di Antonio Gramsci *
I socialcomunisti unitari non vogliono la scissione del Partito, perché non vogliono rovinare la rivoluzione proletaria italiana. Riconosciamo subito che i socialcomunisti unitari rappresentano e incarnano tutte le più “gloriose” tradizioni del grande e glorioso Partito socialista italiano (che diventerà Partito socialcomunista unitario italiano): gloriosa ignoranza, gloriosa e spregiudicata assenza di ogni scrupolo nella polemica e di ogni senso di responsabilità nella politica nazionale, gloriosa bassa demagogia, gloriosa vanità, gloriosissima ciarlanteria, ecco il corpo di tradizioni gloriose e italianissime che si incarnano e sono rappresentate dai socialcomunisti unitari.
Il Congresso dell’Internazionale comunista ha posto al partito socialista italiano il problema di organizzarsi sulla base dell’accettazione dei deliberati approvati dalla sua assemblea. Si trattava di scindersi dai riformisti, di scindersi cioè da una parte minima del proprio corpo, da una parte che non ha alcuna funzione vitale nell’organismo, che è lontana dalle masse proletarie, che non può dire di rappresentare le masse solo quando esse sono state demoralizzate dagli errori, dalle incertezze, dall’assenteismo dei capi rivoluzionari.
I socialcomunisti unitari non hanno voluto accettare le deliberazioni del II Congresso per non scindere il Partito dai riformisti e affermano di non voler scindere il Partito dai riformisti per non scindere la massa; essi hanno piombato le masse, e del Partito e delle fabbriche, nel caos più cupo; hanno posto in dubbio la correttezza del Congresso internazionale, hanno ripudiato l’adesione del Partito al Congresso (Serrati è ritornato in Italia da Mosca come Orlando un giorno tornò da Versailles, per protestare, per scindere le responsabilità, per salvare l’onore e la gloria degli italiani), hanno screditato (o hanno cercato di screditare) la più alta autorità dell’Internazionale operaia, hanno fatto dilagare, in un ambiente propizio come il nostro, una marea putrida di pettegolezzi, di insinuazioni, di vigliaccherie, di scetticismi.
Cosa hanno ottenuto? Hanno scisso il Partito in tre, quattro, cinque tendenze; hanno, nelle grandi città, scisso le masse operaie, che erano compatte contro il riformismo e i riformisti, hanno seminato a piene mani i germi dello sfacelo e della decomposizione nelle file del Partito.
Cos’è dunque l’unitarismo? Quale malefizio occulto reca questa parola, che determina discordia e scissione maggiore e più vasta, affermando di voler evitare una limitata e ben precisata scissione? Ciò che è, doveva accadere. Se l’unitarismo ha provocato l’attuale sfacelo, la verità è da ricercare nel fatto che lo sfacelo esisteva già: l’unitarismo non ha altra colpa che di avere violentemente strappato una chiusura di cloaca rigurgitante. La verità è che il Partito socialista non era un'”urbe”, era un'”orda”: non era un organismo, era un agglomerato di individui che avevano il tanto di coscienza classista necessaria per organizzarsi in un sindacato professionale, ma non avevano in gran parte la capacità e la preparazione politica necessarie per organizzarsi in un partito rivoluzionario quale è domandato dall’attuale periodo storico.
La vanità italiana faceva sempre affermare che da noi esisteva un Partito socialista tutto particolare, che non poteva e non doveva subire le stesse crisi degli altri partiti socialisti: così è avvenuto che in Italia la crisi sia stata artificialmente ritardata e scoppi proprio nel momento in cui sarebbe stato meglio evitarla e scoppi ancor più violenta e devastatrice proprio per la volontà e la cocciutaggine di coloro che sempre la negarono e che ancor oggi la negano verbalmente (noi siamo unitari, unitari che diamine!).
Sarebbe ridicolo piagnucolare sull’avvenuto e sull’irrimediabile. I comunisti sono e devono essere dei freddi e pacati ragionatori: se tutto è in sfacelo, bisogna rifare tutto, bisogna rifare il Partito, bisogna da oggi considerare e amare la frazione comunista come un partito vero e proprio, come la solida impalcatura del Partito comunista italiano, che fa proseliti, li organizza solidamente, li educa, ne fa cellule attive dell’organismo nuovo che si sviluppa e si svilupperà fino a divenire tutta la classe operaia, fino a divenire l’anima e la volontà di tutto il popolo lavoratore.
La crisi che oggi attraversiamo è forse la maggiore crisi rivoluzionaria del popolo italiano. Per comprendere questa verità i compagni devono fare questa ipotesi: cosa sarebbe successo se il Partito socialista avesse subìto questa crisi in piena rivoluzione, avendo su di sé tutta la responsabilità di uno Stato? Cosa sarebbe successo se il governo di uno Stato rivoluzionario si fosse trovato in mano a uomini che lottano per le tendenze, e che nella passione di questa lotta mettono in dubbio tutto il più sacro patrimonio di un operaio: la fiducia nell’Internazionale e nella capacità e lealtà degli uomini che ne ricoprono le cariche più alte? Sarebbe successo ciò che è successo in Ungheria: sbandamento delle masse, rilassamento dell’energia rivoluzionaria, vittoria fulminea della controrivoluzione.
Gli unitari per mania ciarlatanesca di unità, hanno oggi solo sfasciato un partito: domani, essi avrebbero determinato la caduta della rivoluzione. Per quanto essi abbiano danneggiato la classe operaia e rafforzato la reazione, il maleficio non è decisivo: gli uomini di buona volontà hanno ancora un campo sterminato da ricoltivare e far rendere fruttuosamente.
* “L’Ordine Nuovo”, 11-18 dicembre 1920