Dopo l’escalation di violenza in Burundi, finalmente la comunità internazionale alza la voce. Ban Ki-moon ha definito agghiaccianti le violenze in Burundi. Anche l’alto commissario Onu per i Diritti umani, Zeid Raad al Hussein ha sostenuto che il Burundi è al punto di rottura, sull’orlo di una guerra civile. Al Hussein ha chiesto l’imposizione di sanzioni come il blocco dei beni di alcuni potenti dell’entourage del presidente Nkurunziza e un divieto di viaggiare contro i responsabili della crisi.
Il Consiglio sulla Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana ha deliberato l’invio di una missione di prevenzione e di protezione in Burundi (Maprobu) per porre fine alle violenze che da aprile insanguinano il Paese. Oggi, il Parlamento burundese ha però rigettato la missione dell’Unione Africana, ma da più parti si pensa che l’Unione Africana andrà avanti.
La crisi politica in Burundi è cominciata alla fine di aprile con la decisione del presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo, controverso mandato, poi ottenuto nonostante le manifestazioni dell’opposizione e un fallito tentativo di golpe avvenuto a maggio. Sono diverse centinaia, finora, i morti accertati.
Il rappresentate di LVIA in Burundi, appena rientrato in Italia per un breve periodo con la sua famiglia, era a Bujumbura nei giorni peggiori dall’inizio delle crisi. L’11 dicembre infatti, come ci racconta: «Degli insorti hanno attaccato diversi campi militari simultaneamente e sono entrati in possesso delle armi. La maggior parte di questi insorti si sarebbero rifugiati sulle colline di Bujumbura.».
La rappresaglia è stata violenta, e ha colpito la popolazione civile, “colpevole” di abitare i quartieri cosi detti “contestatari”.
«All’alba del 12 dicembre», continua il racconto, «ci siamo svegliati con una doccia fredda. Il bilancio comunicato dal governo a seguito degli attacchi dei campi militari era di 90 morti. La maggior parte delle perdite di vite umane, secondo le fonti, è stata di giovani provenienti dai quartieri di Musaga, Nyakabiga e Ngagara che sono stati uccisi nella giornata di venerdì con delle vere e proprie esecuzioni. Si tratta evidentemente del peggior episodio vissuto dall’inizio della crisi, un massacro non dichiarato. Il reale bilancio potrebbe essere in realtà molto più pesante perché la maggior parte dei morti sarebbero stati seppelliti in fosse comuni per evitare inchieste giudiziarie. Durante le operazioni di “pulizia dei quartieri” da parte delle polizia, molte famiglie hanno subito percosse e razzie da parte di agenti e Imbonerakure (i giovani miliziani del partito del presidente)»
Effettivamente, dopo le ultime violenze, pare che ci siano state ricerche intensive di oppositori casa per casa. Un numero imprecisato di persone sarebbe rimasto vittima di esecuzioni sommarie, altre centinaia di giovani sono stati arrestati e in molti sono stati portati via verso destinazioni ignote. Gli abitanti dei quarieri caldi vivono nel terrore, chi può fugge o allontana bambini e adolescenti.
Intanto a Bujumbura il governo del presidente Pierre Nkurunziza ha scelto la strategia del silenzio. Sui canali ufficiali in rete e su Twitter, le autorità fanno riferimento soltanto all’apertura della “settimana del thè”, di cui il Burundi è uno dei primi produttori africani.
«Nella giornata di venerdì», conclude il rappresentante di LVIA, «Nello stesso momento in cui i giovani erano letteralmente giustiziati, il partito al potere organizzava una festa per portare il sostegno alle forze dell’ordine, che avrebbero vinto i “nemici dello Stato”. Questo non fa che rafforzare la frattura ormai consumata tra i tenenti del regime e un’altra parte della popolazione che vive con terrore gli eventi degli ultimi mesi»
Centinaia di migliaia di persone sono sfollate nei vicini Rwanda e Tanzania e l’instabilità, se non verrà risolta attraverso un intervento internazionale, causerà un grave colpo di arresto alle iniziative di sviluppo in corso, con un immediato peggioramento della sicurezza alimentare del Burundi.
Nel Paese, che ha tassi di mortalità infantile e indici di ritardo della crescita infantile tra i peggiori in Africa, LVIA con altre organizzazioni locali ed internazionali, porta avanti in 4 Province un’iniziativa pluriennale di sviluppo agricolo e lotta alla fame. LVIA è determinata a dare continuità alla sua azione e invoca il sostegno internazionale per assistere e accompagnare il Paese in questa difficile fase che sta attraversando.
Fonte: comunicato stampa