di MOWA
Ci siamo mai chiesti come mai, negli ultimi anni, gli imprenditori si siano lanciati, in prima persona, nella politica e gareggino tra di loro per amministrare intere città? Milano e Roma sono un bell’esempio di competizione imprenditoriale.
Questa competizione elettorale non viene fatta per altruismo ma come conquista di nuove opportunità che vanno dal controllo diretto degli investimenti societari (attraverso bandi di gara con, magari, vincoli o specifiche caratteristiche risalenti ad aziende molto “amiche”) alla pianificazione della rendita fondiaria urbana (Rfu) della città, tutto per il proprio vantaggio. Tanto è più grande la città maggiore sarà la possibilità di avere una rendita fondiaria urbana da incassare perché nella Rfu deve essere inglobata la conseguente speculazione edilizia o immobiliare. Potremmo anche chiamarlo un sincronizzato orologio (burocratico) per fare cassa con i soldi degli altri.
Ma cosa incide, esattamente, sulla rendita fondiaria urbana per aumentare il valore del terreno?
Facciamo un esempio semplicissimo per comprendere come si aumenti una Rfu.
Quante volte ci siamo arrabbiati perché un campo agricolo, che magari si trovava di fronte alla propria casa, è diventato edificabile?
Quella trasformazione da rendita agricola a edificabile ha ingigantito il valore del terreno sino a farlo diventare appetibile per nuovi insediamenti di attività del terziario (e non solo) e, quindi, nuove costruzioni. Tutto ciò, senza considerare minimamente che quel consumo di suolo edificabile modificherà definitivamente l’area rendendola antropizzata. Ovvero, si avranno effetti ecologicamente nefasti in termini di modificazioni irreversibili dell’ambiente.
Dobbiamo precisare, da subito, che, mentre i materiali utilizzati per le costruzioni e i costi di messa in opera edilizia restano uguali e identici sia in centro che in periferia, la differenza tra il valore del terreno, che viene trasformato da agricolo in edificabile, aumenta, invece, in modo esponenziale.
Possiamo dire, quindi, che la rendita fondiaria urbana è un elemento parassitario perché non tiene conto dell’uso di alcun mezzo classico per trasformare il proprio valore.
Ecco, allora, che la visione dei nuovi sindaci (imprenditori), rimanendo compatibile con i dettati dell’economia capitalistica, trasforma intere aree senza tenere conto delle leggi fisiche, chimiche, ecologiche e biologiche in una personale opportunità per le proprie tasche o per quelle degli amici stretti. Con la trasformazione del suolo da agricolo a edificabile le aree vengono, poi, fatte diventare divisibili in ulteriori zone (centro storico, intermedio e periferico) che aumenta, a sua volta, il valore parassitario della Rfu.
Le modifiche dello stile di vita e delle abitudini umane diventano il pretesto per introdurre altri soggetti sociali utili per arricchirsi invece di rispondere alle nuove esigenze degli abitanti: i rifiuti diventano un’inesauribile fonte d’investimento per società costituite ad hoc per lo smaltimento; il crescente consumo di energia elettrica diventa argomento per costruire nuove centrali; il dissesto idrogeologico motivo di nuove tecnologie atte ad altra cementificazione; l’inquinamento, sia del suolo che dell’aria, stimolo per le società farmaceutiche sia per la vendita di prodotti che per la sperimentazione di nuovi da immettere sul mercato… Non ultimo, su questo argomento, le pesanti penalità dei meno abbienti nel rincorrere autoveicoli con innovazioni degli scarichi nel rispetto di nuove normative che poi si è visto come l’Europa si sia comportata sui livelli di inquinamento dell’aria: li ha innalzati. Infatti, uno sviluppo sbilanciato ha, inevitabilmente, ricadute dall’una o dall’altra parte.
I capitalisti, finita l’era dell’incontrollata industrializzazione urbana, hanno avanzato nuove esigenze su come “fare” altri soldi oltre quelli investiti nell’area industriale. A questo punto, dai comuni, hanno fatto votare un cambio d’uso dei terreni e, quindi, le aree industriali e i capannoni sono diventate abitative e fabbricabili ad uso residenziale. Ed ecco dunque che l’ex capannone diventa un nuovo valore da aggiungersi all’area già edificata ed in via di nuova trasformazione. Non sono pochi, infatti, i casi in cui, in barba ai piani regolatori del territorio, vi sia la pretesa della trasformazione di cambio d’uso degli edifici che ospitavano le ex fabbriche (ora trasferite in altri siti o Stati) da parte di quegli stessi industriali che piangono difficoltà economiche (sic!). L’area tra Sesto San Giovanni e Milano ne è un vasto esempio.
Oggi molti stolti protendono verso una realtà metropolitana senza sapere che questa cosa assurge a due obiettivi, il primo è quello di avere nuove aree dove speculare urbanisticamente e il secondo, complementare al primo, accentrare più potere deliberativo ed escludere, così, dalle scelte politiche, buona parte degli abitanti, privandoli del decentramento che sarebbe sinonimo di democrazia partecipativa. I Consigli di zona (già fortemente penalizzati da politiche errate che hanno dato vita a nuove leggi restrittive) e i comuni dell’hinterland saranno trasformati in passacarte senza funzioni deliberative e tutti dipenderanno dalle decisioni del mega-sindaco sul modello delle città anglofone e saranno governate, paradossalmente (ma non troppo), da personaggi simili ai podestà del regime fascista.
Un esempio di sottrazione di democrazia partecipativa l’abbiamo vissuto con la fiera mondiale dell’EXPO, ancor oggi, infatti, non si conoscono i numeri ufficiali sia degli ospiti che dei soldi effettivamente spesi o incassati (entrate/uscite), tanto da far sollevare obiezioni in Consiglio comunale (seduta del Consiglio Comunale di Milano dell’8 febbraio dedicata al dibattito su Expo 2015 – bilancio per la città e per l’azionista di Expo spa Comune di Milano) da parte dei componenti della stessa maggioranza che ultimamente hanno affermato:
“Da dove traggo questa supposizione? Da un punto preciso delle voci di bilancio in nostro possesso dove troviamo la notevole cifra di 50 milioni di euro per garantire “la massima visibilità” ad Expo.
Cioè: la stampa, sia grande che piccola ha ricevuto centinaia di migliaia di euro per parlare di Expo (e la RAI addirittura milioni)!
Suppongo, quindi, che l’informazione, in tal modo foraggiata, abbia cercato di diffondere un’immagine positiva di Expo evitando di trasmettere eventuali notizie non gradite al pagatore.
La spesa complessiva della “attività” in ambito nazionale ed internazionale di promozione, comunicazione, distribuzione e commercializzazione dell’evento è stato di 185,7 milioni!”.
Ancor più grave quando una Consigliera comunale parla di chi avrebbe avuto il compito di controllare le irregolarità della costruzione di EXPO:
“So anche, signor Presidente e signor Sindaco, e tutti lo sappiamo, che la maggior parte degli appalti Expo è stata affidata senza gara. Ma, d’altra parte secondo il “controllore” Raffaele Cantone, il codice degli appalti era tanto complicato da: “aver giustificato, nella pratica, il ricorso frequente a normative speciali con la previsione di deroghe” (sottolineo la lungimiranza di chi non rispetta le regole perché riesce a prevedere che ci saranno delle deroghe).
Sempre Cantone prosegue e spiega come la previsione si sia avverata; infatti “le ordinanze del Presidente del Consiglio e successivamente una legge ad hoc, hanno introdotto la possibilità di deroga a ben 85 articoli del codice”…”
Abbiamo constatato come lo scandalo di Roma criminale sia stato un buon modo (eufemisticamente parlando) per capire come si realizzino i favori nei confronti di società compiacenti e/o “degli amici” sino ad arrivare, persino, ad assegnare case pubbliche con quote ridicole d’affitto. Per Milano, invece, stando a quanto gravemente affermato da una Consigliera comunale in un incontro pubblico, di come si voglia andare verso un’ulteriore cementificazione dell’area verde del Monte Stella per compiacere le “lobby” ebraiche oppure del baratto di edifici tra un immobiliarista ed il comune per un centro sociale (5′ 12″ e 10’ 55” del filmato Milano verso la città futura 2). Storia, tra l’altro che si ripete con gli stessi soggetti a distanza di diversi anni.
Queste sono state alcune delle “necessità” dell’intervento diretto, a gamba tesa, nelle politiche sociali dei sindaci-imprenditori e motivo per il quale ci sia l’urgenza di un’inversione di tendenza verso l’ascolto e la realizzazione dei bisogni popolari. I bisogni di una forte concentrazione di persone sono da considerare prima di ogni altra cosa e, soprattutto, prima ancora di arricchire i soliti noti. Per realizzare ciò occorre un forte soggetto politico con indirizzo socialista-comunista che sia capace di fare pressione verso una pianificazione che risponda veramente ai bisogni primari degli esseri umani partendo, ad esempio, dalla casa attraverso la ristrutturazione dell’esistente (tante sono le case sfitte) e con nuovi investimenti pubblici. Infatti, nelle grandi metropoli (ma non solo), fintanto esisteva il PCI, si sono attuate politiche d’indirizzo e controllo delle assegnazioni delle case pubbliche cosa che, invece, con la sua scomparsa, è andata degenerando con clientelismi o voti di scambio.
La città deve essere ri-pensata come laboratorio di esperienze ed attenzione verso l’equilibrio con la natura circostante.
Una città che sia un progetto di coesione tra soggetti, con un maggior riguardo verso bambini, anziani, portatori di handicap ed, in particolar modo, le fasce deboli della popolazione.
Un’area urbana, insomma, che includa e non escluda nessuno, un’agorà per tutti e di tutti, quella che si potrebbe definire a misura d’uomo e pensata per l’uomo.
Tutto l’esatto contrario di quello che i sindaci-imprenditori hanno realizzato sinora.