Prigioniera delle sue pratiche autoreferenziali, incapace di affondare il coltello nella piaga, la Commissione Moro si fa prendere in giro dalle relazioni della Polizia, che evidentemente ha ricevuto l’ordine di muovere un po’ di polvere. La verità è meglio non cercarla. Non si sa mai, si potrebbe correre il rischio di trovarla.
Meglio non cercare, non chiedere, fingere di essere sprovveduti, arruolarsi nei reparti degli alfieri della Polvere. Una patetica armata di giornalisti velinari, di brigatisti servizievoli, di tenenti Tengo Famiglia, di marescialli Pressappoco, di Servizi a mezzo servizio e di governanti omertosi, intenti a sistemare figli e cognati, si muove traballando per raccontare che non c’è niente da scoprire. In effetti, le cose si sanno da tempo. Ma non bisogna dirle. Si rispolverano così vecchi copioni, si aggiungono altre dosi di superficialità e sciatteria, si fa finta di voler andare avanti… Ma, pedala pedala pedala, è come sulla ciclette: non ci si sposta di un centimetro.
La Austin Morris di una società di copertura del Sisde viene chiamata con il nome di un’altra auto, e il numero di targa viene trascritto in modo sbagliato; per conoscere i passaggi di proprietà si spedisce il maresciallo Pressappoco a Pomezia, anziché ad uno sportello della Motorizzazione; e queste disavventure di oggi si sommano a quelle di ieri, quando l’auto fu restituita entro una settimana al fiduciario dei Servizi e fu redatto un verbale farlocco. Per avere l’elenco degli inquilini dall’Enpaf (Ente nazionale di assistenza e previdenza dei farmacisti e dei fiduciari dei Servizi) oggi si chiede gentilmente all’ente, implicato fino in fondo in questa storia, se per favore può fornire l’elenco, e l’ente risponde che no, non può, perché tutti gli incartamenti sono andati perduti a causa di un allagamento. Dei proiettili Nato si potrebbe forse scoprire a chi furono venduti, ma è un lavoro troppo difficoltoso… Di un’arma che non si trova (non si sa che fine abbia fatto), non è disponibile la documentazione, che è andata perduta a causa di un allagamento. Sui bossoli rinvenuti a destra dell’auto di Moro (uno dei quali, il reperto T, dietro la Austin del Sisde), dopo essere verbalizzati sul “marciapiede di sinistro” [sic], cala il silenzio. E non va meglio con la Mini Cooper che fa da pendant alla Austin, sull’altro lato della strada. I bossoli K rinvenuti fra il muso di quest’auto e l’auto successiva, a 20 centimetri dal marciapiede, vengono spostati in mezzo alla strada, accanto ai bossoli B, perché sono dello stesso calibro. Queste sciatterie di oggi si aggiungono, con pervicace continuità, a quelle di ieri, quando la Mini, che è di color verde chiaro con il tetto nero, venne verbalizzata “di color bordò”.
A Bruno Barbaro, che aveva in via Fani 109 un ufficio (sede, secondo un suo ex collaboratore, di una società di copertura del Sismi), né oggi né ieri qualcuno chiede perché ha alterato la scena del crimine, spostando persone ed oggetti. Al dottor Pandiscia, presente con i suoi occhiali Ray-Ban come un turista sulla scena del crimine, nessuno chiese mai di tirar fuori le foto delle persone presenti quella mattina in via Fani, che la polizia scientifica aveva nei suoi archivi.
E i Pandiscia di oggi, cosa fanno? Mentre ogni bravo investigatore cerca collegamenti fra fatti apparentemente distanti, questi si danno da fare per disarticolare le connessioni chiaramente esistenti. Un fiduciario del Sisde e un ex arruolatore della Decima Mas, un fiduciario del Sismi e suo cognato, addestratore di gladiatori, e poi anche un colonnello comandante di unità speciali di pronto intervento, reduce da una prolungata esercitazione Nato, si trovano tutti insieme sulla scena del crimine o nella strada lì dietro, la mattina del 16 marzo. C’è poco da sollevare polvere, dottor Giannini. Le cose sono anche troppo chiare. Faremmo un torto alla Sua intelligenza se pensassimo che Lei crede davvero che tutto sia casuale.
Lei è abituato a fare collegamenti e ragionamenti, non è mica come la stampa indipendente, che si offre nuda al miglior offerente, prestandosi a fare da truppa di rincalzo, e sforna saggi inutili e articoli-spazzatura, nel goffo tentativo di nascondere le responsabilità dello stato.
Armeni Gianrico, Bianconi Giovanni, Persichetti Paolo, Satta Vladimiro, in fila per due, avanti marsc!
Prendiamo, solo per esempio, Bianconi Giovanni. Sul Corriere della Sera del 12 e 11 giugno 2015 (e anche altrove), scrive:
“L’esito dei nuovi accertamenti ha confermato che il gruppo degli sparatori – quattro, secondo quanto dichiarato dai militanti delle Brigate rosse, che usarono ciascuno più di un’arma – era posizionato su un solo lato della strada, alla sinistra delle macchine investite dal fuoco brigatista; due spararono sulla Fiat 130 sulla quale viaggiava Aldo Moro con l’autista Domenico Ricci e il caposcorta Oreste Leonardi, due contro l’Alfetta dove si trovavano altri tre agenti di scorta: Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. I bossoli trovati anche dall’altra parte sarebbero dovuti allo spostamento degli assalitori dopo che l’agente Iozzino riuscì a uscire dall’Alfetta di scorta e provò a sparare contro i terroristi, prima di essere ucciso”.
Lo spudorato continua:
“Gli investigatori dell’Antiterrorismo hanno anche rintracciato e interrogato testimoni vecchi e nuovi, consultato carte di antiche società e svolto accertamenti per verificare che altre auto ritenute ‘sospette’, parcheggiate o arrivate in via Fani subito dopo l’agguato, erano di residenti o trasportavano investigatori. Altre ipotesi su presunte presenze ‘ambigue’ sul luogo della strage non hanno trovato riscontri.”
“Smentite pure le ipotesi su presenze ambigue sul luogo della strage. Insomma, anche alla luce delle ultime, accurate e sofisticate indagini, risulta che a rapire Aldo Moro furono le Br. Solo le Br”.
Insomma, la purezza delle Br e la purezza dello Stato devono essere ribadite, anche a costo di apparire coglioni. Nessuno sparò da destra, assicura Morucci, perché se no ci sarebbero stati dei rischi, a causa del tiro incrociato. I bossoli sul marciapiede di destra? Presi a calci da chissà chi. E i proiettili? Palle di rimbalzo. Noi invece, caro Bianconi Giovanni, non pendiamo come te dalla bocca di questi parastatali delle Br, perché stiamo dalla parte della verità, dalla parte di Iozzino, e le palle di rimbalzo le lasciamo tutte a te.
(continua)
Lo fonti di iskrae
Figura n. 1
Nel disegno che il testimone oculare Alessandro Marini allega alla sua deposizione viene sinteticamente ricostruita la scena del crimine come appare dalla prospettiva di chi proviene dalla parte bassa di via Fani ed è fermo allo stop dell’incrocio con via Stresa (1). Da questa angolazione il teste non ha percezione di quante auto siano ferme ai lati del marciapiede, ma la sua attenzione è attratta da ciò che accade in mezzo alla strada. Vede chiaramente, oltre i quattro killer con la divisa dell’Alitalia (A, B, C, D) altri due sparatori, che rappresenta con le lettere E ed F (2). Poi, finita la sparatoria e dileguatisi anche i due personaggi a bordo di una moto Honda, Marini attraversa la strada e va verso le auto di Moro e della scorta. Qui, all’altezza della Alfetta della scorta, incontra Bruno Barbaro, dotato di paletta fermatraffico, che apre e chiude gli sportelli dell’auto, tocca i corpi degli agenti, e poi copre la salma di Raffaele Iozzino (3) con un giornale.
Figura n. 2
Nel disegno realizzato dai periti balistici del processo Moro quater i bossoli e i proiettili individuati e repertati dalla Scientifica sulla scena del crimine vengono riprodotti con riferimento alle auto presso le quali si trovavano. Se giriamo il disegno in modo che la destra corrisponda alla direzione di marcia della Fiat 130 di Moro e dell’Alfetta della sua scorta che scendevano da via Fani verso via Stresa, la dinamica dell’agguato appare più chiara.
La posizione che abbiamo contrassegnato con il numero 1 è quella dalla quale il teste Alessandro Marini assiste al blitz militare. La freccia n. 2 sottolinea la presenza dell’abitazione, all’incrocio fra via Stresa e via Madesimo, del colonnello Ferdinando Pastore Stocchi, addestratore di gladiatori nella base Nato di capo Marrargiu; la numero 3 mostra la direzione dalla quale giunge sulla scena del crimine Bruno Barbaro, suo cognato, titolare di una ditta di copertura del Sismi che ha sede in via Fani 109 (13). Barbaro altera la scena del crimine, apre e chiude gli sportelli dell’Alfetta della scorta di Moro, forse prende un giornale dal sedile posteriore, con il quale copre il corpo dell’agente Iozzino (9) ma viene interrogato soltanto nel 1994, perché viene tirato in ballo da un suo ex dipendente.
La Fiat 128 familiare targata CD 19707 blocca (4) allo stop la 130 blu guidata dall’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci su cui si trovano il maresciallo Oreste Leonardi e Aldo Moro. Ricci tenta di superare a destra la 128 (5), ma i suoi movimenti sono ostacolati dalla Austin Morris blu targata Roma T50354 della società Poggio delle Rose, una società di copertura del Sisde. Dietro questa macchina è repertato un bossolo 7,65 contrassegnato dalla Scientifica con la lettera T (7), e poco più in alto vengono repertati altri tre bossoli dello stesso calibro (8) contrassegnati dalle lettere TO e QXZV. La posizione strategica della macchina del Sisde per la riuscita dell’agguato è evidente: quell’auto non solo impedisce all’auto di Moro di liberarsi dalla trappola, ma offre anche riparo a chi spara da destra al maresciallo Leonardi. Tuttavia il fiduciario dei Servizi Patrizio Bonanni non viene interrogato; anzi, una settimana dopo la strage la Digos gli restituisce la Austin (che pure era un importantissimo corpo di reato) accompagnando la restituzione con un verbale addomesticato, nel quale si dice che l’auto era parcheggiata davanti al civico 109, che invece è trenta metri più indietro (13). Il verbalizzatore del falso, il responsabile della Digos romana Carlo De Stefano, farà carriera.
Ma ad aiutare i quattro brigatisti con le divise dell’Alitalia che sbucano da dietro le siepi di pitosforo del bar Olivetti (10) concorrono altri due killer che intervengono da dietro la Mini Cooper targata Roma T32330 del gladiatore Tullio Moscardi. I 9 bossoli calibro 9 trovati a venti centimetri dal marciapiede, fra la Mini di Moscardi e l’auto successiva [non disegnata dai periti; sarebbe in corrispondenza al punto 12] e i due bossoli trovati sul marciapiede (in tutto 11 bossoli, tutti repertati con la lettera K) stanno a provare che qualcuno sbuca da dietro la Mini per irrompere sulla scena del crimine. Questi bossoli confermano la testimonianza di Alessandro Marini, che vede i killer quando questi, abbandonata la loro posizione dietro la Mini, si posizionano in mezzo alla strada, al di là dei quattro in divisa.
Né il disegno dei periti del Moro quater né quello tridimensionale della Scientifica tengono conto della Alfasud targata Roma S88162, che inquina la scena del crimine, coprendo alcuni reperti. L’auto era posizionata sul marciapiede di sinistra (quello del bar Olivetti) in corrispondenza del punto 10.
Figura n. 3