L’Fmi promuove la Cina: lo yuan entra tra le valute di riserva
di Alessandro Merli
FRANCOFORTE – Il Fondo monetario ha approvato oggi l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva. La decisione è stata presa dal consiglio esecutivo, che riunisce i rappresentanti dei Paesi membri dell’istituzione di Washington, e ha aggiunto lo yuan a dollaro, euro, yen e sterlina come componente dei diritti speciali di prelievo, la valuta di riserva dello stesso Fmi.
L’annuncio (che avrà effetto dal 1° ottobre 2016, per consentire una transizione ordinata) segue una raccomandazione avanzata il mese scorso dallo staff del Fondo monetario, secondo cui lo yuan soddisfa i requisiti di essere una moneta ampiamente utilizzata nel commercio internazionale e «utilizzata liberamente». Questo secondo punto è più controverso, in quanto alcune misure di liberalizzazione sono state approvate solo recentemente.
L’inserimento dello yuan fra le valute di riserva è in qualche modo una compensazione per il mancato aumento della quota e un tentativo da parte dei vertici del Fondo di mantenere buone relazioni con Pechino. È anche un segnale di fiducia che le autorità cinesi continueranno sul percorso delle riforme economiche, alcune delle quali realizzate proprio in funzione dell’ammissione della valuta nei dsp, nel momento in cui l’economia rallenta e le turbolenze sui mercati finanziari cinesi hanno avuto ripercussioni su quelli mondiali, anche per l’incertezza nella risposta da parte di Pechino.
Le istituzioni internazionali si confrontano con la possibilità che, senza un riconoscimento del proprio ruolo, la Cina finisca per bypassarle, come è avvenuto nella creazione della banca per le infrastrutture (Aiib), che di fatto supplisce agli interventi della Banca mondiale, dove pure l’aumento della quota cinese e degli altri emergenti è bloccato dal Congresso Usa.
Oltre al valore simbolico del riconoscimento alla Cina del ruolo di potenza economica, l’inserimento dello yuan nei dsp ha alcune importanti conseguenze pratiche: dovrebbe infatti produrre un graduale flusso di fondi sullo yuan da parte delle banche centrali, dei fondi sovrani e delle altre istituzioni multilaterali, flusso che in parte è già cominciato (una settantina di banche centrali hanno investito parte delle loro riserve ufficiali in yuan). La sola riallocazione di un 1% delle riserve internazionali sullo yuan significherebbe un flusso di 80 miliardi di dollari l’anno.
30 novembre 2015