Il boss messicano arrestato, tra gli uomini più ricercati al mondo, aveva rapporti molto stretti con le cosche calabresi. Tutti i retroscena e i rapporti
di FRANCESCO SORGIOVANNI
«SONO più affidabili, sono come noi», ripeteva sempre ai suoi “El Chapo”, il boss messicano del narcotraffico internazionale, riferendosi agli uomini della ‘ndrangheta calabrese.
Joaquin Guzman Loera, alias El Chapo, 59 anni, il padrino indiscusso del più poderoso cartello messicano di narcotrafficanti, quello di Sinaloa, uno dei criminali più ricercati al mondo, è stato arrestato. E’ stato riacciuffato all’alba di venerdi dopo un’intensa e sanguinosa sparatoria che ha visto protagonisti i marines messicani e le forze del narcotraffico pronti a difendere il loro boss con un immenso arsenale composto da fucili, pistole, lanciagranate e addirittura due veicoli blindati. I marines hanno fatto irruzione nella casa dove si nascondeva, a Los Mochis, nel suo Stato natale di Sinaloa, nel corso del blitz hanno perso la vita cinque persone e ne sono state arrestate sei. A tradirlo è stata la sua vanità. Il boss del narcotraffico era intenzionato a realizzare un film autobiografico per il quale aveva preso contatto con attrici e produttori.
El Chapo, il “tozzo”, così definito per via della sua bassa statura, ha sempre cercato, in ogni situazione, da carcerato o da latitante dopo le sue “spettacolari” evasioni, di dimostrare ai “partner” stranieri con cui era in affare, di essere un interlocutore affidabile per le forniture di cocaina, crack e altre droghe sintetiche. Tra questi “partner” spiccava la ‘ndrangheta calabrese, regina incontrastata del mercato della polvere bianca in Europa, proprio grazie ai rapporti prima coi narcos colombiani e con uno dei più forti cartelli della droga messicani, Los Zetas, e dopo lo stesso El Chapo. Un legame di fiducia consolidato tra le due organizzazioni criminali.
Nelle pagine di “Oro bianco”, il libro scritto dal Procuratore Nicola Gratteri e da Antonio Nicaso, si legge che per il boss messicano la ‘ndrangheta è “l’alleata ideale per esplorare il crescente mercato europeo, dove la cocaina tira molto più dell’oro e del petrolio”. Fino a diventare, quindi, il “principale fornitore di droga per la ‘ndrangheta, che partendo dal Messico arriva in Italia passando per il continente africano”. Quello tra la Calabria ed il continente americano, comunque, è un rapporto che va ben oltre il traffico di droga. Il continente infatti è anche luogo di riparo per personalità in diretto contatto con le famiglie storiche della ‘ndrangheta, per la quale gestiscono gli “affari esteri”. E i grossi flussi di droga, fino a tonnellate.
La cocaina partita dal Centro e dal Sud America arriva in Italia facendo scalo in piccoli porti di stati africani ad alto tasso di corruzione e caos e da qui entrerebbe nel grande mercato europeo attraverso i porti spagnoli e olandesi. Da lì viene poi gestita dalle ‘ndrine calabresi, ormai da anni leader nel mercato degli stupefacenti.
L’Italia entra nella clientela dei cartelli a partire dal 2008, proprio grazie al lavoro di intermediazione che dagli States fanno le famiglie di Gioiosa Jonica, nella Locride. Fino a quel momento i calabresi si erano serviti di “broker”, non direttamente collegabili alle ‘ndrine, che smerciavano la droga proveniente dai cartelli colombiani di Medellín e Calí. Uscito di scena Pablo Escobar (signore indiscusso del Cartel de Medellín) e decapitato i concorrenti del Calí, il controllo della droga è passato in mano a gruppi paramilitari come le Farc o l’Autodefensas Unidas de Colombia di Salvatore Mancuso (con il quale la ‘ndrangheta avrebbe intrattenuto rapporti nel commercio della cocaina) anche se i colombiani hanno dovuto lasciare il passo ai cartelli messicani, che negli anni Ottanta “studiavano” presso i colombiani facendogli da corrieri.
La cronaca giudiziaria degli ultimi anni, dall’operazione “Solare” a “Crimine” ha dimostrato i collegamenti tra narcotrafficanti messicani e ‘ndrangheta, con le famiglie calabresi “regine” del narcotraffico mondiale, Molè, Piromalli, Pesce, Mancuso, Aquino, Coluccio, Barbaro, Agresta, Sergi, Marando, Nirta, Strangio, Pelle, Vottari, Morabito, Bruzzaniti, Palamara, Cua Pipicella e Maesano. A Rosarno si racconta anche che i Bellocco abbiano avuto contatti diretti con El Chapo. L’oligarca della cocaina che da venerdi è di nuovo in carcere.
10 Gennaio 2016