di Antonio Gramsci *
La rivoluzione comunista attua l’autonomia del produttore nel campo economico e nel campo politico. L’azione politica della classe operaia (rivolta a instaurare la dittatura, a creare lo Stato operaio) acquista valore storico reale solo quando è funzione dello sviluppo di condizioni economiche nuove, ricche di possibilità, avide di espandersi e di consolidarsi definitivamente. Perché l’azione politica abbia buon esito deve coincidere con un’azione economica.
La rivoluzione comunista è il riconoscimento storico di fatti preesistenti economici, che essa rivela, che essa difende energicamente da ogni tentativo reazionario, che essa fa diventare diritto, ai quali, cioè, da una forma organica e una sistemazione. Ecco perché la costruzione dei Soviet politici comunisti non può che succedere storicamente a una fioritura e a una prima sistemazione dei Consigli di fabbrica.
Il Consiglio di fabbrica e il sistema dei Consigli di fabbrica saggia e rivela in prima istanza le nuove posizioni che nel campo della produzione occupa la classe operaia; dà alla classe operaia consapevolezza del suo valore attuale, della sua reale funzione, della sua responsabilità, del suo avvenire. La classe operaia trae le conseguenze dalla somma di esperienze positive che i singoli individui compiono personalmente, acquista la psicologia e il carattere di classe dominante, e si organizza come tale, cioè crea il Soviet politico, instaura la dittatura.
Ogni operaio, per costituire il Consiglio, ha dovuto prendere coscienza della sua posizione nel campo economico. Ha sentito di essere inizialmente inserito in una unità elementare, la squadra di reparto, e ha sentito che le innovazioni tecniche apportate nell’attrezzatura delle macchine hanno mutato i suoi rapporti col tecnico: l’operaio ha meno bisogno di prima del tecnico, del maestro d’arte, ha quindi acquistato una maggiore autonomia, può disciplinarsi da sé.
Anche la figura del tecnico è mutata: i suoi rapporti con l’industriale sono completamente trasformati: egli non è più una persona di fiducia, un agente degli interessi capitalistici; poiché l’operaio può fare a meno del tecnico per una infinità di atti del lavoro, il tecnico come agente disciplinare diventa ingombrante: il tecnico si riduce anch’egli a produttore, connesso al capitalista dai nudi e crudi rapporti di sfruttato e sfruttatore. La sua psicologia perde le incrostazioni piccolo-borghesi e diventa proletaria, diventa rivoluzionaria. Le innovazioni industriali e l’acquistata maggiore capacità professionale, permettono all’operaio una maggiore autonomia, lo collocano in una superiore posizione industriale.
Ma il mutamento di rapporti gerarchici e di indispensabilità non si limita alla squadra di lavorazione, all’unità elementare che dà vita al reparto e alla fabbrica. Ogni squadra di lavorazione esprime nella persona del commissario la coscienza unitaria che ha acquistato del proprio grado di autonomia e di autodisciplina nel lavoro, e assume figura concreta nel reparto e nella fabbrica. Ogni Consiglio di fabbrica (assemblea dei commissari) esprime nelle persone dei componenti il comitato esecutivo la coscienza unitaria che gli operai di tutta la fabbrica hanno acquistato della loro posizione nel campo industriale. Il comitato esecutivo può accorgersi del come sia avvenuto per la figura del direttore della fabbrica lo stesso mutamento di figura che ogni operaio constata nel tecnico.
La fabbrica non è indipendente: non esiste nella fabbrica l’imprenditore-proprietario, che abbia la capacità mercantile (stimolata dall’interesse legato alla proprietà privata) di comprare bene le materie prime e di vendere meglio l’oggetto fabbricato. Queste funzioni si sono spostate dalla fabbrica singola al sistema di fabbriche possedute da una stessa ditta. E non basta: esse si raccolgono in una banca o in un sistema di banche che si sono assunte l’ufficio reale di fornitrici di materie prime e accaparratrici dei mercati di vendita. Ma durante la guerra, per le necessità della guerra, non è lo Stato divenuto l’approvvigionatore di materie prime per l’industria, il distributore di esse secondo un piano prestabilito, il compratore unico della produzione? Dov’è dunque andata a finire la figura economica dell’imprenditore-proprietario, del capitano d’industria, che è indispensabile alla produzione, che fa fiorire la fabbrica con la sua preveggenza, con le sue iniziative, con lo stimolo dell’interesse individuale? Essa è svanita, si è liquefatta nel processo di sviluppo dello strumento del lavoro, nel processo di sviluppo di rapporti tecnici ed economici che costituiscono le condizioni della produzione e del lavoro. Il capitano d’industria è diventato cavaliere d’industria, si annida nelle banche, nei salotti, nei corridoi ministeriali e parlamentari, nelle borse. Il proprietario del capitale è divenuto un ramo secco nel campo della produzione.
Poiché egli non è più indispensabile, poiché le sue funzioni storiche sono atrofizzate, egli diventa un mero agente di polizia, egli pone i suoi “diritti” immediatamente nelle mani dello Stato perché li difenda spietatamente. Lo Stato diventa così l’unico proprietario dello strumento di lavoro, assume tutte le funzioni tradizionali dell’imprenditore, diventa la macchina impersonale che compra e distribuisce le materie prime, che impone un piano di produzione, che compra i prodotti e li distribuisce: lo Stato dei politicanti, degli avventurieri, dei bricconi. Conseguenze: aumento della forza armata poliziesca, aumento caotico della burocrazia incompetente, tentativo di assorbire tutti i malcontenti della piccola borghesia avida di ozio, e creazione a questo scopo di organismi parassitari all’infinito. Il numero dei non produttori aumenta morbosamente, supera ogni limite consentito dalla potenzialità dell’apparato di produzione. Si lavora e non si produce, si lavora affannosamente e la produzione cala continuamente. Perché si è formato un abisso spalancato, una fauce immane che inghiotte e annienta il lavoro, annienta la produttività. Le ore non pagate del lavoro operaio non servono più a dare incremento alla ricchezza dei capitalisti: servono a sfamare l’avidità della sterminata moltitudine di agenti, di funzionari, di oziosi, servono a sfamare chi lavora direttamente per questa turba di inutili parassiti. E nessuno è responsabile, e nessuno può essere colpito: sempre dappertutto lo Stato borghese, con la sua forza armata, lo Stato borghese che è diventato il gerente dello strumento di lavoro che si decompone, che va in pezzi, che viene ipotecato e sarà venduto all’incanto nel mercato internazionale dei ferrivecchi logori e inutili… Così si è sviluppato lo strumento di lavoro, il sistema dei rapporti economici e sociali.
La classe operaia ha acquistato un altissimo grado di autonomia nel campo della produzione, poiché lo sviluppo della tecnica industriale e commerciale ha soppresso tutte le funzioni utili inerenti alla proprietà privata, alla persona del capitalista. La persona del privato proprietario automaticamente espulsa dal campo immediato della produzione, si è annidata nel potere di Stato, monopolizzatore della distillazione del profitto. La forza armata tiene la classe operaia in una schiavitù politica ed economica divenuta antistorica, divenuta fonte di decomposizione e di rovina. La classe operaia si stringe intorno alle macchine, crea i suoi istituti rappresentativi come funzione del lavoro, come funzione della conquistata autonomia, della conquistata coscienza di autogoverno.
Il Consiglio di fabbrica è la base delle sue esperienze positive, della presa di possesso dello strumento di lavoro, è la base solida del processo che deve culminare nella dittatura, nella conquista del potere di Stato da rivolgere alla distruzione del caos, della cancrena che minaccia di soffocare la società degli uomini, che corrompe e dissolve la società degli uomini.
* “L’Ordine Nuovo”, 14 febbraio 1920