Foto: London anti-Uber taxi protest June 11 2014 034 by David Holt – https-::www.flickr.com:photos:zongo:14420085333
La vicenda di Uber è veramente emblematica e lascia intravedere l’avvento di un nuovo paradigma nei rapporti di lavoro in questa fase evolutiva del capitalismo.
di Ferdinando Gueli
Il fenomeno Uber non è ancora molto conosciuto in Italia: si tratta di un servizio di taxi privati prenotabili dal cellulare, organizzato attraverso una App ideata dal solito talento prodigio della Silicon Valley, Travis Kalanick, oggi miliardario accolto e riverito nel salotto buono di Wall Street, con un’azienda (Uber appunto) che ha raggiunto i 40 miliardi di dollari di capitalizzazione.[1]
Il funzionamento di quello che potremmo definire il “sistema uber” è semplice: ognuno può diventare imprenditore di sè stesso dotandosi dello strumento di lavoro necessario a prestare il servizio (nel caso di Uber un’autovettura da adibire a servizio taxi) e affiliandosi alla piattaforma tecnologica che eroga il servizio.
I mass media stanno dando ampio risalto al fenomeno, a livello internazionale, che descrivono in termini di rivoluzione positiva, annunciando il tramonto dell’era del lavoro subordinato. Non è un caso quindi che se Repubblica abbia recentemente intitolato, con malcelato trionfalismo: “Il boss ormai sei tu!” e definendolo appunto una rivoluzione.[2]
Le applicazioni del sistema Uber stanno già dilagando. Grazie alle nuove tecnologie digitali applicate alla telefonia mobile, è già oggi possibile prestare numerosi servizi con la stessa modalità: dal dog-sitting, al “noleggio” dello chef per una sera, le consegne a domicilio, ecc. ecc.. Si osserva peraltro una certa analogia con Airbnb, il portale online che permette a privati di affittare temporaneamente appartamenti o stanze a turisti, con maggiore flessibiltà dello stesso bed&breakfast, che già sta diventando obsoleto.
Il termine “uberizzazione” è stato già coniato, e sono numerosi gli economisti e i commentatori economici che lo utilizzano trionfalmente. Si sostiene che il modello permette di “Lavorare quando vuoi, per quanto tempo vuoi” e lo si ritiene adatto a “giovani assai propensi alla flessibilità, che vedono nell’economia uberizzata l’opportunità di lavorare senza legarsi ad un’unica azienda”.[2]
Ecco il sistema migliore e più efficace per liquidare definitivamente le tanto vituperate “rigidità” del mercato del lavoro! E per di più con il pieno consenso dei lavoratori stessi, illudendoli che stanno per diventare imprenditori di sè stessi. E’ in fondo il cammino già iniziato da anni con il famoso “popolo delle partite IVA”.[3]
Ma riflettiamoci meglio. E non facciamoci subito contagiare dai facili entusiasmi e dall’eccitazione per la novità, che ricorda quella dei bambini di fronte ad una nuova merenda apparentemente più golosa di quelle precedenti. Mettiamoci invece nei panni di milioni di giovani, soprattutto in occidente (ma non solo!). La disoccupazione cresce costantemente. Le occasioni di lavoro si riducono progressivamente. Le aziende assumono poco e si assume soprattutto nel settore dei servizi, non certo nell’industria manifatturiera e meno che mai in agricoltura. Di impiego pubblico non parliamone neanche con la morte del welfare state, le spending review, il blocco dei turnover, ecc. ecc.. e non solo in Italia.
Ecco, siamo allora tutti pronti ad entrare in una nuova era: quella del lavoro allo stato liquido, anzi, addirittura gassoso!
Il capitalismo si sa – almeno lo sanno coloro che hanno goduto di una formazione critica, oggi un privilegio! – si è forgiato originariamente partendo dall’eliminazione della schiavitù, rivendicata come conquista di libertà, ma che Marx ha sapientemente smascherato come libertà nel senso di privazione, per il lavoratore, dai mezzi di produzione, tranne la propria capacità lavorativa, che è costretto ad alienare forzatamente, per sopravvivere, al proprietario dei mezzi di produzione, cioè al capitalista/imprenditore o all’impresa di capitali (forma che ha poi storicamente preso il sopravvento).
Domandiamoci allora, quanto di tutto questo rimane vero nel (presunto) innovativo modello di economia “uberizzata”:
C’è ancora la proprietà privata dei mezzi di produzione? Sì certo!
È ancora concentrata in poche mani? Sì certo!
Uber, Airbnb e tanti altri, sono tutte imprese con un fondatore che, dopo aver avuto successo ed ottenuto i primi capitali necessari (venture-capital si chiama, cioè capitale di ventura, una strana assonanza con una certa epoca medievale), finisce con capitalizzare in borsa!
La loro pista, qualche anno fa, era stata battuta dai guru dell’era di internet: Steve Jobs (Apple), Larry Page e Sergey Brin (Google), Marc Zuckenberg (Facebook) e tanti altri. Oggi tutte grandi imprese multinazionali, anzi transnazionali, sebbene concentrate in Silicon Valley e dintorni. [4]
Esiste ancora lo sfruttamento del lavoratore? Sì certo!
Pensate un attimo ad un giovane “uberista”: deve competere con centinaia (migliaia) di concorrenti, accaparrarsi il cliente, coprire le spese, pagare la commissione a “papà Uber” (eccolo qui il plusvalore, direbbe Marx!) e infine sperare di racimolare abbastanza per vivere.
C’è una differenza con la fabbrica e la catena di montaggio? Sì certo!
L’imprenditore (o il manager) non deve più preoccuparsi di sfruttare e controllare il lavoratore. Questo infatti ormai si “auto-sfrutta” e si “autodisciplina” da solo.
Quanto di simile c’è con il lavoro a cottimo, che qui in questo contesto, sembra una rievocazione arcaica e fuori luogo? Tantissimo invece, l’unica differenza, più fenomenica che essenziale, sta nella mediazione della tecnologia.
Questa sì che è una rivoluzione! Ecco trovata la formula magica che consente alle imprese, quindi al capitale, di bypassare molto più agevolmente tutte le barriere e le rigidità del mercato del lavoro tradizionale.
Se si ha a che fare con degli (pseudo)-imprenditori il rapporto contrattuale cambia completamente. E i diritti possono tranquillamente andare a farsi benedire. Chi tutelerà questi lavoratori che, in una metamorfosi apparente più che reale sono diventati imprenditori di sè stessi? E come potranno unirsi tra loro per difendere i propri interessi se sono stati definitivamente atomizzati? Addirittura riusciranno a sentirsi portatori di interessi comuni? O la falsa coscienza di essere pseudo-imprenditori impedirà loro di vedere la loro reale condizione di (auto)sfruttati?
Ce n’è abbastanza per rifletterci. Prima di agire.
Il sistema capitalista, ha, come tutti i sistemi sociali, una tendenza all’auto-conservazione.
Nella sua fase contemporanea ha perfezionato, a tal fine, due principali strumenti: i mass media, che agiscono sul fronte culturale diffondendo, come un vero e proprio mantra e nelle forme più o meno occulte, più o meno sofisticate, il verbo neoliberista con i suoi dogmi; la precarizzazione e individualizzazione del rapporto di lavoro, implementate grazie alla crisi ed alle politiche di austerità che ne sono state il corollario, con la conseguente disoccupazione, che determinano rapporti di forza favorevoli al capitale rispetto al lavoratore.
Tutto questo produce una società di individui sempre più atomizzata, al prezzo di smantellare anche alcune istituzioni tradizionali (ad esempio famiglia e parrocchia) che un tempo erano state dei capisaldi per la conservazione del sistema e che oggi invece sono molto meno funzionali.
Queste tendenze valgono maggiormente nelle società dei paesi a capitalismo più avanzato, termine usato qui senza accezione positiva. In altre aree geografiche tali fenomeni sono meno evidenti, o coesistono con aspetti più tradizionali, poichè la struttura economica è a sua volta meno avanzata e più tradizionale nel senso borghese del termine. Ma attenzione: l’uberizzazione è in agguato anche lì!
Novembre 14, 2015
NOTE
[1] Il valore di Uber schizza a 40 miliardi di dollari. In arrivo nuovi investitori, la Repubblica, 26 novembre 2014 http://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/11/26/news/uber_finanziamento_valore_40_miliardi-101447966/ [2] Cristina Cucciniello, “Il boss ora sei tu” : rivoluzione Uber, anche medici, cuochi e fattorini sono imprenditori, Repubblica, 19 ottobre 2015 http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2015/10/19/news/il_boss_ora_sei_tu_rivoluzione_uber_anche_medici_cuochi_e_fattorini_sono_imprenditori-125558141/?ref=nrct-1 [3] Carlo Formenti, Se il lavoro si uberizza, MicroMega, 2 febbraio 2015 http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/02/02/carlo-formenti-se-il-lavoro-si-uberizza/ [4] Evgeni Morozov, Resistere all’uberizzazione del mondo, Le Monde Diplomatique (ediz. italiana ne il Manifesto), settembre 2015 http://ilmanifesto.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/09/md-15-09web.pdf