di Ennio Remondino
Trovo Netanyahu una persona repellente. Lo è politicamente. Forcaiolo come non mai. Fascista, perché ormai l’ossimoro fascista ed ebreo -assurdità lessicale di ieri- sfuma nella svolta reazionaria di una Paese che sta perdendo il senso delle sue origini. Negazionista e revisionista: ora la shoah l’hanno voluta gli odiati arabi e non il perdonabile Hitler.
Il premier, in funzione antipalestinese, legittima un’ipotesi che a suo tempo venne fatta circolare in un’area islamica integralista.
Se quelle frasi le avesse pronunciate un non ebreo il mondo lo avrebbe lapidato.
Storia e storielle, dice il titolo.
Partiamo dalle storielle. Una sera a Gerusalemme ho bevuto accanto a Netanyahu. Gomito a gomito in un locale affollato. Era l’anno 2000 e c’era la seconda intifada a colpi di autobomba, Barak che stava per lasciare il posto a Sharon, e io che dai Balcani ero stato mandato a ‘governare’ anche Gerusalemme per grane aziendali. Avevo accanto la insostituibile Angela Polacco che, mi pare di ricordare, mi presentò pure il personaggio, già allora noto esponente della destra.
Confesso, non lo amai d’istinto per un motivo molto banale. Il più antipatico ‘riporto’ del mondo quella testa laccata a coprire una onesta calvizie. Chi copre certe ‘lacune’ naturali, chi sa cosa sarà capace di fare per coprire ben altro! Uno pensa all’Italia dei trapianti piliferi e sogghigna, ma qui stiamo parlando delle sorti del mondo, tra il premier israeliano Natanyahu e l’ipotetico futuro presidente Usa Donald Trump. Piccole debolezze umane che risaltano su personaggi che dovrebbero pensare a ben altro che alle loro capigliature.
Che strano mondo quelle Gerusalemme d’allora. La Corrispondenza Rai terremotata da un incidente giornalistico-diplomatico, affidata al ‘balcanico’ che aveva ancora a che fare con Milosevic. ‘Qualche settimane e vai’, la promessa: durò un anno. Una redazione tutta ebrea da riequilibrare, la preziosa Angela che ai tempi di Roma era un po’ comunista, e la salvifica pizzeria di Angelo, e le troupe ebree che non potevano andare nei territori palestinesi e quella italiana in trasferta che provava ad andarci ma non ci capiva un cavolo.
Tra i personaggi che ruotano attorno al corrispondente della tv pubblica di un Paese comunque di un certo rilievo, anche diplomatici e spie, in ordine d’intensità variabile. Ricordo un israeliano, ex ‘diplomatico’ a Roma, che mi spiegava una volta alla settimana a cena tutte le buone ragioni ebraiche a colpire con severità estrema la protesta palestinese. E i palestinesi dell’ex ‘Forza 17′ (le spie di Arafat) che, allo shabbat degli avversari, facevano o loro volta contro informazione a Gerusalemme Est.
Per fortuna avevo la possibilità di confrontarmi con una spia ufficiale e garantita, l’allora agente Sismi a Gerusalemme. Diciamo che era un caro amico di altri tempi, quando lui era ‘sbirro’ e io cronista da ‘Brigate rosse’. Ora, casualmente, mi ritrovo tra le mani alcuni appunti suoi -un anonimo ma non troppo ex agente segreto- che forse qualche lettore di Remocontro potrebbe persino arrivare a riconoscere. Comunque sia, rileggo e riassumo un appunto di «Sussurro», nome di copertura inventato al momento.
Ora la storia.
Documentazione israeliana e americana con dati utili a comprendere un Paese nel quale i due protagonisti non trovano la via della pace. Il rapporto “Giardino Murato” dell’Organizzazione ebraica no profit Kerem Navot ricorda che la chiusura delle terre inizia subito dopo la guerra del 1967 per ragioni di sicurezza e già l’8 luglio, l’intera Cisgiordania viene dichiarata zona militare chiusa. Nel tempo vengono aggiunte altre aree col risultato che attualmente circa 176.500 ettari, più o meno 1/3 della Cisgiordania, è interdetta ai palestinesi perché dichiarata zona militare.
In realtà, secondo il rapporto, il 78% delle terre requisite per manovre militari non viene usato per tali scopi ma per chiudere le popolazioni. Il confine della Giordania a est, l’area di Latrun a ovest, l’area della linea di frontiera a ovest del Muro di separazione di 728 Km costruito dal 2002; le zone di sicurezza intorno alle colonie. I nuovi confini dell’Area C -che secondo gli accordi di Oslo entro il 1995 dovevano passare all’Autorità Nazionale Palestinese- è sotto il controllo israeliano in Cisgiordania (61% dell’intera area occupata) che l’ha dichiarata zona militare chiusa. 54.000 ettari, 9,7% di tutta la Cisgiordania.
Un rapporto dell’Ufficio Centrale di Statistiche israeliane del 2014 riferisce che tra il 2009 e il 2014 l’espansione degli insediamenti è oltre il doppio degli edifici innalzati nel territorio israeliano.
Un rapporto del 2013 dell’ONU traccia un legame fra la crescita degli insediamenti e l’aumento della violenza dei coloni che dal 2005 si manifesta nel movimento ‘Price Tag’, termine che secondo il Wall Street Journal si riferisce a “una campagna di vendetta da parte dei giovani israeliani fondamentalisti contro i palestinesi in Cisgiordania”.
Ed ecco perché, attraverso quella progressiva e organizzata violazione di accordi internazionali, mai sanzionati, Israele può proporsi oggi al mondo attraverso la vergogna del governo Netanyahu, con i superfalchi del Focolare Ebraico, dei coloni, degli religiosi ultra ortodossi.
Netanyahu straparla e la Comunità Internazionale resta silente.
Silente come l’annichilito tessuto democratico della popolazione israeliana.
Non un’iniziativa concreta per applicare le leggi internazionali e le Risoluzioni Onu.
Nulla, e alla gioventù palestinese strangolata da occupazione israeliana, prepotenze razziste dei coloni e corruzione dilagante in casa araba, restano solo i coltelli della disperazione.
23 ottobre 2015