Foto: Un’immagine della protesta a Lamezia Terme, scattata all’interno del centro d’accoglienza “Luna Rossa.”
Di Leonardo Bianchi
Le bufale razziste sono indubbiamente diventate il genere più gettonato su giornali e Internet, e nonostante la mole di precisazioni e articoli di debunking—tra cui anche il nostro di poco tempo fa—nessuna contromisura è sufficiente a fermarne la diffusione. Per quanto alcune di queste notizie false sui migranti siano relativamente innocue, altre sono decisamente più tossiche. In certi casi, infatti, possono fornire un pretesto a tutti quei soggetti politici che vogliono alzare al massimo la tensione.
Dietro a quasi tutte le manifestazioni o aggressioni ai centri d’accoglienza, ad esempio, c’è una circostanza poco chiara, o direttamente una notizia inventata di sana pianta. Per rimanere sugli episodi più eclatanti, la “caccia al nero” a Corcolle del settembre 2014 era stata scatenata da un’aggressione a un bus mai chiarita del tutto; e il pogrom di Tor Sapienza è scaturito da un presunto tentativo di molestie ai danni di una residente del quartiere.
L’ultimo caso in ordine cronologico—nel silenzio pressoché totale dei media generalisti, ad eccezione del TG2 che ha riportato la notizia il 25 agosto—si è verificato due settimane fa a Lamezia Terme (provincia di Catanzaro, Calabria), e le circostanze in cui è maturata la manifestazione contro un centro d’accoglienza per minori non accompagnati sono inquietanti e al contempo incredibili.
Per inquadrare bene la situazione, va detto subito che il centro in questione non è un centro “qualsiasi”; si tratta del “Luna Rossa,” aperto nel 2011 e gestito dalla Comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza, e si trova nel rione Capizzaglie all’interno di un palazzo confiscato all’ndrangheta. Un’altra particolarità dello stabile è che i vicini di casa sono proprio gli ex proprietari, la famiglia Torcasio.
Nel corso degli anni, il “Luna Rossa” è stato ripetutamente bersagliato dalla criminalità organizzata. Come ha ricostruito Repubblica, la notte di Natale del 2011 è esplosa una bomba all’ingresso poco prima della mezzanotte, facendo saltare il portone di ingresso e rompendo il marmo della soglia. Nella prima domenica di Quaresima del 2012 qualcuno ha sparato un colpo di pistola, a distanza ravvicinata, nell’unica finestra aperta dello stabile. A Pasqua dello stesso anno, poi, un commando ha sparato una raffica in pieno giorno contro la serranda. Don Panizza, che è sotto scorta proprio per la gestione di beni confiscati, li ha definiti “auguri particolari a ogni festa comandata, così la città capisce che c’è il prete nel mirino.”
Attualmente, comunque, il centro ospita 12 minori che provengono in prevalenza dall’Africa, e al netto di questi attentati non ci sono mai state proteste politiche rivolte contro la presenza della Comunità. Questo, almeno, fino all’11 agosto 2015.
Tutto inizia con un articolo pubblicato lo scorso 10 agosto su un giornale locale, intitolato “Lamezia, tre uomini di colore aggrediscono e derubano anziano.” Nel testo, che è ancora online, si può leggere che “secondo quanto riferito da alcuni residenti, tre uomini di colore avrebbero aggredito e derubato un anziano del luogo […] per poi seviziarlo.”
Nel giro di qualche ora, la notizia della brutale aggressione circola ampiamente sui social network e scatena le prime reazioni politiche. Il consigliere comunale Massimo Cristiano—che fa parte di Movimento Territorio e Lavoro (MTL), partito che aderisce alla piattaforma politica di “Noi con Salvini”—dichiara che “questa sera tre extracomunitari hanno aggredito e seviziato un povero anziano. Un nonno, un papà, insomma uno di noi. Un atto gravissimo che la nostra comunità non può minimamente accettare.”
In serata, tuttavia, le forze dell’ordine smentiscono del tutto la notizia. “Da accertamenti sanitari,” sostiene la Questura, “l’assenza di segni di violenza sul corpo della presunta vittima, nonché di tracce sui vestiti, porterebbero gli investigatori a non escludere anche l’ipotesi di una simulazione.” Insomma, l’anziano si sarebbe inventato l’aggressione. Un altro giornale locale si scusa con i lettori per aver dato la notizia falsa, basandosi su “immediate riflessioni ad hoc fatte da alcune associazioni o gruppi socio-politici.”
Ma ormai è troppo tardi: la “macchina dell’odio,” come l’ha definita il giornalista del TG2 Valerio Cataldi, si è già messa in moto. Il giorno seguente, dai proclami sui social si passa ad un assedio xenofobo al centro d’accoglienza che dura fino a sera. “Per tutti,” riporta l’agenzia Redattore Sociale, “i ‘colpevoli’ dell’aggressione” sono i minori di “Luna Rossa,” “accusati e processati in base a una notizia dichiaratamente falsa.”
La cronaca di quello che avviene il pomeriggio dell’11 agosto è abbastanza terrificante. Secondo i resoconti, dalla sede di MTL in via dei Bizantini—che si trova proprio davanti il centro d’accoglienza—spunta fuori uno striscione che recita “Dovete stare nella savana.” La strada viene bloccata da due auto messe di traverso, e il gruppo composto da una settantina di manifestanti comincia a rivolgere insulti razzisti (“negro di merda”) ai ragazzi e minacce agli operatori (“Stanotte vi facciamo saltare in aria”).
Un manifestante, racconta Avvenire, “sbuccia una banana, getta a terra la buccia e la calpesta.”. Un altro, come mi dice il coordinatore del “Luna Rossa” Nicola Emanuele, indossa una maglietta con il Duce. I militanti di CasaPound, tra cui c’è anche il consigliere comunale Mimmo Gianturco, intonano il classico coro “Il centro d’accoglienza non lo voglio.” A un certo punto, alla protesta prendono anche parte alcuni esponenti del clan Torcasio, che gridano: “Volete capire che ve ne dovete andare?” Vista la situazione di tensione, un funzionario di polizia entra nel centro e invita i presenti a non reagire in alcun modo, altrimenti “rischiamo una carneficina.”
Subito dopo la protesta, mi spiega Emanuele, c’è stato un “leggero aumento di azioni provocatorie” nei confronti dei ragazzi, ma da allora “la situazione sembra che si sia tranquilizzata.” I minori stessi, continua il coordinatore, si sono “meravigliati di questa situazione,” ma gli operatori del centro hanno cercato di far capire ai ragazzi che chi protesta contro di loro è “una minoranza che non rappresenta la città.”
Per il coordinatore del centro, comunque, l’impressione principale è che si sia trattata di “un’azione politica” legata anche alla “difficoltà ad accettare la nostra presenza all’interno del quartiere o in un palazzo confiscato alla mafia. Hanno usato quella notizia per creare un’occasione di scontro o comunque di protesta.” Don Panizza, dal canto suo, ha usato parole particolarmente dure per stigmatizzare la manifestazione xenofoba: “Siamo al sonno della ragione, all’oscurantismo, allo squadrismo. I temi della vita, dei diritti, della legalità sono stati calpestati.”
E alla fine, l’intera vicenda è l’ennesima conferma che dietro a questo tipo di manifestazioni—come abbiamo già scritto diverse volte—ci sia un preciso progetto politico, e non l’esasperazione di indifesi “cittadini indignati.”
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agosto 27, 2015