2020 l’anno in cui la Cina supererà gli Stati Uniti
Giulia Annovi
ESTERI – Che la previsione sia esatta o no è difficile a dirsi, ma osservando da vicino un paese che tanto si sta dando da fare per emergere dal punto di vista economico, sembra che la Cina stia spingendo sempre più forte per raggiungere i traguardi americani. Se gli Stati Uniti hanno un carico pesante all’interno dell’economia globale, anche la Cina sta facendo sentire la sua presenza. L’impegno in termini di denaro investito e di potenziamento della ricerca sembra dare ulteriore forza a questa volontà.
Non è facile confrontare l’economia di due paesi così lontanti, chi è che contribuisce maggiormente alla crescita economica globale, chi è più ricco. Ciascun paese ha la sua moneta, ognuno riporta i dati economici con il proprio metro. Ecco allora che per passare da un sistema economico a quell’altro è necessario tener conto di un potere di acquisto paritario (PPP), cioè fare il cambio della moneta prendendo come riferimento la medesima capacità di acquistare un certo numero di beni e servizi in ciascuno dei due stati.
I dati raccolti dal Fondo Monetario Internazionale sono messi a confronto considerando il PPP, ed è così che il prodotto interno lordo (PIL) cinese diventa perfettamente paragonabile con quello americano. Con questo “trucco” i due sistemi economici potrebbero avere lo stesso peso sul prodotto interno lordo mondiale nel 2014, il 16,48% rappresenta il contributo cinese, il 16,28% quello americano. Ancora più strabiliante è l’andamento della curva di crescita cinese: mentre gli USA tra il 2000 e il 2014 hanno avuto un tasso di crescita del PIL pari a 0.74 punti, la Cina ha registrato un’impennata di 3.88 punti.
A questo si aggiunga che l’esportazione di beni e servizi cinesi è stimata per il 2014 a un valore pari al 6.5%, mentre per i prodotti a stelle e strisce la percentuale del volume della merce venduta all’estero è pari a 2,8%.
Infine una voce importante nell’economia di una paese è quella che tiene conto del tasso di disoccupazione: la Cina pur avendo un numero di abitanti pari quasi al quintuplo degli Stati Uniti, ha un tasso di disoccupazione di più di due punti percentuali più bassi. Inoltre, se dal 2000 al 2014 il tasso di disoccupazione in CIna ha guadagnato un solo punto percentuale, lo stesso non si può dire per gli USA, dove il valore è duplicato dopo aver avuto un picco nel 2010 pari al 9.6%.
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Il legame tra scienza e economia
Ai cinesi non basta però che le cose vadano bene dal punto di vista finanziario. La Cina è un paese che mira al Nobel, che vuole creare uno strumento tecnologico di rilevanza mondiale come può essere l’Iphone per gli USA. L’ambizione ad affermarsi a livello globale come guida del processo innovativo, è ben espressa dall’ammontare dei fondi stanziati per ricerca e sviluppo. Secondo l‘OECD, nel 2012 la Cina ha investito in ricerca e sviluppo l’ 1,98% del proprio PIL, avvicinandosi all’America uno degli stati con i maggiori investimenti, che dedica alla scienza il 2,8% del prodotto interno lordo. Ancora una volta è sorprendente la rapidità con cui la Cina si è impegnata in questa corsa: dal 2000 al 2012 gli investimenti sono cresciuti con un tasso pari a 1,22 punti, mentre nello stesso arco di tempo aldilà del Pacifico i fondi sono aumentati solo di 0,77 punti.
In termini assoluti gli Stati Uniti sono ancora quelli che scommettono la cifra più alta in ricerca e sviluppo: a loro si deve il 31% della spesa globale, mentre la Cina ha un peso inferiore, pari al 17.5%. Secondo il report Batelle, nel 2014 gli USA hanno sborsato 424 miliardi di dollari, quasi il doppio di della cifra impiegata dalla CIna (220 miliardi di dollari). Tuttavia il ritmo cinese resta sorprendente: gli investimenti asiatici sono cresciuti dell’11,6% dal 2012 a oggi, mentre quelli americano si arrestano a un + 1,2%.
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Ma come nota un commento apparso su Nature all’inizio dell’anno, lo sviluppo della ricerca in Cina è un po’ zoppo: mentre grande è il successo in alcune aree come il trasporto ferroviario ad alta velocità, l’energia solare, il super-computing e l’esplorazione spaziale, meno rilevante è la ricerca di base (solo il 5% dei fondi). Per gli Stati Uniti invece quest’ultima riceve ancora una fetta importante di finanziamenti, anche se pure qui a causa delle richieste del mercato globale, la tecnologia assume un ruolo sempre più rilevante. In USA poi molti dei finanziamenti pubblici sono riversati su industrie che sono importanti per lo stato, come quella aerospaziale, quella che si occupa di sicurezza e difesa e l’industria energetica.
Altro cancro nello sviluppo scientifico cinese è il sistema accademico. Ancora poco trasparente è la distribuzione dei fondi, basata su un sistema di valutazione che conta solo il numero delle pubblicazioni scritte da un determinato autore, senza guardare al numero di citazioni. A ciò si aggiunga che i ricercatori sono sottopagati, tanto da dover cercare lavori da svolgere per industrie private.
Altro metro di giudizio potrebbe essere il numero di premi nobel guadagnati dai ricercatori cinesi rispetto a quelli americani. I primi sono stati insigniti di 7 premi perlopiù recenti, mentre in america c’è una lunga tradizione di premiati, che conta 189 nobel.
La scienza del futuro
Oltre agli investimenti monetari per la scienza e lo sviluppo economico che ne consegue, conta anche la scommessa sulle giovani generazioni. Quanto sono preparate le menti del futuro?
Secondo I risultati dell’ultimo sondaggio PISA dell’OECD (2012), realizzato considerando la preparazione matematica e scientifica dei quindicenni, la CIna stravince. Gli studenti cinesi sono primi in classifica sia per la matematica (con 613 punti) che con le scienze (con 580 punti). Gli americani si arrestano alla trentaseiesima posizione per matematica e alla ventottesima per scienze.
Passando all’istruzione superiore, secondo la graduatoria stilata da Times Higher Education per il 2014, la Cina conta solo 11 università tra le 400 migliori del mondo, la prima della quali si piazza alla quarantottesima posizione. Tra le prime 10 classificate invece si contano ben sette università americane e in totale, quelle incluse nella classifica, sono 108.
Quello che poi conta nel processo della scienza è il numero degli studenti che restano a lavorare all’interno dell’università, prestando le proprie menti alla ricerca durante un dottorato. Confrontando i dati della National science fundation con quelli del Ministero dell’Istruzione cinese, se nel 2002 tra i due paesi la disparità era alta, le differenze sono state eliminate a ridosso del 2010 quando entrambi gli stati contavano 48.000 PhD.
Ancora non c’è la certezza, ma dal confronto di tutti i trend attuali sembra probabile che la scienza del futuro sorgerà a oriente.
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14 ottobre 2014