Foto: Manovre dell’Alleanza atlantica in Polonia © Lapresse – Reuters
Trident Juncture 2015. Al via oggi la più grande esercitazione dalla caduta del Muro di Berlino. In Italia, Spagna e Portogallo. 36 mila uomini, 60 navi e 200 aerei da guerra. Più l’Ucraina
di Manlio Dinucci, Tommaso Di Francesco
Prende il via oggi in Italia, Spagna e Portogallo, dopo due anni di preparazione, la Trident Juncture 2015 (TJ15), una delle più grandi esercitazioni Nato. Vi partecipano oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze per le operazioni speciali di 28 paesi alleati e 7 partner, con 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra, anzitutto cacciabombardieri a duplice capacità convenzionale e nucleare.
La prima fase (3–16 ottobre) testerà la capacità strategica e operativa dei comandi Nato; la seconda (21 ottobre-6 novembre) si svolgerà «dal vivo» con l’impiego delle unità militari. La TJ15, annuncia un comunicato ufficiale, «dimostrerà il nuovo accresciuto livello di ambizione della Nato nel condurre la moderna guerra congiunta». Dimostrerà in particolare «la capacità della Forza di risposta della Nato nel pianificare, preparare, dispiegare e sostenere forze nelle operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».
Quale sia il raggio d’azione della «Grande Nato», che dal Nord Atlantico è arrivata sulle montagne afghane e mira oltre, lo dimostra il fatto che alla Trident Juncture 2015 partecipa l’Australia. Significativo è che vi prenda parte anche l’Ucraina, paese che la Nato sta ormai incorporando, dopo essersi estesa a sette paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia (demolita con la guerra nel 1999). Gli altri paesi non-Nato partecipanti alla TJ15 sono Austria, Svezia, Finlandia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Nell’esercitazione, la Nato coinvolge alcune organizzazioni e agenzie internazionali (come la Croce Rossa e la Usaid). Si scopre così una «Nato umanitaria», impegnata nel «mantenimento della pace»: il segretario generale Stoltenberg, il 28 settembre a New York, ha assicurato che «la Nato è pronta ad appoggiare le Nazioni Unite per rendere le sue operazioni di peacekeeping più sicure ed efficaci».
Coinvolta la Ue
Partecipa alla prima fase della TJ15 anche l’Unione europea. Il coinvolgimento della Ue nella grande esercitazione di guerra della Nato riporta in primo piano la questione politica di fondo. L’art. 42 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che «la politica dell’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico». Poiché sono membri della Alleanza 22 dei 28 paesi dell’Unione europea, è evidente il predominio della Nato.
Inoltre, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa collettiva» della Ue, e che «un ruolo più forte dell’Unione in materia di sicurezza e di difesa contribuirà alla vitalità di un’Alleanza atlantica rinnovata». Rinnovata sì, ma rigidamente ancorata alla vecchia gerarchia: il Comandante supremo alleato in Europa è sempre nominato dal presidente degli Stati uniti e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave.
Tramite la Nato, al cui interno i governi dell’Est sono legati più a Washington che a Bruxelles, gli Usa influiscono non solo sulla politica estera e militare della Ue, ma complessivamente sui suoi indirizzi politici ed economici. Sono così riusciti a trasformare l’Europa in prima linea di una nuova guerra fredda, che si sta allargando alla regione Asia/Pacifico, continuando allo spesso tempo a usarla come ponte di lancio delle operazioni militari Usa/Nato in Medioriente e Africa. Con la collaborazione delle oligarchie politiche ed economiche europee che, pur in concorrenza con quelle statunitensi e anche l’una con l’altra, convergono (pur a differenti livelli) quando si tratta di difendere l’«ordine economico mondiale» dominato dall’Occidente, oggi messo in discussione dai Brics e altri paesi emergenti.
La fedeltà italiana
In tale quadro l’Italia continua a distinguersi per la sua subalternità agli Stati uniti e quindi per la sua «fedeltà atlantica». Riguardo alla Trident Juncture 2015, comunica il governo, «sin dal 2013 l’Italia aveva anticipato all’Alleanza una prima offerta di assetti, basi e poligoni»: il centro di Poggio Renatico (Ferrara), il primo divenuto operativo del nuovo Sistema di comando e controllo aereo Nato, che potrà lanciare operazioni di guerra aerea in un’area di oltre 10 milioni di km quadrati, dall’Europa orientale all’Asia e all’Africa; e, per il dispiegamento delle forze aeree, «le basi di Trapani, Decimomannu, Pratica di Mare, Pisa, Amendola e Sigonella». Partecipano alla TJ15 anche le navi impegnate nell’esercitazione «Mare Aperto» e unità dell’esercito inviate a Capo Teulada (Sardegna), in Spagna e Portogallo.
Il governo nega il coinvolgimento del Joint Force Command di Napoli (con uno staff di 800 militari al quartier generale di Lago Patria), in quanto la TJ15 è guidata dal Joint Force Command di Brunssum (Olanda). Sconfessato dalla stessa Nato: il comando Nato di Napoli – diretto dall’ammiraglio Usa Ferguson che è anche comandante delle Forze navali Usa in Europa, delle Forze navali Usa del Comando Africa e delle Forze Nato in Kosovo – svolge nel 2015 il ruolo di comando operativo della «Forza di risposta» (40mila effettivi) che viene testata nella Trident Juncture.
Nel 2016 il comando passerà a Brunssum, alternandosi annualmente con Napoli.
Con le industrie della difesa
Dulcis in fundo, la Nato annuncia che ha «invitato quest’anno alla Trident Juncture, per la prima volta, un gran numero di industrie della difesa perché, partecipando all’esercitazione, trovino soluzioni tecnologiche per accelerare l’innovazione militare». La Trident Juncture 2015, il cui costo è segreto ma sicuramente ammonta a miliardi di dollari, prepara così altre enormi spese per l’acquisto di armamenti. Il tutto pagato con denaro pubblico, ossia direttamente e indirettamente dai cittadini.