Foto: Milos Bicanski/Getty Images
In Grecia non se la passano decisamente bene. Anzi…
Infatti, se da una parte gli “agenti del capitalismo” soffiano sul fuoco con azioni nichiliste, come quelle di Alba Dorata ecc., nella speranza di far ritornare i finanzieri che hanno portato il loro paese al collasso economico, dall’altra, i partiti come il KKE, non se la passano meglio. La politica dei distinguo in un paese spinto alla disperazione non è decisamente facile ma si devono prendere, comunque, decisioni per non arrivare impreparati alle future scadenze che vanno dall’importanza geografica della Grecia e, quindi, strategica per la Nato (che vuol dire: Occidente capitalistico) sino se rimanere all’interno del contesto europeo.
La popolazione greca è di fronte ad un bivio che li potrebbe portare verso l’annullamento politico come Stato sovrano oppure riscattarsi dignitosamente senza perdere grandi opportunità.
Due rapidi esempi.
Se il popolo greco (attraverso, anche, i partiti comunisti come il KKE che dovrebbero smettere di fare i “duri e puri” visto cosa c’è in ballo) non aprono ad economie a loro opportunamente “favorevoli” diventerà difficile che possano uscire dal tunnel in cui la troika li ha spinti. Potrebbero temporaneamente aprire un canale preferenziale con i mercati sino-russo e far calare la pressione economica europea. Le contraddizioni sono insite del capitalismo e lì dentro bisogna fargli battaglia. Potrebbero introdurre leggi di inasprimento delle tasse agli armatori e a tutte quelle frange sociali che si sono arricchite portando i grandi capitali all’estero e l’immissione di altre risorse economiche dei paesi sopra citati potrebbe impensierire e sgonfiare le pretese degli avvoltoi del FMI.
Ai compagni del KKE diciamo che la questione della fabbrica “Softex” che ha deciso di chiudere in Grecia licenziando centinaia di lavoratori è problema comune di tutti gli Stati e non si può localizzarlo, come vogliono le teorie filo-padronali negriane, lasciando nella disperazione masse di lavoratori da quello che è più caro ai comunisti l’unione delle lotte. Ricordate Karl Marx “Proletari di tutto il mondo unitevi”?
Bisogna prendere esempio da Stalin, quando, il 19 ottobre 1928, tenne un discorso all’assemblea plenaria del comitato di Mosca e della Commissione di Controllo di Mosca, dove affrontò l’argomento contro le deviazioni di destra e di sinistra citò Lenin sul Rapporto sull’attività del Consiglio dei Commissari del popolo all’VIII Congresso dei Soviet:
“Fino a quando vivremo in un paese di piccoli contadini, esisterà in Russia, per il capitalismo, una base economica più solida che per il comunismo. E necessario ricordarlo. Chiunque osserva attentamente la vita della campagna e la confronta con quella della città, sa che le radici del capitalismo non le abbiamo estirpate e che le fondamenta, le basi del nemico, interno non le abbiamo scalzate. Questi si appoggia sulla piccola azienda, e per poterlo scalzare c’è un solo mezzo: dare all’economia del paese, agricoltura compresa, una nuova base tecnica, la base tecnica della grande produzione moderna. Solo l’elettricità fornisce tale base. Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese. Altrimenti il paese resterà un paese di piccoli contadini, e bisogna che ce ne rendiamo conto chiaramente. Siamo più deboli del capitalismo, non solo su scala mondiale, ma anche all’interno del paese. Ciò è noto a tutti. Ce ne siamo resi conto e faremo in modo che la base economica di piccola produzione contadina diventi una base economica di grande industria. Solo quando il paese sarà elettrificato, quando avremo dato all’industria, all’agricoltura e ai trasporti la base tecnica della grande industria moderna, solo allora vinceremo definitivamente”
Il popolo greco, quindi, deve chiamare alla lotta, contro le politiche imperialistiche, tutto il mondo del lavoro europeo ed evitare l’isolamento a cui sono sottoposti e dove la NATO sta spingendo.
I greci sono solo per la NATO, che rapppresenta l’imperialismo, un tassello per la conquista di nuovi mercati verso Oriente e, quindi, un paese da trasformare come l’Ucraina, succube e senza speranza di avere autonomia e democrazia.
Non ci sono altre strade e altra soluzione se non vogliamo che si accelleri il processo di guerra a cui stiamo andando incontro. E’ compito dei comunisti rivoluzionari quello di bloccare ogni velleità di guerra per una pace che sia duratura senza cadere nelle trame dell’imperialismo.
MOWA
La Grecia brucia: neonazisti e comunisti all’attacco del governo Tsipras
Lacrime, sangue, scontri di piazza, defezioni parlamentari, spread alle stelle, economia giù. Il Fondo Monetario avverte: «I timori di Grexit si riaffacceranno». Intanto l’ex portavoce di Varoufakis ammette: «Lui e Alexis speravano di perdere il referendum»
Sono settimane, ormai che la Grecia brucia. La stampa internazionale si è soffermata in questi giorni sui violenti scontri di piazza che hanno coinvolto gli agricoltori, circa duemila, quasi tutti provenienti dall’Isola di Creta. Chiedono sia ritirato il piano proposto dall’Unione Europea contro l’aumento delle tasse e la riforma delle pensioni. Una riforma che prevede il taglio alla pensione massima erogabile dalla previdenza pubblica – da 2700 ai 2300 euro – e la garanzia di un assegno minimo, circa 380 euro mensili, solo a chi avrà accumulato almeno quindici anni di versamenti.
Gli scontri, durissimi, hanno spinto il governo guidato da Alexis Tsipras a schierare le forze dell’ordine davanti al Ministero dell’Agricoltura, le quali, fatte oggetto del lancio di pietre e ortaggi, hanno reagito usando gas lacrimogeni e granate assordanti, nonché arrestando cinque manifestanti. I media ellenici hanno calcolato che, per numero di partecipanti ai cortei e di scioperanti, la mobilitazione contro il leader di Syriza è paragonabile a quelle del 2012-2013, che avevano opposto una strenua resistenza ai governi socialisti e conservatori.
Non è un caso isolato, insomma: già dal 12 novembre 2015 – a due mesi dall’entrata in carica del governo – i sindacati greci proclamarono 24 ore di sciopero ad oltranza per protestare contro l’aumento delle tasse e la riforma delle pensioni, bloccando i servizi pubblici, i trasporti, e provocando la cancellazione di alcuni voli interni. E già lo scorso 4 febbraio le strade e le piazze di Atene e delle altre principali città greche si erano riempite di lavoratori, studenti, disoccupati e cittadini per lo sciopero generale convocato da diversi sindacati e organizzazioni di categoria contro le misure antipopolari del governo, giudicate non dissimili da quelle dei precedenti governi che Syriza aveva criticato.
Ora la situazione sembra ripetersi. Infatti, con una recessione che sembra ancora attanagliare la Grecia – certificata giorni fa da El. Stat, istituto di statistica ellenico, che registrerebbe un calo del Pil dello 0,6% per il quarto trimestre del 2015 rispetto ai tre mesi precedenti. A questo si sommi lo spread decollato fino a quota 1000, che ha cancellato in pochi giorni i passi avanti nella riduzione del debito pubblico. Il responsabile del Fondo Monetario Internazione per la Grecia, Poul Thomsen, ha avvertito che senza un piano realistico per la sostenibilità del debito, cioè nuovi interventi di austerity, che sfiora ormai quota 180% del Pil, «presto i timori di Grexit si riaffacceranno».
Il problema, per Tsipras, è che la piazza è tutto fuorché “apolitica”. Nello sciopero degli agricoltori, per esempio, sono stati visti militanti di Alba Dorata – nota formazione neonazista in ascesa elettorale – radicata nei paesi agricoli in Grecia e pronta a tirar fuori l’ennesimo capro espiatorio: l’immigrazione. Infatti, diversi video postati sui social network – Facebook, Twitter ecc. – testimoniano che vari manifestanti usano e lanciano slogan contro i migranti, come “La Grecia ai greci”. La testata di estrema destra Il Primato nazionale, organo di Casa Pound, legata ad Alba Dorata, registrava che il governo «messo in grossa difficoltà dalle proteste provenienti da diversi settori dell’economia greca, cerca di distrarre l’attenzione pubblica e di giustificare le azioni repressive contro i manifestanti, addossando la regia degli scontri ad Alba Dorata». Peraltro, uno degli agricoltori arrestati, Panagiotis Passaras, era un militante neonazista, legatissimo all’ex parlamentare di Alba Dorata Sthatis Boukoura.
Poul Thomsen, ha avvertito che senza un piano realistico per la sostenibilità del debito, cioè nuovi interventi di austerity, che sfiora ormai quota 180% del Pil, «presto i timori di Grexit si riaffacceranno»
È errato, però, appiattire la protesta all’estrema destra. Infatti, è il KKE, il Partito Comunista di Grecia, il movimento più critico nei confronti del governo Tsipras, rivendicando la sua contrarietà alle riforme governative. La presenza in piazza del Pame, il suo sindacato, a fianco degli agricoltori lo dimostra: «Gli agricoltori che hanno preso parte alle manifestazioni dei lavoratori con i loro trattori, per simboleggiare la lotta comune della classe lavoratrice insieme ai poveri e ai piccoli agricoltori – si legge sul loro sito ufficiale –. Migliaia di lavoratori di tutto il paese hanno lottato la mattina davanti alle fabbriche per difendere lo sciopero davanti alle fabbriche, ai negozi, ai servizi, ai porti contro l’apparato spezza-scioperi dei padroni. Le industrie e i servizi sono stati costretti a chiudere in tutto il Paese». Parlando del ruolo di Syriza al governo, il segretario comunista Dimitris Koutsoumpas ha messo agli atti parole di fuoco contro Syriza: «Come altro si può definire, se non uno sporco lavoro, l’intento di pacificare e ingannare il movimento popolare mentre si mette mano in senso reazionario al sistema della previdenza sociale?». Secondo il politico, euroscettico, «nella guerra scatenata da governo-capitale-UE, volta a seppellire il sistema previdenziale, la classe operaia e il popolo devono dare risposta al vero dilemma: sottomissione al macello o sollevazione popolare?».
Tsipras oggi ha altre preoccupazioni, però: soprattutto, che alcuni suoi deputati non votino il ddl economico. Cosa che l’ha portato a incontrare il leader del Pasok Fofi Genminata, il centrista Loventis e il leader della sinistra democratica Fotis Kouvellis proponendo loro di entrare in maggioranza per guadagnare diciotto seggi. Nel frattempo, però, l’opposizione cresce: contro Tsipras si sono schierati il conservatore Kyriaos Mitsotakis, che sta girando il paese per mobilitarsi contro il governo e soprattutto l’ex amico Yanis Varoufakis, il cui nuovo partito, Democrazia nel Movimento Europeo 2025 (DiEM 2025), è costruito attorno a una piattaforma euroscettica: «Tsipras esegue quello che ordina la Troika», ripete ossessivamente.
«Tsipras ha deciso di andare al referendum, con le banche chiuse. Lui e Varoufakis speravano di perderlo e di dimettersi con dignità»
Riguardo alle sue dimissioni nell’estate 2015, peraltro, sono interessanti le rivelazioni di Dimitris Yannopoulos, suo ex-portavoce. Dimissioni che risalirebbero non a luglio bensì ai giorni tra il 20 e il 24 febbraio 2015: «Ha negoziato per quattro mesi con la Troika sapendo che non avrebbe ottenuto niente, mentre l’economia si stava disintegrando. Il 25 giugno, alla fine della proroga di quattro mesi, la Troika ha dato l’ultimatum: accettare il piano o uscire dall’euro. Tsipras ha deciso di andare al referendum, con le banche chiuse. Lui e Varoufakis speravano di perderlo e di dimettersi con dignità». Su Varoufakis dice: «Gli fu ordinato di dimettersi da Berlino quella notte (come ha scritto lui stesso nella lettera di dimissioni, inedita), altrimenti la Merkel non avrebbe parlato con Tsipras di alcun “compromesso” e avrebbe fatto fallire la Grecia».
E ancora: «Invece di denunciare all’opinione pubblica il ricatto dei creditori e la catastrofe umanitaria, Yanis ha scelto di fare un compromesso. È stata la sua rovina. Voleva rinegoziare le condizioni e migliorare le cose, ma si è fatto intrappolare. Dopo due fallite riunioni dell’Eurogruppo, dove aveva rifiutato di firmare documenti già pronti, alla terza (20 febbraio) gli fu detto che la Merkel aveva dato istruzioni a Dijsselbloem e al ministro Schaeuble di accettarele richieste greche: era una bugia. Il testo, poi era volutamente ambiguo».
24 Febbraio 2016