L’arte della guerra
Manlio Dinucci
Alla vigilia dell’esercitazione Trident Juncture 2015, il 2 ottobre, la Nato ha annunciato «il primo spiegamento Usa in Europa di droni ad alta tecnologia». Non solo nel periodo dell’esercitazione, ma in modo permanente. Il video ufficiale mostra un Predator (Predatore) nella base aerea di Lielvarde, in Lettonia a ridosso del territorio russo, appena «rinnovata» per accogliere i droni e altri velivoli militari Usa/Nato.
Il Predator che viene mostrato è quello da «ricognizione», ossia da spionaggio e individuazione degli obiettivi da colpire. Può operare dalla base in Lettonia, però, anche il Predator Reaper (Mietitore, ovviamente di vite umane), armato di 14 missili Hellfire (Fuoco dell’inferno) e di due bombe a guida laser o satellitare. I telepiloti, seduti alla consolle a migliaia di km di distanza in una base negli Usa, una volta individuato il «bersaglio», comandano con il joystick il lancio dei missili e delle bombe.
I «danni collaterali» sono inevitabili: per colpire un presunto terrorista, i droni killer distruggono spesso una intera casa, uccidendo donne e bambini con il «Fuoco dell’inferno» a testata termobarica o a frammentazione. Ciò è avvenuto ripetutamente in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Yemen, Somalia e altri paesi.
Alla cerimonia svoltasi alla base di Lielvarde per festeggiare l’arrivo dei Predatori Usa, ha partecipato il presidente della Lettonia Vējonis, che lo ha definito «un esempio importante di smart defence (difesa intelligente)». Gli ufficiali Usa hanno dichiarato che personale lettone sarà addestrato all’uso dei Predator, il cui controllo resterà però in mani statunitensi.
Insieme al Predator è stato esibito, in volo sulla base di Lielvarde, un A-10 Thunderbolt per l’attacco ravvicinato al suolo, probabilmente uno dei 12 appena trasferiti dagli Usa nella base di Amari in Estonia, anch’essa a ridosso del territorio russo.
Sempre il 2 ottobre, la Nato ha dato un altro importante annuncio: l’arrivo nella base navale di Rota, in Spagna, del cacciatorpediniere lanciamissili USS Carney, per «rafforzare la difesa missilistica Nato in Europa». Oltre che da 24 missili SM-3 del sistema Aegis installati in Polonia e altrettanti in Romania, lo «scudo» missilistico comprende lo schieramento nel Mediterraneo di navi da guerra dotate di radar Aegis e missili SM-3.
La USS Carney è la quarta unità di questo tipo, dallo scorso febbraio, ad essere trasferita dagli Usa nel Mediterraneo, più precisamente nel Mar Nero in Romania come ha precisato l’ammiraglio Usa Ferguson, comandante del Jfc Naples (con quartier generale a Lago Patria). È probabile che il numero di queste navi nel Mediterraneo aumenterà, dato che la US Navy ne ha già una trentina.
È ormai chiaro che lo «scudo» Usa in Europa non è diretto contro la «minaccia dei missili nucleari iraniani» (inesistenti), ma mira ad acquisire un decisivo vantaggio strategico sulla Russia: gli Usa potrebbero tenerla sotto la minaccia di un first strike nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare gli effetti della rappresaglia. E poiché sono gli Usa a controllare i missili dello «scudo», schierati in Europa e nel Mediterraneo, nessuno può sapere se sono intercettori o missili nucleari.
La marina spagnola dispone già di quattro fregate dotate del sistema Aegis, che le rende interoperative con le navi Usa. Lo stesso si sta facendo con le fregate Fremm della marina militare italiana. Tutte le unità navali Aegis nel Mediterrano, informa la Nato, sono «sotto comando e controllo Usa». Ciò significa che la decisione di lanciare i missili intercettori, o presunti tali, è di esclusiva pertinenza del Pentagono.
06.10.2015