto era di sicuro la persona più preparata, pur essendo un contadino. Non era di certo uno che se la tirava.