La ‘ndrangheta si concentra sull’acquisto di farmacie al Nord: garantiscono reddito e un posto di lavoro sicuri oltre a una rispettabilità sociale
di Luigi Ferrarella
MILANO- Che cosa c’è di più familiare e rassicurante della farmacia di quartiere e dell’ufficio postale di paese? Ben poco, e difatti lo avrebbero considerato i clan di ‘ndrangheta. Al pari della consapevolezza che chi ha un direttore di banca per amico ha un tesoro, ma in fondo anche chi «tiene» un direttore delle Poste, specie da quando le Poste fanno ormai la banca come le banche. Così per anni, quantomeno dal 2005-2006, alcune cosche calabresi si sarebbero avvalse della disponibilità del 57enne direttore Giuseppe Strangio delle Poste di Siderno (18.000 abitanti in provincia di Reggio Calabria) per far girare, spezzettare, mescolare, versare, prelevare, confondere e infine reimpiegare nell’acquisto di farmacie al Nord una notevole quantità di contanti senza le prescritte segnalazioni di operazioni sospette, identificazioni di clienti e movimentazioni oltre una certa soglia.
Imparentato con una «famiglia» di San Luca
Strangio — una sorta di istituzione alle Poste di Siderno dove stava da quasi 20 anni, e imparentato con una delle maggiori «famiglie» di San Luca in quanto sposato con la sorella della moglie di Antonio «centocapelli» Romeo, cioè dello zio materno di Antonio Romeo «l’avvocato» — avrebbe dunque presidiato dal suo ufficio postale di paese un prezioso canale di denaro dai rivoli imprevedibili. Talmente vari che, secondo la Procura di Milano, avrebbero avuto a che fare con i proventi del traffico di droga della «locale» piemontese di Pasquale Marando, e finanziato parte dei soldi usati nel 2005 dal dottor Giammassimo Giampaolo (fino al 2006 autore di nessuna dichiarazione dei redditi) per comprare a Milano per oltre 2 milioni di euro un’avviata farmacia in zona semicentrale in piazza Caiazzo 2.
Dubbi sui capitali impiegati
Nelle carte, firmate dal gip Cristina Mannocci per mandare martedì la Squadra Mobile di Milano e Gdf ad arrestare Strangio per l’ipotesi di reato di «impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto» (da 4 a 12 anni in caso di condanna), già si colgono dubbi sui capitali usati dai relativi titolari per acquistare anche altre due farmacie, una in provincia di Milano (a Corbetta) e una in provincia di Torino (a Bruino).
I giovani si laureano in Farmacia
Tra le pieghe giudiziarie, come spesso accade, affiorano anche interessanti spaccati di sociologia urbana ‘ndranghetista. Se non è certo nuovo l’interesse dei clan per la sanità — settore che propizia favori (visite, esami, ricoveri) e accesso privilegiato a robusti interessi economici in necessaria relazione con il mondo della politica e delle professioni —, martedì il procuratore aggiunto Ilda Boccassini osservava come invece «ci abbia stupito constatare che diversi giovani appartenenti a famiglie mafiose scelgano di laurearsi tutti proprio in Farmacia»: forse perché — aggiunge il pm Paolo Storari che ha svolto l’indagine con Cecilia Vassena – «la farmacia garantisce un reddito e un posto di lavoro sicuri oltre a una rispettabilità sociale».
I matrimoni «tattici»
Ancor meno intuitivo, specie per chi è legato al ruolo storico del sindacato come baluardo in terre di mafia contro le vessazioni dei clan, è constatare (da intercettazioni di telefonate e sms) che il segretario generale milanese del sindacato Cisl-Slp (quello dei lavoratori postali), Raffaele Roscigno, si sarebbe rivolto a Strangio per favorire la chiamata per un’assunzione a tempo determinato di un parente in Poste Italiane: «In un Paese in cui i giovani pagano un prezzo altissimo alla disoccupazione, questo è un episodio che mi indigna», commenta il pm Boccassini, mentre dagli atti si capisce che Strangio è indagato per tentata truffa a Poste Italiane. Le quali, dopo aver dato collaborazione all’indagine sui vorticosi giroconto di Strangio, martedì hanno inviato anche i propri Nuclei ispettivi di controllo per cercare di migliorare nel futuro procedure di allerta e indici di anomalia. Non finisce poi mai di colpire, e per certi versi di affascinare nella patologia, il peso dei «matrimoni tattici» nella ‘ndrangheta, vissuti quasi come dono della donna da una «famiglia» ad un’altra (meglio se di maggiore caratura criminale) per creare un legame destinato non solo a impedire faide, ma anche a cementare solidarietà e affari illeciti.