E’ uno dei carabinieri imputati per l’omicidio di Riccardo Magherini. Su facebook foto e citazioni del duce. Dopo Ilaria Cucchi e Lucia Uva, la denuncia di Andrea Magherini
di Ercole Olmi
“Caro Generale Del Sette
Questo carabiniere viene processato per la morte di mio fratello Riccardo .
Si fa chiamare “Pistolero”.
Ma io le chiedo: queste foto da lui pubblicate esprimono un ideologia che è compatibile con il vostro giuramento di fedeltà alla Costituzione?
Con rispetto Andrea Magherini“.
Anche nel delitto Magherini, dunque, almeno uno dei tre carabinieri coinvolti ostenta citazioni mussoliniane nella dimensione pubblica del suo profilo facebook e uno spregio per i valori costituzionali che, nonostante sia una costante della proiezione pubblica di moltissimi tutori dell’ordine, continua a fare impressione. Perché la visione del mondo di soldati, poliziotti e carabinieri, di moltissimi di loro, sembra intrisa di valori che la nostra costituzione bandisce?
Sul numero di Left in edicola oggi, un articolo di Checchino Antonini, si legge che uno degli imputati per il violentissimo pestaggio di Stefano Cucchi – e per i depistaggi che fecero seguito – «sembra convinto di servire con onore uno stato, troppo permissivo, che non difende adeguatamente i propri servitori. Per esempio il post del 20 settembre 2014: “Le forze dell’ordine arrestano……e i giudici liberano…..!!!! È sempre stato così in Italia e sempre così sarà”» E anche sul suo profilo spuntano i soliti messaggi xenofobi, basati su notizie infondate e luoghi comuni. Ecco due chicche che esemplificano il ragionamento.
I racconti dei torturati di Bolzaneto sulle suonerie dei telefonini dei torturatori, i dati elettorali dei seggi all’estero dove votano i “nostri” ragazzi impegnati nelle missioni di pace, la solidarietà acritica verso i due marò o gli assassini di Federico Aldrovandi , la solerzia con cui i reduci di guerra inseriti nei reparti mobili o nella celere massacrano studenti, padri di famiglia che manifestano o sfrattano con la forza chi non riesce a pagare un affitto, lo sdegno per i pavidi tentativi della politica di istituire una legge contro la tortura o il numero sulle giubbe di chi opera travisato, sono tutti fatti che raccontano sempre la stessa storia di forze dell’ordine molto pericolose quando sono “vicine alla gente”. Una mole di abusi che mortifica il lavoro quotidiano di quanti, e ce ne sono, sono in prima linea contro la criminalità organizzata e i reati contro la povera gente. L’emergenza sicurezza è ribaltata: siamo più o meno sicuri con persone del genere che si aggirano armati, spesso travisati, nei quartieri delle nostre città?
Un libro di imminente pubblicazione, “Per uno stato che non tortura” (Mimesis edizioni, 2016), contiene, tra le altre una riflessione su come la tortura sia in qualche modo “costituente” della weltanschauung, la visione del mondo, di chi viene formato per ottenere una personalità autoritaria e fascistoide. Ed è quello che accade, secondo alcuni studiosi (uno tra tutti Charlie Barnao, sociolog0), nell’addestramento dei corpi speciali.
E’ evidente che abbiamo un problema con questo tipo di tutori dell’ordine, sia per l’abnorme numero di casi di abusi in divisa, sia per la cultura che traspare dalle loro prese di posizione e dalla solidarietà che riscuotono nel ventre molle dei rispettivi corpi, da alcune sigle sindacali e da certi personaggi politici.
Per questo dal comandante generale dell’Arma, o dal capo in testa della polizia, ci si aspetterebbe qualcosa di diverso dalle banalità consolatorie e autoassolutorie come la teoria delle mele marce. Per questo speriamo che la domanda di Andrea Magherini, di Ilaria, Lucia, Lino, Patrizia, Claudia Budroni ecc… trovi finalmente una risposta decente, non solo nelle aule di un tribunale.
9 gennaio 2016