di Mario Seminerio
La riunione della Federal Reserve del 27 gennaio è terminata con un comunicato in cui, in modo piuttosto anomalo rispetto alla prassi, non sono state fornite valutazioni sui rischi di scenario, cioè sulla direzione verso cui la Banca centrale Usa vede evolvere la congiuntura nel breve periodo. Questa circostanza ha aumentato l’incertezza sui mercati finanziari, che da inizio anno sono sottoposti a un martellamento ribassista che ha spinto alcuni osservatori a preconizzare una imminente deriva recessiva globale.
La Fed, che a settembre aveva deciso di non procedere al rialzo dei tassi motivando la decisione anche con le condizioni di “volatilità” sui mercati finanziari e sui paesi emergenti, Cina su tutti, e che a dicembre ha deciso di procedere al rialzo segnalando l’attenuazione di tale volatilità, nell’ultimo meeting è tornata a segnalare tali rischi esterni, pur senza spingersi a esplicitare timori per la crescita domestica statunitense. Se anche la Banca centrale più potente al mondo, quella che da sempre contribuisce, spesso in modo decisivo, a plasmare la congiuntura globale, ora si trova invischiata in queste giravolte logiche linguistiche e addirittura pare sospendere il giudizio sull’evoluzione di brevissimo termine dell’economia, non sorprende che i mercati divengano nervosi.
Ma riscontri preoccupati e preoccupanti provengono anche dalle grandi imprese globali. Il capo di Apple, Tim Cook, presentando i risultati di bilancio, si è espresso in modo inequivocabile, parlando di “contesto macroeconomico globale sfidante”, in cui la società sta “vedendo condizioni estreme come mai sperimentate prima praticamente ovunque volgiamo lo sguardo” Con previsioni di crescita piuttosto debole nel quarto trimestre per tutte le aree sviluppate, confermate dall’esile 0,7% degli Usa, ci si domanda se tale debolezza sia davvero transitoria o non piuttosto l’inizio di un rallentamento che potrebbe diventare altro, considerato anche che la fase di espansione statunitense, iniziata a metà 2009, è ormai matura rispetto all’esperienza storica.
Il crollo del prezzo del greggio, che tutti gli economisti vedevano come una formidabile spinta ai consumi dei paesi importatori, si è invece risolto in drastico taglio di investimenti e crescente rischio di default di imprese del settore energia e materie prime, che a sua volta potrebbe abbattersi sulle banche creditrici, anche se le esposizioni sembrano al momento piuttosto contenute. Un mondo in cui la correlazione di breve termine tra prezzo del greggio e indice della borsa americana tocca il 90%, cioè in cui cali del prezzo del petrolio spaventano le borse e viceversa, è un mondo che pare aver cambiato radicalmente paradigma. E mentre qualcuno sta già chiedendosi se il rialzo dei tassi americani di dicembre non sia stato un errore, il sentiment dei mercati resta emotivamente scosso e pessimista.
1 febbraio 2016