Sconosciuti al fisco, senza assicurazione contro gli infortuni, nè versamenti previdenziali: sono i due milioni di occupati, in Italia, che ogni anno svolgono un’attività ‘in nerò. Un esercito di lavoratori di ‘serie B’, in grado, però, di generare annualmente un’economia sommersa (l’ammontare del proprio salario) pari a «41 miliardi e 837 milioni di euro», nonchè «una evasione complessiva di 25 miliardi di imposte e contributi». A tirare le somme su un fenomeno, reso di drammatica attualità dalle ultime vittime del caporalato nelle campagne, è stata la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, che ha elaborato per l’ANSA gli esiti dei controlli effettuati dal Ministero del Lavoro, dall’Inps e dall’Inail nel 2014 e nel primo semestre del 2015, in base ai quali, mediamente, «ogni tre imprese ispezionate, si trova una persona impiegata, ma non registrata»; nell’anno precedente sono state controllate 221.476 aziende, nelle quali sono affiorati 77.387 rapporti di lavoro non denunciati, nei primi 6 mesi di quello in corso, invece, su 106.849 realtà produttive passate al setaccio sono stati individuati circa 31.394 occupati totalmente ‘in nerò. Secondo i professionisti, perciò, a fronte di 6 milioni di imprese registrate alle Camere di commercio nel secondo trimestre del 2015 (certificate da Unioncamere-Movimprese), e di un milione di altri organismi che non risultano iscritti, visto che nel 30% di aziende ispezionate è presente il lavoro ‘nerò, la stima nazionale è di oltre 2 milioni di soggetti attivi in maniera completamente irregolare. Quanto agli introiti per l’Erario sfumati, i Consulenti sono partiti dall’analisi delle 241 giornate all’anno di lavoro retribuite a persona, il cui compenso medio quotidiano è di 86,80 euro (la fonte è l’Inps), giungendo alla conclusione che «se si considera la media delle giornate sottratte agli oneri sociali, il mancato gettito da ‘sommersò produce circa 25 miliardi, pari all’1,5% di Prodotto interno lordo»; nel dettaglio, «la retribuzione annua non assoggettata a oneri ammonta a 41,8 miliardi, il mancato gettito previdenziale a 14,6 miliardi (il parametro è un’aliquota del 35% calcolata in media tra le classi di contribuzione), il mancato gettito fiscale a 9,3 miliardi (considerando un’aliquota media del 24,5% al netto di detrazioni fiscali)», mentre i versamenti non effettuati all’Inail valgono 1,2 miliardi. Numeri «importanti» che, commenta il presidente della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro Rosario De Luca, «devono fare riflettere». Inquadrare correttamente i dipendenti «limiterebbe lo sfruttamento e metterebbe a disposizione della collettività cifre vicine a quelle di una Legge di Stabilità». E, dinanzi ad un plotone di 2 milioni di occupati ‘in nerò, il legislatore deve creare «condizioni normative per incentivare le assunzioni, ad esempio abbassando strutturalmente il costo del lavoro» nel contempo, conclude De Luca, «agli imprenditori spetta la regolarizzazione dei propri dipendenti».
21 agosto 2015