di MOWA
Quante volte ancora si dovrà assistere alla violenza ideologica che la borghesia lancia (e si agevola) tramite i sui rotocalchi, riviste, giornali sia su carta stampata che online prima che qualcuno, di realmente corretto, si prenda la briga di approfondire la materia del pensiero negativo per scoprire chi siano coloro che si spacciano per comunisti e, quindi, metterli alla gogna per il danno che arrecano alla società civile?
Insistiamo su questo aspetto perché, avere giornalisti che, con la cadenza di un pendolo, propugnano le teorie negriane che poi, per “effetto simpatia” (Effetto Flanklin), vengono riprese da siti che si definiscono “comunisti” come se nulla fosse,come se tutto fosse normale, comincia, sinceramente a stancare.
Giornalisti (e non solo) che, probabilmente, pensano di fare un favore alla collettività facendo interviste che nulla hanno di stimolante sul versante dell’analisi critica (e men che meno, marxista) ma che sono solo la mera propaganda di un’immagine (diventata anziana e rispolverata come si fa con le vecchie illustrazioni) che ha fatto il suo tempo ma che, per il potere borghese non è mai desueta. Un personaggio-immagine che, invece, la storia del movimento operaio ha identificato come autentico provocatore al servizio della classe dominante e che (infatti) è stato portato in palmo di mano da personalità come Francesco Cossiga, i Rockefeller (che gli hanno donato, attraverso la loro fondazione, nientemeno, che una borsa di studio) o i Ford.
A questo punto, utile e inevitabile l’excursus politico del “compare” della borghesia, Toni Negri, per il quale rimandiamo ad un post di Andrea Montella dal titolo inequivocabile: “Biografia di Toni Negri (prima parte) Potere Operaio, Superclan – Uomini, culture, tecniche dell’eversione imperialista” che, in uno dei numerosi passaggi sul personaggio sostiene:
“Con l’immancabile Cacciari e con Asor Rosa, Negri vive la breve esperienza di Contropiano; poi con l’esplodere delle lotte operaie e studentesche “incontra” quel gruppo di studenti, tra cui Piperno e Scalzone con i quali farà nascere Potere operaio.
Toni Negri di questa organizzazione è il teorico e lo stratega. Il professore vuole un’organizzazione di tipo particolare, ma non comunista, come lui stesso dirà molti anni dopo in un articolo apparso su il Manifesto (20 maggio 1998, pag. 23) «una specie di massoneria mozartiana, questo era Potop».
Com’è preciso nella descrizione di Potere operaio, il nostro erudito di Padova, che acuto accostamento con la loggia massonica degli Illuminati di Baviera, una setta che faceva dell’omicidio politico selettivo e del terrorismo una virtù. Forse l’aspirazione di Toni Negri è quella di far sapere che più che professore è un Maestro?
Potere operaio serve come laboratorio a Toni Negri per creare le condizioni culturali e psicologiche in molti giovani per fare il salto di “qualità” necessario ed approdare a quel radicalismo borghese dove l’elemento terroristico è una variante prevista dell’agire, una versione aggiornata dell’arditismo dannunziano e del nichilismo. Il frutto di questo lavoro è la nascita di Autonomia operaia il movimento dei «militanti nella società», in una «società non più organizzabile» e dunque da distruggere.
In questo periodo Negri scrive molto: un saggio su Cartesio (Descartes politico o della ragionevole ideologia), poi Proletari e Stato, La forma Stato, ma soprattutto Il dominio e il sabotaggio, elaborato su misura per il movimento del ’77; è un pamphlet della rivolta, di cui vengono vendute più di ventimila copie, dove scrive: «Ogni azione di distruzione e di sabotaggio ridonda su di me come segno di colleganza di classe. Né l’eventuale rischio mi offende: anzi mi riempie di emozione febbrile, come attendendo l’amata». E ancora, parlando dei suoi progetti e del ruolo che avrebbe voluto assegnare a sé e alla classe operaia: «Un animale vivo, feroce coi suoi nemici, selvaggio nella considerazione di sé, delle sue passioni, così ci piace prevedere la costituzione della dittatura comunista. L’ordine delle funzioni e dei contenuti non può che instaurarsi sulla vitalità della bestia proletaria…».
Questa concezione vitalistica degli operaisti, mutuata dal protofascista Gabriele D’Annunzio principe di Montenevoso e da Filippo Tommaso Marinetti, era stata la base culturale del diciannovismo e dello squadrismo fascista. Questa tecnica comunicativa eccita gli animi di giovani non formati e con poco senso critico, più abituati a usare in politica le viscere che la razionalità marxista, spingendoli a diventare inconsapevolmente strumenti dell’eversione anticomunista.”
Altro che dipingerlo come intellettuale della classe operaia o, addirittura, comunista come molti sciocchi fanno ancora oggigiorno.
Quante volte ancora dovremo sentire giornaliste che hanno frequentato università romagnole, come l’intervistatrice di Negri Francesca Buonfiglioli, prodigarsi in finte analisi della situazione attuale senza spiegare che, costui in “Il Dominio e il sabotaggio” (pag. 47, Ed. Feltrinelli, 1978) sosteneva che:
«Nulla rivela a tal punto l’enorme storica positività dell’autovalorizzazione operaia, nulla più del sabotaggio. Nulla più di quest’attività di franco tiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi trovo a vivere. Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna…»
Terminando il paragrafo vi sono concetti che non lasciano dubbi sulla sua collocazione di classe pro-borghesia:
«…la connessione autovalorizzazione-sabotaggio, ed il suo reciproco, non ci permette di aver nulla a che fare con il socialismo con la sua tradizione, tanto più con il riformismo e l’eurocomunismo. Scherzando sarebbe proprio il caso di dire che siamo un’altra razza».
Dove si trovano le parole che accostano il compare della borghesia al comunismo? Non sono, invece, deviazioni piccolo-borghesi che hanno dato seguito, nella storia, a movimenti proto-reazionari?
Non possiamo sapere se l’intervistatrice conoscesse già in precedenza Toni Negri ma, dato lo spazio concessogli, potremmo supporlo viste, anche, le conclusioni alle quale vuole arrivare con il compare della borghesia riguardo l’atto terroristico francese, quando sostiene che:
“Adesso stiamo assistendo alla conseguenza della distruzione delle frontiere su cui si basava il diritto internazionale. Lo dimostra l’esodo dei migranti: è impossibile stabilire i confini.”
Dimentica (o finge di non sapere) la giornalista che, nella teoria sull’Impero di Toni Negri, gli Stati nazionali non hanno più nessun ruolo specifico e – nella post-modernità – non esisterebbe più un centro di potere ben definito, scomparirebbero le lotte fra potenze imperialistiche e popoli coloniali e scomparirebbero le lotte fra le classi (sostituita dalla bio-politica). Una strana coincidenza ed esatta conformità con quanto sta accadendo nel mondo grazie, proprio, alle teorie dei compari di Negri che stanno lavorando anche sul fronte Sudamericano (come nel Venezuela di Chavez e Maduro). Tutto questo qualche economista comunista, come Manuele Sutherland, docente di Economia politica all’Università bolivariana di Caracas e ricercatore presso il Centro de Investigación y Formación Obrera (CIFO) lo aveva pronosticato prima delle recenti elezioni politiche cercando di mettere in guardia il suo popolo proprio per non cadere nella trappola del compare della borghesia.
Inutile dire che i nemici di classe per i Negri & C. sono i comunisti. Quei comunisti che hanno chance e consenso politico tra le masse popolari, proprio come lo fu anche il PCI, ed ecco il motivo della sinergica alleanza con Giorgio Napolitano già dal 1975 quando, con le teorie anti-marxiste sull’operaismo del terzetto Cacciari-Tronti-Negri, venne sviluppata la corrente “culturale” anti-PCI (e di post leninismo – sic!) che spinse i giovani oltre la contrapposizione fra le classi (o, precisamente, fra blocchi sociali antagonisti) e l’imperialismo.
Corrente politica, quella dei Negri & C., che si era sviluppata in modo considerevole, tra le generazioni insoddisfatte, quelle che non avevano trovato risposte se non nello schema mentale della criminalità organizzata (come: Potere Operaio, Lotta Continua, Brigate Rosse, Prima Linea, Autonomia Operaia, Comitati Comunisti Rivoluzionari, Nuclei Armati Proletari …); una gioventù che è stata spinta verso un nichilismo, tout court (che riteneva politicamente corretto) e che, invece di organizzare dibattiti e crearsi – con la forza degli argomenti – un consenso duraturo (le c.d. “case matte” di Gramsci) faceva rapine in banca, sequestri di persone e pestaggi di dissenzienti. L’esatto contrario, dunque, di quanto il marxismo chiedeva ai proletari, il contrario dell’immagine del comunismo che la borghesia ha voluto rappresentare al mondo intero (come fece anche la CIA con i finanziamenti al criminale Pol Pot).
La borghesia non può permettersi il lusso di lasciare che le persone comprendano quanto sia umano il comunismo che non vuole guerre, non vuole disparità tra gli individui e lotta, invece, per l’egualitarismo e la solidarietà tra le persone attraverso la cooperazione. Un processo culturale, questo, che sarà, sicuramente, lento ma inarrestabile perché il comunismo vuol dire (che la borghesia e i suoi compari lo vogliano o meno) speranza in un futuro umano.
Alla giornalista in questione (e non solo) suggeriamo di leggere un libro di J. M. Chereghino e G. Fasanella uscito recentemente: “Colonia Italia”. Dalla sua lettura potrebbe scoprire quanti suoi colleghi, intellettuali, e non, siano stati assoldati dalla borghesia e quanti di questi, oggi, abbiano posizioni di rilievo facendo valere la massima “primum vivere deinde philosophari” (prima [si pensi a] vivere, poi [a] fare della filosofia), forse nella sciocca speranza che il loro nome non emergesse mai per non perdere la faccia di fronte agli onesti ma, come si sa, il futuro è sempre pieno di sorprese.
Cito, solo, alcuni dei nomi (alcuni inimmaginabili), indicati nel libro, delle persone che sono state al “servizio” (come si suol dire “sul libro paga”) della borghesia, anche straniera, con il compito di non far estendere le idee comuniste:
Renato Mieli, (alias “capitano Meryll” del PWB inglese – Psychological Walfare Branch) giornalista, padre dell’ex appartenente a Potere Operaio, Paolo;
Agostino Gemelli, frate francescano, medico e psicologo;
Maffio Maggi, giornalista e scrittore;
Cesare Maggioni, giornalista;
Giorgio Bassani, giornalista e poeta;
Raffaele Cadorna, generale e politico;
Filippo Caracciolo, politico e diplomatico;
Alberto Cianca, giornalista e politico;
Aldo Garosci, giornalista, politico e storico;
Ugo La Malfa, politico ed economista;
Emilio Lussu, giornalista, scrittore e politico;
Adriano Olivetti, imprenditore;
Ferruccio Parri, giornalista e politico;
Gaime Pintor, giornalista e scrittore;
Alberto Pirelli, industriale;
Luigi Rusca, letterato e manager editoriale;
Luigi Salvatorelli, giornalista e storico;
Edgardo Sogno, scrittore, politico e diplomatico;
I c.d. “clienti” dell’IRD britannico (il PWB assumerà nel 1948 il nome di Information Research Department):
Gaetano Afeltra, giornalista e scrittore;
Mario Allara, giurista;
Giuseppe Amadei, direttore della “Gazzetta di Mantova”;
Giuseppe Antonelli, giornalista;
Rodolfo Arata, direttore de “Il Popolo”;
Nino Badano, direttore del “Quotidiano”;
Felice Battaglia, giurista e filosofo;
Ettore Bernabei, giornalista e direttore della RAI;
Enzo Biagi, giornalista, scrittore e conduttore televisivo;
Norberto Bobbio, filosofo e politologo;
Pio Bondioli, giornalista e storico;
Giorgio Borsa, giornalista e storico;
Dando Canovi, giornalista;
Massimo Caputo, giornalista;
Filippo Cassola, filologo e storico;
Luigi Cavallo, giornalista e scrittore, tra i fondatori della rivista “Stella Rossa”, ex redattore de “l’Unità”, fonderà insieme ad Edgardo Sogno “Pace e Libertà”, darà vita ai giornali “Tribuna Operaia”, “Pace e lavoro”, “Il Fronte del Lavoro” agenzia “A”. Sarà coinvolto, insieme a Sogno nel “golpe bianco” del 1974;
Umberto Cavassa, giornalista;
Franco Cipriani, reporter RAI, figlio del celebre gionalista Orazio;
Guglielmo Emanuel, giornalista;
Luigi Emery, giornalista;
Alfredo Falanga, direttore salesiano “La Croce”;
Carlo Demetrio Faroldi, giornalista pubblicista;
Franco Fucci, giornalista e scrittore;
Emanuele Gazzo, giornalista;
Vincenzo Gibelli, giornalista e scrittore;
Giovanni Giovannini, giornalista e scrittore;
Giuseppe Glisenti, giornalista;
Alberto Grisolia, giornalista;
Crescenzo Guarino, giornalista;
Jader Jacobelli, giornalista;
Bruno Leoni, filosofo, giurista e politologo;
Sergio Lepri, giornalista;
Giuseppe Liguori, giornalista;
Giuseppe Longo, giornalista;
Roberto Margotta, giornalista;
Enrico Mattei, giornalista;
Mario Missiroli, giornalista e scrittore;
Rocco Morabito, giornalista;
Marcello Morselli, giornalista;
Graziano Motta, giornalista;
Michele Mottola, giornalista;
Paolo Murialdi, giornalista e scrittore;
Italo Neri, giornalista RAI;
Edoardo Origlia, dirigente d’azienda;
Vittorio G. Orlandi, ex vice caporedattore del “Corriere della Sera”;
Flaminio Piccoli, giornalista e politico;
Ernesto Pisoni, sacerdote e giornalista;
Emilio Rusconi, giornalista, editore e produttore cinematografico;
Alfio Russo, giornalista;
Domenico Sassoli, giornalista;
Michele Serra, giornalista, direttore dal 1954 al 1958 de “L’Europeo”;
Giancarlo Vigorelli, giornalista, scrittore e critico letterario;
Francesco Vito, economista;
Gino Zazzini, giornalista;
Italo Zingarelli, giornalista…