Già in occasione della presentazione presso la libreria Feltrinelli di Roma dell’ultimo libro di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato (“Complici”), avvenuta il 15 giugno scorso, Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione Moro, aveva alluso nel suo intervento alla presenza di mafie e ‘ndrine e droghe e armi nel bar Olivetti, quello di via Mario Fani, sganciando alcune polpette leggermente avvelenate. Dopo aver detto che bisogna andare avanti nella ricerca della verità, aveva dichiarato che per esempio nessuno aveva mai messo l’accento sull’importanza di quel bar, crocevia di traffici di ogni tipo, luogo di incontro per eversori e trafficanti, spacciatori e malviventi… Dimostrando poi di non aver letto nemmeno i verbali della polizia e dei carabinieri sulle indagini svolte a caldo e sul sopralluogo effettuato nei locali del bar, sosteneva che in quei giorni l’esercizio commerciale era chiuso perché evidentemente doveva essere chiuso, e che si stava cercando il titolare…. Pura disinformazione, la sua.
La disinformazione continua: la stessa fonte è alla base delle “rivelazioni” pubblicate con grande enfasi a pagina 16 de il Fatto Quotidiano del 16 novembre, in un articolo a piena pagina dal titolo “I segreti del bar di via Fani. Fu il covo di Frank tre dita”, firmato da Rita Di Giovacchino, una giornalista che ha svolto in passato inchieste meritorie e che ci aveva abituato a cose più serie.
L’articolo, frutto di un rapido taglia e cuci di notizie raffazzonate e di chiacchiere non verificate, non è all’altezza delle capacità della Di Giovacchino. Non c’è niente di misterioso infatti nella società che gestiva il bar: era la Olivetti srl, con sede in via Fani 111, numero registro ditte RM 357430, atto costitutivo notaio ROSSETTI Antonio di Albano Laziale – numero repertorio 022907 – data di inizio dell’attività 29/04/1972. Queste cose emergono solo oggi – non certo grazie alla Commissione Moro – perché finora sono sempre state sistematicamente nascoste. Basti pensare che l’amministratore unico della società Olivetti srl era Tullio Olivetti, nato a Roma il 24/11/1939: non risulta che qualcuno l’abbia mai interrogato, e Giuseppe Fioroni comincia a chiedersi chi è soltanto adesso che è morto.
Per sapere qualcosa su di lui bastava chiedere all’ENPAF, al quale Tullio Olivetti pagava l’affitto. L’ENPAF non avrebbe risposto, perché i suoi documenti sono andati perduti “causa allagamento”; ma si poteva, se si voleva, effettuare una visura alla Camera di Commercio, che è tenuta per legge a fornire questi dati a tutti i cittadini, e quindi anche ai membri della Commissione Moro. Il signor Tullio Olivetti era proprietario o socio di una serie di ditte (in totale 24 diverse società) che spaziavano dalle tecnologie avanzate alle imprese immobiliari, finanziarie ed edili, con sede a Milano e a Roma. Ma, nonostante i suoi buonissimi cornetti e la vasta clientela, il bar Olivetti improvvisamente aveva chiuso; dal mese di giugno 1977 il curatore fallimentare, avvocato Bruno Manzella, gestiva la liquidazione coatta. È a lui che telefonano i carabinieri il 16 marzo 1978 per chiedergli di poter entrare nei locali del bar. Manzella risponde che rinuncia ad essere presente ed autorizza il portiere di via Fani 109, che ha anche una copia delle chiavi del bar, ad aprire alle forze dell’ordine. Quindi il portiere permette agli inquirenti di entrare, il sopralluogo viene effettuato “con esito negativo” (ma cosa cercavano?) e i locali del bar Olivetti tornano ad essere un luogo fantasma, nonostante siano stati l’epicentro del blitz militare che ha provocato la strage della scorta di Moro e il sequestro dello statista.
Sbaglia quindi Rita Di Giovacchino a scrivere su il Fatto Quotidiano, senza controllare, che il bar, che avrebbe dovuto essere chiuso per lavori di ristrutturazione, era regolarmente aperto. Il bar non era regolarmente aperto, ma era chiuso da mesi perché Tullio Olivetti aveva dichiarato fallimento. E se Paolo Frajese sostiene di aver potuto telefonare dall’interno del bar Olivetti, perché il bar aveva una saracinesca alzata in via Stresa, dovrebbe verificare la tempistica, per vedere se la saracinesca alzata corrisponde o no ai tempi del sopralluogo dei carabinieri; dovrebbe confrontare le dichiarazioni di Frajese con quelle di Diego Cimara, che in passato aveva già detto le stesse cose a Stefania Limiti; dovrebbe controllare le utenze della luce, del telefono e dell’acqua, dovrebbe sentire la testimonianza del portiere del civico 109, ancora vivo, che aprì materialmente i locali del bar per il sopralluogo degli inquirenti, ed evitare di mescolare chiacchiere e misteri.
Anche la chiamata in causa, fra i frequentatori del bar Olivetti, di “tal Bruno Barbaro, un pezzo grosso dei servizi segreti, … che nell’ultimo anno aveva aperto un ufficio al civico 97, proprio accanto al bar Olivetti…” è frutto di sciatteria. Bruno Barbaro era lì dal 1971, non aveva il suo ufficio al civico 97, accanto al bar, ma proprio al 109, sopra il bar Olivetti. È stato sentito di recente anche dall’ispettrice Tintisona, la quale, di fronte alle contraddizioni delle sue risposte, sostiene che Barbaro, ormai ottantasettenne, non ricorda più bene, data l’età avanzata. È per questo che adesso anche la Commissione Moro parla di lui: prima di formulare le domande da fargli per interrogarlo, il signor Bruno Barbaro, fiduciario del Sismi, sarà morto; come Tullio Olivetti, tirato in ballo quando era già morto; come Fernando Pastore Stocchi; come i fantomatici agenti speciali della moto Honda: tutta gente che da viva è stata cancellata dalle indagini e da morta diventa il parafulmine su cui scaricare le responsabilità dei vivi.
L’operazione oggettiva di disinformazione diventa poi palese quando la Di Giovacchino fa entrare in campo Frank Coppola, Giusva Fioravanti, Egidio Giuliani, Alessandro Alibrandi, tutti al bar Olivetti, insieme ad altri malfattori di ogni banda, e chi più ne ha più ne metta, in un frullato di gossip e chiacchiere, in un’antologia di vera e propria dietrologia militante.
Il depistaggio può avvenire per sottrazione, per alterazione e per addizione. Quest’ultimo è il più diffuso, perché si avvale della collaborazione attiva di giornalisti ben lieti di contribuire a ingigantire le chiacchiere e le esternazioni del presidente della Commissione Moro, sulle quali si gettano volontariamente, con la foga di chi crede di avere in mano chissà quali rivelazioni: ma è soltanto aria fritta. E quindi non serve alla verità.
(continua)
Le fonti di iskrae