“Eppur si muove…” si potrebbe insinuare su alcuni omicidi rimasti nel “limbo” dovuti, più che altro a ostracismi provenienti da diverse parti e per evitare verità scomode a qualcuno.
Infatti, nell’articolo qui sotto, forse, i media incominciano ad osare ripercorrere quei sentieri pieni di falle e di autentiche “castronerie“.
Alcuni riferimenti riportati nell’articolo (carcere di Paliano) e scritti da Raimondo Etro li potete trovare in fondo.
MOWA
“In un nastro il killer di Acca Larentia”
Parla l’ex br Etro: Fatemi sentire la voce di chi rivendicò la strage Pensammo a quelli di Potere Operaio per l’assalto alla sede missina.
Gennaio ’78. Nei giorni successivi all’eccidio dei due giovani missini in via Acca Larenzia un dirigente delle Br alle prese con l’organizzazione del sequestro Moro tentò di capire chi fosse l’organizzatore di quella carneficina che rischiava di provocare decine di perquisizioni e mettere a repentaglio il sequestro ormai imminente di Aldo Moro. A rivelarlo al Tempo è un ex brigatista che ha deciso di rompere la cortina di silenzio: Raimondo Etro. Un patto omertoso che da tempo immemore è calato sugli omicidi politici dell’epoca. Nel processo Moro quinquies Etro è stato condannato a 20 anni e 6 mesi di reclusione. Non ha beneficiato delle leggi su pentiti e dissociati. Ma si è ravveduto. Nel 2010 ha finito di scontare la pena e ora si occupa di vendita di libri e francobolli on line. Sin dagli anni ’90 è impegnato in un’attività di ricerca della verità. Un impegno doveroso, spiega, nei confronti dei familiari di tanti giovani, rossi o neri non importa, vittime della follia terroristica. La strage di Acca Larenzia è uno degli esempi più drammatici di quella stagione infame. Per questo vuole contribuire alla scoperta dei suoi responsabili: «Per capire quell’azione occorre comprendere che Potere Operaio di Morucci, di Piperno, di Scalzone e molti altri non si era completamente sciolto dopo il convegno di Rosolina nel ’73. Una parte confluì nell’Autonomia operaia, un’altra formò il nocciolo della colonna romana delle Br. Ma i contatti e le relazioni personali proseguirono negli anni». Secondo Etro la colonna romana delle Br godeva di collegamenti diretti con una parte delle formazioni che operavano all’interno del «Movimento». Formazioni radicate soprattutto a Roma sud, tra Centocelle e Torrespaccata. Questa particolarità capitolina spiegherebbe il paradosso di un’azione così cruenta contro un obiettivo politico ormai di scarsa rilevanza, compiuta proprio nelle settimane in cui le Br erano concentrate nella programmazione dell’agguato al presidente della Dc: «La reazione fu di sorpresa almeno per me. Eravamo impegnati a preparare il sequestro di Aldo Moro, rubare auto, spostarle, cambiare le targhe, fare accertamenti di vario tipo, appostamenti eccetera in previsione della più grossa operazione mai condotta in Italia da un’organizzazione armata di estrema sinistra. In quel momento un’azione contro militanti della destra sembrò ai membri della mia struttura e a me perlomeno fuori luogo. In quel periodo ci vedevamo quasi quotidianamente con Gallinari, il responsabile della nostra struttura, il cosiddetto Fronte della Contro Settore Antiguerriglia che accelerò uno dei nostri incontri perché ci doveva parlare di una cosa molto importante. Per l’esattezza c’eravamo Casimirri, Algranati ed io. Mancava, stranamente Lojacono, membro della stessa struttura e guarda caso proveniente dalle fila di Potere Operaio». Gallinari, membro dell’Esecutivo delle Br proveniva dal nord e pare non gradisse quanto accadeva nella capitale. Ciò al punto da ritenere l’eccidio di via Acca Larenzia un’interferenza inopportuna con i ben più ambiziosi piani delle Br: «Arrivò furioso. Ci chiese cosa pensassimo di quello che era successo ad Acca Larentia. Ci precisò che eravamo in un momento politico particolare e il nostro obiettivo primario era la DC. Che le azioni “antifasciste” non avevano senso in quel contesto. Ci chiedemmo il perché di quella riunione. Ognuno disse la propria, convenendo che si trattava di una cosa incomprensibile, che oltre tutto avrebbe alzato il livello di scontro con la destra ed esposto a ritorsioni i militanti dell’organizzazione. Si trattava di un gesto molto eclatante, dato che un altro militante di destra era stato ucciso da un carabiniere nel corso dei disordini successivi. Avremmo potuto anche subire ripercussioni come perquisizioni, pedinamenti, ecc. mettendo a rischio l’azione in via Fani». Etro sostiene che la strage del Tuscolano sia stata opera di elementi provenienti da Potere Operaio, in parte confluiti nelle Br e in parte operanti nell’area dell’Autonomia Operaia: «Io credo che fu opera di militanti delle Br che decisero di agire al di fuori dell’organizzazione ma con le armi, e gli strumenti dell’organizzazione. Quindi furono sicuramente ex militanti di Potere operaio confluiti nelle Br magari anche con il supporto di altri militanti di Roma sud. Quella era una zona particolare dove ad esempio operavano anche brigatisti come Piccioni. A Roma nord nessuno di noi avrebbe pensato di fare un’azione del genere». Una tesi analoga è stata formulata più volte in ambito storiografico ma sinora non ha mai trovato particolare considerazione presso la magistratura. Secondo l’ex brigatista tale vuoto investigativo avrebbe una spiegazione inquietante. Esisterebbe, a suo parere, un vero e proprio patto del silenzio rimasto inviolato sino ad oggi: «Quello di Paliano più che un carcere era un albergo. Lì si crearono complicità tra pentiti e dissociati di estrema destra e di estrema sinistra con il risultato che ancora oggi solo a Roma ci sono dieci vittime di destra e di sinistra che aspettano giustizia. L’idea originaria potrebbe essere stata di Savasta. Già dal 1982 si sarebbe cercato d’imporre ai pentiti rinchiusi a Paliano di non parlare degli omicidi commessi dal cosiddetto “movimento” ma solo di quelli compiuti dalle organizzazioni armate. Quando arrivò in tale penitenziario Morucci nell’85 il patto sarebbe stato definitivamente sancito con l’adesione anche dei militanti dell’estrema destra pentiti». Le ipotesi formulate da Raimondo Etro sono gravi e necessitano di riscontri rigorosi. Inevitabile però chiedergli sino a che punto potrebbe spingersi il suo contributo alla ricerca della verità sulla strage di Acca Larenzia. Gli ricordiamo l’esistenza in atti della registrazione della voce del terrorista che rivendicò l’attentato. Etro risponde deciso: «Se ascoltassi quel nastro e riconoscessi la voce, non avrei esitazione a fare il nome di quell’assassino».
Augusto Parboni
01/08/2015
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